Bisogni educativi speciali: alcune opportunità da cogliere/Il dibattito sui BES 3
I recenti atti ministeriali sul tema alunni con BES e gestione dell’inclusione hanno prodotto un dibattito notevole nel nostro Paese, con posizioni molto diverse; in modo molto sintetico, ma spero chiaro, vorrei riassumere nei punti seguenti la mia posizione.
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Il concetto di “bisogno” ha anche delle connotazioni negative nella nostra lingua e credo che tale negatività condizioni troppo alcune posizioni critiche nei confronti del concetto di BES, ma questo effetto alone improprio va superato. Credo si dovrebbe considerare il concetto di bisogno non tanto come una mancanza, privazione o deficienza , in se’ negativa, ma come una situazione di dipendenza (interdipendenza) della persona dai suoi ecosistemi, relazione che (se tutto va sufficientemente bene) porta alla persona che cresce alimenti positivi per il suo sviluppo. In altre parole, la persona cresce bene in apprendimenti e partecipazione se questa relazione porta risposte ed alimenti adeguati al suo sviluppo.
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Il bisogno educativo speciale non è diverso da uno normale, e’ divenuto tale quando la situazione di funzionamento bio psicosociale problematica della persona ha reso per lei difficile trovare una risposta adeguata ai suoi bisogni. Ad esempio, un bambino di 4 anni potrebbe trovare un carente alimento al suo bisogno di autonomia vivendo in un contesto familiare deprivante e problematico.
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Quando si parla di funzionamento della persona in un’ottica bio psicosociale ci si riferisce all’intreccio complesso e multidimensionale di ICF, dove giocano un ruolo fondamentale le interazioni tra condizioni fisiche, corpo, competenze personali, partecipazione sociale, contesti ambientali e contesti personali.
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Quando ci si riferisce alla “problematicità” del funzionamento, ritengo che la si debba valutare tale soltanto se in modo intersoggettivo possiamo definire che la persona, a causa di quel funzionamento particolare, subisce un danno, un ostacolo o viene stigmatizzata in modo da subire una perdita di opportunità e di libertà di sviluppo. Una particolarità della persona che porti disagio (certo non danno o simili) soltanto a chi la circonda e non alla persona stessa e’ una differenza che va tutelata e preservata e non va fatto alcun tentativo di cambiarla.
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Il concetto di BES non è clinico, ne tantomeno medico. Non lo si trova infatti in alcun sistema di classificazione delle patologie, tipo ICD 10 o DSM V.
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Il concetto di BES e’ politico, nella misura in cui stabilisce, come macro categoria, quali siano le situazioni che hanno diritto a forme di individualizzazione e personalizzazione nella scuola.
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L’estensione del diritto alla personalizzazione dei percorsi formativi e di valutazione anche ad alunni non compresi prima nella legge 104 e 170 e’ un positivo passo in avanti verso politiche scolastiche più eque ed inclusive. In questo modo molte situazioni di alunni che prima non erano riconosciuti e tutelati ora lo possono essere.
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Tale estensione del diritto alla personalizzazione e’ un altro passo avanti verso una scuola pienamente inclusiva (l’inclusive education), fatto nel solco della tradizione italiana dell’integrazione scolastica, che parte dalle situazioni di disabilità, poi estende le tutele agli alunni con DSA, e ora a quelli con altre condizioni di BES, oltre a quelle classiche delle due norme citate. E’ la via italiana all’inclusione, quella che passa da difficoltà a altra difficoltà, piuttosto che partire da un radicale cambiamento della scuola per tutti gli alunni con le loro varie differenze, come sostengono gli studiosi della corrente che va sotto il nome di Disabilities Studies. Credo che queste due vie stiano progressivamente convergendo, perché l’obiettivo e’ comune (una scuola inclusiva per il 100% degli alunni) e molto simili sono le considerazioni critiche e le proposte innovative. In ogni caso la tradizione italiana e’ questa e vogliamo valorizzarla.
