
“L’uso della vita.1968” vince il premio Volponi
L’uso della vita. 1968 di Romano Luperini ha vinto ex aequo con La lucina di Antonio Moresco e Il gabinetto del dottore Kafka di Francesco Permunian la X edizione del Premio Nazionale Paolo Volponi. Il libro è stato inoltre proclamato “supervincitore” dello stesso premio dalla giuria popolare. Con l’occasione pubblichiamo le ultime pagine del romanzo.
Il sessantotto era finito, ed era finito come se avesse perduto per via buona parte della sua leggerezza…Eppure, pensava Marcello mentre dalla posta tornava a casa dalla madre, lui stesso, ch eppure di natura si si sentiva pesante, ne era stato travolto e come trascinato via.
La mamma, come faceva tutte le mattine quando riassettava le stanze aveva spalancato tutte le finestre, rovesciando sul davanzale il materasso e i cuscini per fargli prendere aria e sprimacciarli. Marcello si affacciò a quella del salotto. Era una bella giornata, il clima mite, il sole illuminava già il rettangolo della finestra, inondava la stanza di luce. Fuori, in alto, il cielo era una vela d’azzurro tra i tetti delle case. Davanti, le macerie erano sparite dalla spianata, scomparsi anche i camion, le gru, le ruspe; già si intravedevano al loro posto gli spazi squadrati dei futuri palazzi e l’intersecarsi della nuove strade. Dell’intrico di cunicoli, di muri, di mezzanini sospesi nel vuoto, da dove aveva spiato il babbo e la zia, non rimaneva più nulla. Come se non fossero mai esistiti. Più in là, alla fermata delle autolinee, dove Soriano era balzato sull’autobus, il giardinetto con le siepi di pitosforo era stato allargato, ora vi si vedevano anche un’aiuola e una seconda panchina.
Marcello pensava alla leggerezza di Soriano, non era incerta né svagata, ma a suo modo decisa, orientata a una meta. L’aveva ritrovata anche in Ilaria, nei gesti e nei movimenti dei compagni, nelle facoltà occupate e davanti alle fabbriche, e persino in se stesso. Ecco, l’uso formale della vita probabilmente non era altro che questo.
La mamma stava richiudendo la finestra della camera, nella stanza vicina alla sua. Era rimasta nell’aria, però, una piuma. Marcello la seguì con lo sguardo mentre cambiava di continuo direzione, ora salendo in alto, ora invece scendendo veloce verso l’asfalto, docile al vento. La perse di vista quando intersecò la traiettoria diritta e lieve di un passero che dal tetto si proiettava giù verso il giardinetto, virava sicuro fra la panchina e la siepe, saltellava sul ghiaino, e poi di nuovo rapido saliva su, con qualcosa nel becco, verso la grondaia. La leggerezza del passero non era come quella della piuma, andava conquistata e forse non sarebbe bastata una vita intera.
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