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diretto da Romano Luperini

Citta’ del Capo – Quando sono atterrata all’aeroporto internazionale di Citta’ del Capo tutto quello che pensavo era “sono nella terra di Mandela”. La luce africana ha fatto il resto e mi sono innamorata subito della bellezza di questa nazione.

La nazione arcobaleno, piena di contraddizioni, ma anche di opportunità. Qui la parola crisi non esiste, con pochi spiccioli e un kaftano si può essere felici, anche se, nella zona più europea della “città madre”, a Sea Point e a Camps Bay, per la strada, si incontrano solo Ferrari, Lamborghini e Maserati.

Poi è arrivato l’annuncio che tutti qui sapevano che sarebbe arrivato, ma che speravano di non dover mai sentire davvero. Il presidente Zuma alla tv pubblica, poco dopo la mezzanotte, con la voce strozzata dal pianto dice l’indicibile: “Tata Madiba, nostro padre, nostro figlio, è passato”. Non dice è morto, non lo dirà mai, ma solo “è passato, se ne è andato”, come se in questo modo quel passaggio dovesse o potesse essere più lieve.

Dal momento dell’annuncio della morte di Mandela tutte le chiese di ogni culto sono rimaste aperte. Anche San George, la cattedrale protestante in pieno centro di Città del Capo. All’ingresso dell’imponente struttura è il colore a colpire, assieme all’odore penetrante dei fiori variopinti. Foto colorate e festanti di Madiba nelle sue tante visite da Presidente al Capo corrono lungo tutta la parete. Al centro quella più bella, che ritrae Madiba sorridente in mezzo ai bambini del Sudafrica, di tutti i colori, le razze, le religioni. Un candela bianca con la bandiera della nazione, il libro dei pensieri e un foglio con scritto “Benvenuti se venite in preghiera. Riposa in pace Tata Madiba”. La cosa è insolita, visto che da queste parti le attività pubbliche, comprese le chiese, chiudono alle 17.00 del pomeriggio, ore locali (le 16.00 in Italia). A chiederlo è stato il presidente Zuma, perché ha detto “ogni uomo e donna del Sudafrica possa pregare e pensare Madiba”.

E’ questo che i sudafricani, che si sentono tutti “fratelli”, “sorelle” e “figli” di Tata Madiba, fanno. Pensano, pregano, magari cantano. Come un gruppo di ragazzi vestiti di rosso che in un angolo della Main Road, proprio di fronte a me, si fermano e intonano l’inno nazionale del Sudafrica. Quel “Dio salvi l’Africa” per il quale Tata Madiba ha a lungo lottato. “Amandala”, poi dicono in coro, alzando il pugno sopra la testa. Il gesto più semplice, che rende tutti uguali e liberi. Sono serviti anni di lotta, di sofferenza, di galera, poi il perdono, interiorizzato e condiviso, diventato negli ultimi vent’anni più che rito, identità del collettivo, voluto, inseguito, insegnato a tutti da quel “gigante di umanità” che è Mandela, per far sì che oggi questi giovani possano alzare il pugno al cielo e gridare da uomini liberi, “Amandala”.

Qui lo chiamano il “lungo addio”, 14 giorni di commemorazioni, con tanti eventi ovunque nel paese. Solo nella regione nella quale mi trovo, al Capo, sono 160 i punti commemorativi.

Qui per i funerali non si versano lacrime, ma si canta, si balla e si fa un inno alla vita. Quella di Tata Madiba è stata una vita così straordinaria che non servono nemmeno le parole. Se questo popolo oggi vive in pace lo deve a Tata Madiba, che ha donato al Sudafrica e al mondo libertà, legalità e pace, appunto.

Certo le differenze del colore della pelle qui si avvertono ancora, fortissime. Mi sono resa conto di essere bianca da quando sono qui, perché qui mi guardano e mi trattano da donna bianca. Ma anche se le differenze ci sono, è pur vero che oggi tutto il popolo, senza distinzione alcuna, piange il padre di questa nazione che ha saputo perdonare.

L’insegnamento più grande di Tata Madiba è quello del perdono. Per questo sono state emozionanti le parole dei ministri di tutte le fedi, nessuna esclusa, che hanno parlato uno dopo l’altro durante la cerimonia ufficiale di commemorazione che si è svolta a Johannesburg. Si può essere diversi, avere fedi diverse, il colore della pelle diverso, idee diverse, ma si è prima di tutto uomini e donne. Gli uomini e le donne fra di loro devono trovare la via del dialogo.

Di questi giorni straordinari porterò con me il colore degli abiti delle donne, l’odore intensissimo dei fiori, la bellezza del sorriso dei bambini, l’enormità di questo lungo addio senza lacrime e la grande dignità di un popolo che è orfano del padre più grande, quello che insegna a camminare sulle proprie gambe. Il Sudafrica ce la farà, il Sudafrica ce l’ha già fatta. Riposa in pace Tata Madiba.

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