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Il rischio di fenomeni di labeling e di micro esclusione e’ ovviamente sempre presente, ma non dipende certo dall’introduzione del concetto di BES. La scuola esclude anche senza etichetta, dipende da che orientamento prende. Fenomeni di micro esclusione sono all’ordine del giorno nelle nostre scuole e colpiscono ogni tipo di alunno, da quello con disabilità a quello straniero e gli insegnanti escludono per tanti e diversi motivi. Se un insegnante ha in classe alunni che gli creano qualche tipo di problema e non vuole, o non sa, attivare strategie efficaci per personalizzare la loro partecipazione e apprendimento tenderà ad escluderli, etichetta o meno. Il fatto che alcuni alunni saranno riconosciuti come alunni con BES non sarà uno scivolo per mandarli fuori perché la nostra scuola non prevede percorsi separati, fuori dalla classe, per gli alunni riconosciuti BES. Chi teme questo forse “sente” che nelle viscere delle nostre scuole cresce un desiderio di percorsi separati?
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Le recenti disposizioni ministeriali sostengono e valorizzano il ruolo pedagogico e didattico del team docenti e del consiglio di classe anche nel momento dell’individuazione dell’alunno come alunno con BES. Gli insegnanti, anche se non avranno in mano un pezzo di carta medico, o sociale, dovranno valutare pedagogicamente e didatticamente il funzionamento problematico dell’alunno, con la loro competenza professionale. Certo non in modo autarchico, ma collaborando ove possibile. Se qualcuno teme l’invasione della scuola da parte di orde di medici o psicologi che offriranno “individuazioni” di alunni BES e diffonderanno questa nuova “malattia” per un ovvio interesse di bottega, si tranquillizzi e cerchi invece di sviluppare la competenza valutativa pedagogica e didattica degli insegnanti, che in moltissimi casi c’è’, ma è sepolta da consuetudini di delega ai servizi sanitari. E poi non si tratta di fare diagnosi, ovviamente, ma di riconoscere una situazione di problematicità.
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Le recenti disposizioni ministeriali riconoscono agli insegnanti la possibilità di individuare l’alunno con BES sulla base di “ben fondate considerazioni pedagogiche e didattiche”: ottima cosa, da anni insistiamo sul fatto che la scuola deve riappropriarsi di un forte ruolo che le e’ proprio, lo sostenemmo fin dalle critiche all’Atto di indirizzo del 1994, che tagliava (e taglia) fuori la scuola dalla Diagnosi Funzionale, che invece deve essere pedagogica e didattica. Per me ben fondate significa fondate su un’antropologia ICF-OMS e sul concetto di problematicità centrato sulla persona.
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Problema della scarsa formazione di moltissimi insegnanti curricolari su questi temi: bene, cosa aspettano i sindacati a lanciare una campagna contrattuale per una formazione continua obbligatoria e per riformare la scandalosa carenza di questi temi nella formazione universitaria Gelmini per la secondaria?
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Problema del nuovo carico di lavoro richiesto dagli alunni con BES: certamente la professione di insegnante si è fatta sempre più complessa e perciò deve smettere di essere un lavoro di ripiego o di comodo, un lavoro per troppi anni bistrattato nel patto perverso del “lavori poco e ti pago poco”, deve diventare una vera e propria professione alta, con un percorso universitario che va dai 5 ai 6 anni, più uno per il sostegno, con un impegno pieno e stipendi adeguati. Su questo tema ci vuole coraggio vero da parte di tutti e non sortite alla Profumo per un paio di ore in più…
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Il Piano Didattico Personalizzato (PDP) sarà fatto da tutti i docenti e non delegato al sostegno: ottima cosa, perché la responsabilità didattica e’ di tutti.
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I vari PDP della classe, accanto ad eventuali PEI e altri PDP per alunni con DSA, dovranno raccordarsi in una progettazione inclusiva della classe. In una didattica strutturalmente inclusiva: e questa e’ una sfida di altissimo livello, assolutamente strategica. Collegialmente gli insegnanti proveranno a definire alcuni elementi di Didattica Inclusiva che costruiranno la quotidianità delle attività formative, una quotidianità per tutti fatta in modo da accogliere le attività personalizzate. A questo livello si dovrà pensare all’adattamento dei materiali e dei testi, all’attivazione della risorsa compagni di classe (apprendimento cooperativo e tutoring), a varie forme di differenziazione, alla didattica laboratoriale, all’uso inclusivo delle tecnologie. Questa progettazione di classe e’ un valore aggiunto fondamentale alle varie individualizzazioni-personalizzazioni.
