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diretto da Romano Luperini

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Abbasso la libertà! Scrivere e pubblicare nell’era di internet

 

La cruna e il cammello

Tra i ricordi della mia infanzia conservo con particolare vivezza una frase ascoltata in una di quelle tiepide domeniche mattine di inizio primavera, quando la messa dei ragazzi era alle nove ed io sognavo di diventare chierichetto e di cantare nel coro della mia chiesa. Ricordo bene la frase (e non controllo su wikipedia perché credo che il modo in cui me la ricordo sia più importante della cosa in sé): “E’ più facile far passare un cammello dalla cruna di un ago che entrare nel regno dei cieli”. Anche adesso che la riscrivo non posso nascondermi un senso di disagio imbarazzato. Come poteva, quel Dio che era amore puro, essere anche così severo e minaccioso? E non era, il paradiso, un luogo in cui naturalmente mi era destinato risiedere?

Per ragioni legate al mestiere che faccio, mi sono trovato di recente a visitare uno di quei siti internet che pubblica romanzi e poesie e che ha ispirato queste poche righe che sto scrivendo. Luperini ha scritto pagine bellissime sul destino ingrato che costringe l’esperto di letteratura a dover leggere per amicizia pagine e pagine composte da conoscenti, alunni o dilettanti senza nome (Insegnare a Siena, Edizioni di Barbablù, Siena, 1990, a cura di Floriana D’Amely, difficile da reperire, ma, per me, il suo primo tentativo di scrittura creativa). Dopo la mia prima navigazione su questo sito, alla ricerca (e valutazione) del romanzo di un amico, quelle parole mi sono tornate in mente dall’infanzia: “è più facile far passare un cammello dalla cruna di un ago che entrare nel regno dei cieli”. Evidentemente io lì mi trovavo all’inferno.

Il sito ha un design semplice, ma estremamente curato: a prima vista (e così forse anche nella memoria di chi lo consulta distrattamente e poi spegne il portatile, l’iphone o il tablet) è identico al sito della Feltrinelli. Di libri, quindi, stiamo parlando. Non è l’unico sito che pubblica romanzi online, ma è solo la punta (o forse il corpo sprofondato) di quella nuova editoria in rete che sta prendendo il posto delle pubblicazioni cartacee, distruggendo le piccole, limitanti e oscure lobby che controllano la cultura (case editrici, istituti di cultura, università, accademie) e favorendo alberi, ecosistemi e, soprattutto, libertà. Abbasso l’Accademia della Crusca, quella dei Lincei e le Università degli Studi di…: troppa polvere, troppa noia. Viva la giovinezza. Viva la libertà.

Libertà giovinezza

Esattamente come una libreria reale, l’utente del sito che pubblica romanzi può accedere al catalogo generale in ordine alfabetico e leggere alcune pagine delle singole opere. Anzi, più che alcune: ogni romanzo ha un riassunto della trama ed è consultabile (circa una cinquantina di pagine per testo). Le biografie degli autori -evidentemente autoredatte per varietà di stili- sono minuziose, a volte spiritose, a volte patetiche. Leggo disordinatamente pagine di cattivissimi romanzi e, come prima reazione, mi diverto. Sono romanzi scritti senza alcun senso estetico, privi di struttura, privi di idee. La maggior parte di chi pubblica imita situazioni e toni di film occidentali. Scopro, con fastidio che sostituisce rapidamente il divertimento, che sono film che amo anch’io. Tutt’altro che blockbuster e cinepanettoni, o forse blockbuster camuffati da film indipendenti: Pulp Fiction, Dogville, Paura e delirio a Las Vegas. Si sprecano i rifacimenti di Tolkien, Harry Potter e Underworld (il film con vampiri e licantropi, intendiamoci). Gli autori più anziani sono più noiosi. I romanzi scritti dai giovani sono più imprevedibili, ma anche maggiormente sconclusionati e zeppi di errori, soprattutto sintattici. I più bravi si abbandonano alla paratassi, imitando il ritmo sincopato dei montaggi dei film di John Woo: personaggi che non sanno dove andare, cliché, situazioni scontate, dialoghi goffi, in breve: niente da dire. Questi siti sono la versione digitale di quelle case editrici truffaldine che, stagionalmente, si fanno pubblicità sulle principali testate giornalistiche italiane. In primavera compare sempre qualche annuncio che chiede di inviare poesie, racconti, addirittura saggi e romanzi. Eppure la libertà di pubblicazione online va ben al di là di questo sito e potrebbe modificare per sempre il modo in cui si produce e si legge letteratura. Il fastidio, dentro di me, lascia il posto all’angoscia.

Libertà scelta 

Internet è piombato sulla diffusione e la produzione di cultura come uno schiacciasassi, moltiplicando in maniera esponenziale l’effetto già devastante delle storture editoriali. La prospettiva che la rete determini il modo di pubblicare la letteratura che verrà è concreta. La crisi delle case editrici tradizionali (dirette e animate sempre più da chi non ha la minima idea di cosa sia la letteratura: economisti, esperti informatici, esperti di comunicazione) e la commercializzazione di apparecchiature che rendono effettiva la fruizione di libri scaricabili online, stanno producendo un cambiamento antropologico paragonabile all’invenzione della stampa stessa. Sta succedendo adesso e l’entusiasmo è alle stelle. “Pensa che libertà”, mi dice l’amico informatico -tutti noi abbiamo un amico informatico, ovviamente sempre entusiasta e sognatore-, “non più diritti alle case editrici, non più libri cartacei, non più tromboni che ti dicono cosa leggere, solo libero download e condivisione”. Se leggi un bel libro puoi scriverlo su Anobii o Facebook. Se sei cool e hai un mare di seguaci la tua idea conterà più di quella di Agamben (ho visto fare a pezzi da più di un lettore di Anobii Moby Dick, Ulisse o i Demoni; un lettore ha votato La metamorfosi di Kafka attribuendogli tre stelline d’oro su cinque). Tutti potranno pubblicare, non saranno più pochi individui a decidere cosa far leggere al grande pubblico, non bisognerà più “avere contatti” o “essere raccomandati”: ognuno leggerà quello che vuole, mentre altri scriveranno e liberamente metteranno in rete ciò che vogliono. “Posso scaricarmi qualsiasi cosa”, continua il mio amico, “e a breve smetteremo di pagare quei siti che ancora richiedono un’iscrizione”. È così, ha ragione, sta succedendo, fare resistenza sarebbe sciocco. Vengono in mente i lanternini di Pirandello, tutti convogliati attorno a giganteschi lanternoni. Oggi tutti seguiamo il lanternone della libertà e i suoi colori sgargianti da sito internet. Sarebbe sciocco fare resistenza, soprattutto farla attraverso un blog.

Eppure scrivo perché sono certo che sia proprio questa forma di nuova e meravigliosa libertà che ucciderà la letteratura. Ho sempre tentato di immaginarmi come difensore dell’espressione, dell’umanesimo, della libertà. Da qualche tempo la mia idea è cambiata e credo che questa sia una libertà che fa male. Leggo ossessivamente il Principe e penso che Machiavelli aveva ragione, anche se in senso molto diverso da quello che penso io oggi: la cosa più delicata e pericolosa è la libertà, questa libertà.

Questa libertà

La letteratura del Novecento immaginava tecniche di controllo repressivo di future dittature in un modo che si è dimostrato inattuale. Tutte le storie apocalittiche sono, come scriveva Jameson, figlie del proprio tempo e parlano molto di più del presente che del futuro. Adoro Orwell, Bradbury e Philip K. Dick, leggo appassionatamente Burroughs o la Atwood, ma credo che le loro previsioni di sventura appartengano ad un mondo molto migliore del nostro. Quegli autori avevano il lusso di immaginarsi un futuro molto più repressivo e molto meno spaventoso del nostro presente. Di conseguenza quei romanzi apocalittici, oggi, producono lo stesso effetto di un film comico degli anni Trenta: potranno farci sorridere, ma a stento troveremo ritmi accettabili o situazioni coinvolgenti.

Credo che, nel campo della produzione e del consumo di letteratura, la rete stia producendo uno stato repressivo inedito e che definirei “dittatura della libertà”. Non la repressione castrante immaginata dalla narrativa distopica del XX secolo, ma una diversa repressione, raggiunta attraverso l’esasperazione del concetto stesso di pari opportunità e libertà. Massimo Recalcati, nell’Uomo senza inconscio, ha recentemente parlato della dittatura del godimento. Credo che il suo ragionamento sull’epoca ipermoderna sia perfettamente applicabile al rapporto tra letteratura e rete.