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Il Gruppo di Lavoro per l’inclusione può aggiungere altro valore prezioso alle varie proposte di progettazione di classe con i vari PEI/PDP. E questa e’ la seconda sfida strategica da cogliere: il GLI si limiterà a raccogliere le varie progettazioni di classe, confezionarle con un bel fiocco descrittivo dei vari alunni, e inviarle al l’approvazione del Collegio dei docenti e all’iter di negoziazione delle risorse? Qui c’è’ invece l’opportunità di creare altro valore aggiunto elaborando nel Piano Annuale dell’Inclusione quelle strategie funzionali a livello di istituzione scolastica che ottimizzano e massimizzano le risorse presenti, come ad esempio un uso intelligente dell’orario, della formazione delle classi, delle sinergie con altre realtà territoriali, ecc.
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A qualcuno, in queste settimane, e’ sorto il timore che gli insegnanti di sostegno vengano utilizzati, in questa logica “funzionale”, anche per tutti gli altri alunni con BES, rendendo ancora più drammatica la situazione della coperta corta. Ma questo non è’ previsto ne’ consentito, si leggano i commenti di Nocera (FISH).
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Qualcuno addirittura pensa che con queste recenti disposizioni sugli alunni con BES si daranno insegnanti di sostegno soltanto agli alunni con disabilità gravi, alcuni hanno addirittura letto l’acronimo BES come bisogna eliminare il sostegno… Ma anche qui rimando agli articoli di Nocera su superando.it., in cui nega decisamente questa interpretazione catastrofista.
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Le recenti disposizioni insistono molto su un livello di intelligenza territoriale, il CTS, dove si dovrebbero comporre con ulteriore valore aggiunto, i vari PAI delle scuole in relazione alle varie fonti territoriali di risorse (USP, comuni, province, ASL, ecc). Questo e’ un punto ancora debole, per ovvi motivi strutturali, di possibilità di funzionamento, e di complessità del compito. Questo terzo livello di “intelligenza” auspicato, dopo quello del consiglio di classe e del GLI, chiede ulteriore elaborazione, ma ricordo che questa dimensione, interistituzionale e territoriale, anche in altre proposte o disposizioni mostrava evidenti debolezze (si veda la seconda parte dell’Intesa Stato Regioni del marzo 2008 e la proposta dei CRI del Rapporto Caritas,Trellle e Fondazione Agnelli del 2011).
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La numerosità delle classi, eccessiva spesso anche in presenza di uno o più alunni con disabilità, ostacolerà l’applicazione delle disposizioni sugli alunni con BES? Ma allora, cosa aspettano le associazioni dei familiari ad attivare una class action nei confronti del MIUR per far rispettare il DPR 81 del 2009? Gli insegnanti le sosterranno?
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La macro categoria degli alunni con BES e’ gia’ stata introdotta dalla legge di riforma della scuola ( legge 5 del 2006, vedi www.vivoscuola.it) del Trentino, dove abbiamo, nella categoria degli alunni con BES, gli alunni con disabilità, quelli con DSA e quelli con altre e varie forme di svantaggio, problemi, ecc. Dunque quasi 7 anni fa e mi sembra ( anche attraverso due ricerche fatte come componente del Comitato di Valutazione della Scuola Trentina, si vedano i report su www.vivoscuola.it) che non sia accaduto nulla di quello che gli avversari delle recenti disposizioni ministeriali temono: stress da superlavoro degli insegnanti, etichettatura iatrogena di massa, medicalizzazione delle situazioni degli alunni, licenziamenti di insegnanti di sostegno, anzi.