Libertà cacofonia

Per un periodo breve ma glorioso, le feste di compleanno (come anche matrimoni, battesimi o altri eventi sociali) a cui partecipavo da bambino vennero dominate dal fenomeno degli animatori: ragazzi onesti e volenterosi che si prendevano l’onere di coordinare il divertimento dei più piccoli. Quello che ancora oggi persiste nei villaggi vacanze Valtur, all’inizio degli anni Novanta venne riprodotto anche nelle più piccole feste casalinghe delle famiglie italiane (almeno in quelle meridionali). Uno dei giochi che più mi eccitava, spaventandomi al tempo stesso, consisteva nel dividere i ragazzi in due gruppi: mentre un gruppo cantava una canzone, l’altro aveva il compito di urlare a squarciagola in modo da rendere incomprensibili le parole degli avversari. Ai genitori, chiamati come giurati, spettava il compito di capire quale fosse il gruppo più bravo a vincere la cacofonia facendo sentire la propria canzone.

Lo scopo di questo ricordo è manifesto. Credo che la rete, soprattutto pensando alla produzione e alla ricezione di prodotti estetici, stia distruggendo quello che nessuna repressione è mai riuscita a toccare. Dal Concilio di Trento in avanti è stato chiaro che, per quanto gli organi di controllo repressivo si ostinassero a cancellare, non era possibile controllare l’espansione della letteratura. Galileo poteva abiurare, ma lasciava per sempre il suo Dialogo. Montesquieu poteva piegarsi, ma bastava andare in biblioteca e leggere le Lettere persiane. Più repressione significa più ironia, più spostamento, più libertà.

Più libri venivano bloccati, più scrittori clandestini erano coltivati. La pubblicazione gratuita e senza filtro di opere letterarie via internet dimostra che i roghi non bisogna appiccarli, producono solo un fastidioso odore. Le nuove forme di libera espressione, quelle che la generazione a cui appartengo subisce senza accorgersene, hanno invertito la tendenza, incoraggiando la distruzione di ciò che fino ad oggi abbiamo chiamato letteratura. Come è possibile far tacere gli scrittori? Come si può bloccare la cultura? Come è possibile uccidere la letteratura?

Semplice: si offre a tutti la possibilità di parlare, con la stessa voce, contemporaneamente, creando un nuovo inferno, dove tutti sono ignavi senza volto e senza storia. Che importa che tra quelle frasi sgrammaticate che si leggono nei blog, nelle associazioni culturali online o nei siti che mettono in rete romanzi e poesie ci sia l’italiano di Gadda, il flusso di coscienza di Joyce, il monologo interiore di Proust? Dov’è finito Julien Sorel, o l’io lirico di Caproni? Come farà ad emergere Victor Hugo? Dove leggeremo le provocazioni dei futuristi, dei dada o della neoavanguardia? Dove sono gli editori? Dove i critici?

Se berlusconismo, marketing e scienze della comunicazione avevano tramortito la letteratura (almeno in Italia), oggi il colpo di grazia è venuto dalla libertà della rete. Ognuno ha diritto di esprimersi e di urlare le proprie idee nello spazio libero e seducente della rete. I lettori, magari tramite passaparola e recensioni di altri lettori, potranno unirsi in gruppi dalla vita più o meno breve, amare un autore coreano cieco che scrive storie di aquiloni, o infervorarsi per la poetessa somala violentata a dodici anni. Saviano potrà pronunciare qualsiasi verità testimoniale, ma ci sarà sempre un sito di controinformazione molto più virulento, aggiornato e schierato di lui.

La letteratura sarà libera, senza critica, senza scrittori, senza canone: rimarrà solo una meravigliosa, lucente e abbacinante confezione.

Dunque, che fare? Bloccare la rete? Censurare?

Forse, più modestamente, smettere di scrivere e tornare a leggere. Smettere di urlare la propria libertà ed iniziare a coltivarla. E a meritarsela. E restituire sacralità a quella cosa che, caduta nel fango di un marciapiede davanti a un bordello, nessuno ha più raccolto.

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