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realtà e astrazioni
Gentile Ianes, è corretto, come fa lei, tentare una definizione di bisogno in positivo e con connotazione politica, per uscire da una visione marginalizzante e/o burocratica.
C’è però un problema: che il tema dei Bes, per ora, è affrontato solo da circolari, cioè la quintessenza della burocraticità. E i soldi? E i mezzi umani (gli insegnanti)?. I temi “politici” si risolvono con grande senso di realtà, con una lotta centrimetro quadrato per centimetro quadrato sul campo, e sul campo c’è bisogno di tutto quello che già ho detto nel vivace dibattico con Nocera.
1) Cosa aspettiamo a fare una class action contro il Miur, si domanda? Perfettamente d’accordo. Però io rileverei che è ben curiosa e paradossale la nostra situazione: il Miur ci fa lavorare sempre peggio, tanto che dobbiamo difenderci dalle sue decisioni con un’azione legale, ma ci aspettiamo che sia lo stesso Miur a risolvere il problema dell’inclusione scolastica, che richiede precisamente la logica [i]opposta[/i] a quella che adotta tipicamente. E’ come se un pugile chiedesse la garza per bendare la ferita all’altro pugile che lo sta massacrando di botte. Non le pare strano? E non le pare cieco plaudere a una circolare di buone intenzioni proclamate nel vuoto del deserto del disinvestimento economico e del “nce sta chi ce penza” (ovviamente non io, Stato: l’insegnante, laggiù in basso, in fondo, in fondo)?
(Visto che ci sono e ancora non l’ho fatto notare: a fronte dell’aumento di carico di lavoro che per i docenti si prospetta, attualmente gli stipendi stanno calando, per via dei blocchi contrattuali, dell’allungamento degli scatti stipendiali, del furto delle ferie non godute ai precari. Altro che aumentare gli stipendi e dare dignità).
2) Cosa aspettano i sindacati ad esigere una formazione continua e obbligatoria, chiede ancora? Be’, forse di non avere più come interlocutori macellai come la Gelmini o tecnocrati come Profumo, che, lo dice anche lei, parlava per gli insegnanti di “aumentare la produttività” e pensava di farlo facendoli lavorare 6 ore in più in classe (ovviamente era solo la scusa per lasciare a casa qualche altro precario). La Carrozza ha uno stile diverso, ma saprà meglio di me che non è il ministro dell’Istruzione che tiene i cordoni della borsa.
Comunque ha ragione, il tema dell’aggiornamento è essenziale, anzi, secondo me è [i]il[/i] tema, anche se la mia opinione è che vada affrontato con un approccio davvero globale, perché gli insegnanti hanno bisogno anche e soprattutto di nuova formazione [i]disciplinare[/i]: oggi tutti ci illudiamo che basti fare corsi di aggiornamento di didattica, di cooperative learning, di pronto soccorso, … mentre il tema a scuola sarà sempre la cultura e l’acculturazione. Per tutti, ovvio. Bes e non bes.
3) Ma vengo al cuore di quello che stiamo discutendo: lo ammette anche lei, l’esclusione e la microesclusione avvengono anche in presenza di una circolare. Sacrosanto. Dunque, o quella circolare è, per la sostanza più vera della questione, superflua, o, come temo, non risolve il problema ma aggrava l’inutile contorno burocratico che lo infioretta. L’inclusione è un tema etico e deontologico. Ci vanno esseri umani che abbiano in sé la propensione mentale, l’attitudine emotiva all’accoglienza, e che abbiano costruito su questo una professionalità. Purtroppo non è possibile fare selezioni su base etica: il campo è troppo sfuggente. Però la politica può agire sulla costruzione di profili professionali vocazionali e fortemente motivanti: sicuramente questo attirerà anche chi quella propensione etica ce l’ha. Il tema è quindi anche quello della selezione dei docenti. Faccio un esempio concreto: invece di emanare circolari sui Bes, che il ministero stanzi un corposo fondo per corsi di aggiornamento a tappeto e tenuti da persone competenti (ne ricordo uno, bello, tenuto da un’esperta di Dsa, che ci fece fare una specie di gioco di ruolo in cui eravamo messi nelle condizioni percettive di un dislessico. Quante cose ho capito in quei 15 minuti. Altro che leggere circolari!). Non: faccia i corsi di aggiornamento [i]e [/i]le circolari, ma faccia [i]solo[/i] i corsi di aggiornemento. Se le informazioni girano, se gli insegnanti sono supportati davvero, se si danno strumenti, vedrà che perché essi si accorgano che a un dislessico bisogna offrire una didattica diversa non ci sarà bisogno di imporglielo per circolare. Io ho sempre fatto così, e ho il fortissimo timore che ora il tempo che perderò a redigere Pdp mi sottrarrà quello che impiegavo per l’inclusione davvero fattiva.
4) Non nascondiamoci dietro le circolari. Io voglio includere davvero. Saprà meglio di me che la normativa vuole che i ragazzi col sostegno stiano in classe. Bene, c’è un modo di intendere la norma letterale e uno interpretativo. Ovviamente il modo intelligente è il secondo. Modo letterale: il ragazzo sta sempre in classe, pure se fa tutt’altro e pure se per farlo disturba l’insegnante curricolare e la classe. (Orrore! Ma questo è un nazista che vuole escludere e tenere lontano dagli occhi il ragazzino disabile! Vergogna! Razzista! Barbaro!); (sì, c’è chi prega il collega di sostegno di allontanarsi perché non vuole vedere e ha “ben altro” da fare; ma c’è anche chi davvero vorrebbe solo che tutti lavorassero bene, ciascuno per quel che lo riguarda). Modo interpretativo: la circolare intende dire che il ragazzo fa parte di un gruppo e che bisogna fare il possibile perché in quel gruppo si integri
da ogni punto di vista. Questo, ovvio, comporta anche che l’insegnante curricolare abbia la pazienza e l’umiltà di discutere e collaborare con il docente di sostegno per immaginare percorsi e lavori cui [i]tutti[/i] possano partecipare. Come mi comporto io: [i]ogni volta[/i] che è possibile, il ragazzo [i]deve[/i] stare in classe, [i]lavorando[/i] seriamente, perché il sostegno ha l’obiettivo di far migliorare e conseguire risultati, non di intrattenere il ragazzo alla meno peggio. Oggi però c’è una lezione di storia che Luigi (nome di fantasia) non riesce a seguire, perché i concetti letti sul libro e spiegati dall’insegnante sono complessi, poi le pagine sono troppe e lui ha bisogno di centellinare. Ci alziamo, prendiamo il suo libro semplificato e il suo pc e troviamo un’aula vuota. Leggiamo le pagine semplificate insieme, facciamo mappe concettuali con C-map sul computere, gli spiego gli argomenti in forme che possa comprendere, magari anche con l’ausilio di immagini trovate su Google. Se fossi rimasto in classe lui non avrebbe potuto lavorare, la classe neanche, la collega neanche, io neanche. Non è inclusività?
Morale: le norme stanno lontane anni luce dalla realtà. Io, se le indicazioni nazionali e le circolari dicono stupidaggini, le ignoro. L’obiettivo cui punto è un altro, [i]educare[/i].
5) Infine: ho potuto includere i ragazzi con “Bes” (prima che esistesse la circolare) perché, finora, ho avuto la fortuna di avere al massimo un paio di casi per classe (di solito uno), nei licei e alle medie.
Lei è mai entrato in una classe di professionale? Io sì, durante un tirocinio osservativo: 30 allievi, di cui metà stranieri (metà di questa metà da alfabetizzare), problemi di comprensione di testi non difficili dilaganti anche negli italiani, analfabetismo di ritorno che già iniziava, sicuramente qualche caso di dislessia non individuato e certificato, problemi seri per l’insegnante a tenere la disciplina. Un insegnante. Solo. Cosa crede che potesse fare se non sopravvivere? Cosa crede che facessero gli allievi? Cosa crede che succederà domani che quell’insegnante dovrà redigere con il consiglio di classe pure un PDP per ciascuno di quei casi?