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diretto da Romano Luperini

Dulce literarum otium: chi ascolta, chi legge, chi interpreta?

LN si prende una pausa estiva. Nel prossimo mese e mezzo ripubblicheremo alcuni articoli usciti quest’anno. Auguriamo a tutti i nostri lettori e lettrici buone vacanze. Ci rivediamo i primi di settembre.

Nel film Mr. Harrigan’s Phone, del regista John Lee Hancock, tratto dall’omonimo racconto di  Stephen King, l’anziano miliardario protagonista, a cui è calata la vista, assolda come lettore un bambino di una famiglia in difficoltà economica. Nella  loro frequentazione si confrontano mondi lontanissimi tra di loro per età, condizioni sociali, mentalità, esperienze, ma  ambedue i protagonisti a partire dalla letteratura entrano in profonda relazione tra loro e  si interrogano sul senso della vita, sulla gestione della ricchezza e del potere, e, soprattutto, sulla morte: il signor Harrigan è abituato a leggere solo di finanza, ma l’ascolto delle pagine che gli vengono lette sono strumento per riflettere, interrogarsi e interrogare il suo lettore; il bambino-adolescente Craig, che ha perso la mamma, si affeziona profondamente al misterioso personaggio  proprio leggendo per lui e discutendo sul significato dei testi (Conrad e la visione dell’orrore  in Cuore di tenebra, Dostoevskij e Wilde). Ripensando al suo impegno continuo (va nel palazzo del signore tre volte alla settimana per cinque anni) intuisce come per l’anziano cupo e solo la sua lettura non sia soltanto un momento di compagnia e di relazione umana, ma divenga anche apportatrice di senso e costituisca perciò un appuntamento inderogabile, il “culmine” della settimana. 

Che poi il ragazzo, per farlo entrare nella propria postmodernità, gli regali un cellulare, implicitamente accentua lo scontro tra la complessità della letteratura e la comunicazione virtuale in cui siamo immersi, quella che determina le inverosimili vicende su cui il film è imperniato. In ogni caso a me pare molto interessante la rappresentazione del tema del veicolarsi della letteratura attraverso il rapporto tra chi legge e chi ascolta, un tema che ha subito e subisce diverse articolazioni nel nostro tempo.

L’ascolto dei testi

Nel periodo della pandemia c’è stato sicuramente un incremento dell’abitudine ad ascoltare, ma certo è venuta meno o si è ridotta fortemente la relazione umana: si è diffusa l’abitudine a fruire della letteratura attraverso una voce registrata (si pensi all’utilizzo, anche da parte di lettori forti, degli audiolibri). Certo, anche prima c’erano gli ascolti delle letture fatte da altri, spesso presenti sulla scena come protagonisti: mi riferisco ad esempio ai festival letterari, a Bookcity, alle presentazioni di libri, alle serate di poesia. Ognuna di queste attività, che mantengono in vita la letteratura e perciò non sono di per sé negative, andrebbe però indagata soprattutto relativamente alla sua fruizione: costituiscono degli stimoli alla lettura, a comprare il libro e a leggerlo, o la sostituiscono? 

Sappiamo che si legge sempre meno (cfr. Sabbadini, Ma sei italiani su dieci non leggono, La Stampa, 19 maggio 2023), che si capiscono sempre meno i testi, che la letteratura è emarginata. Spesso inoltre mi sembra che questa divulgazione si attui in una forma eccessivamente spettacolare, quando non narcisistica, e permetta soltanto un “sorvolo” delle opere in superficie, contribuendo al vaniloquio interpretativo sempre più diffuso. Mi chiedo  inoltre quanto influisca  sulla ricezione l’abitudine o meno all’ascolto: personalmente ascoltare un testo che viene letto in radio mentre guido mi fa compagnia; tuttavia  sono consapevole che per comprenderne  non solo i  significati profondi ma perfino la storia che viene raccontata, dovrei accompagnare il mio ascolto, in questo caso necessariamente disattento e passivo, con la lettura sul cartaceo, che mi richiede invece attenzione, fatica e pensiero: è un limite mio, della mia generazione, o un problema per tutti? E quanto a chi ascolta importa capire?  

Ritengo che ascoltare una lettura non sia di per sé un’operazione meccanica, ma non penso neppure che implichi automaticamente un processo mentale di elaborazione. Inoltre nelle situazioni a cui faccio riferimento manca la fondamentale relazione tra chi riattualizza il testo leggendolo e chi lo recepisce ascoltandolo.  Si viene a creare per gli uni e gli altri un rapporto unidirezionale per quanto biunivoco: con la materialità del testo che coinvolge rispettivamente il senso della vista del lettore (anche nel significato metaforico del “vedere dentro”) e quello dell’udito dell’ascoltatore (che può esaurirsi nel vacuo “orecchiare”, ma anche rimandare al valore evocativo delle parole ascoltate), sensi che in ogni caso non interagiscono tra di loro rendendo la comunicazione solo potenziale. Mi chiedo poi se iniziative che di fatto impediscono i rapporti umani siano utili a un’educazione alla letteratura: a Brusson (La Stampa,6 luglio 2023) si propone l’ascolto di “fiabe in cuffia” per i bambini, che “immersi nella natura (…) ascolteranno una storia raccontata in cuffie da silent disco collegate a un trasmettitore” insieme a “musiche e effetti speciali, isolandosi dal contesto ma rimanendo pur sempre nella natura” (!).

Se la relazione è assente o ridotta ai minimi termini, anche la letteratura non ha la forza di opporsi al magma multimediale o alle mode di mercato, ma risponde anch’essa a una logica di consumo: ad esempio a Milano si diffondono sempre di più le librerie in cui si mangia o si lavora al computer, in cui i libri, lungi dall’essere venduti, letti o discussi, sono un pezzo dell’arredamento; se mai la loro divulgazione avviene attraverso “eventi”, con un intento televisivo-pubblicitario. Esistono anche situazioni opposte, a mio parere meno mistificanti: piccole trattorie o caffè in cui si va per mangiare, ma in cui si può ascoltare la lettura di un testo o la presentazione di un autore, fatte con un chiaro scopo di intrattenimento. In ambedue i casi la possibilità di confronto è limitata, ma andrebbe indagata sia l’importante esperienza di chi legge sulla base delle sue conoscenze sia quella del gruppo di ascoltatori, necessariamente disomogenei tra di loro.

Differente è invece la situazione in cui il lettore ad alta voce ha lo scopo programmatico di portare la letteratura “altrove”: il trasmetterla agli altri si carica allora di un valore etico ed estetico sia per chi la veicola, che per chi la riceve. Tralasciando volutamente i problemi  complessissimi della lettura dei testi legata all’insegnamento (quanto la fruizione degli studenti dipende da chi e come legge?), penso in particolare alle attività di volontariato: ad esempio ai lettori per i bambini piccoli dell’associazione fondata da pediatri Nati per leggere, a quelli formati dal comune di Milano per le letture in biblioteca, nelle scuole, negli ospedali, nelle case di riposo, o a chi lo fa individualmente per persone anziane, malate, non vedenti o per gruppi di amici.  Evidente in questo caso, come nel film Mr. Harrigan’s Phone, l’importanza della relazione affettiva tra chi legge e chi ascolta e la conseguente possibilità di un confronto interpretativo.  

I gruppi di lettura Ma che rapporto esiste tra la dimensione dell’ascolto e quella del leggere all’interno dei veri e propri gruppi di lettura? Come ha sottolineato Luisa Mirone nel suo bellissimo articolo “Leggere in circolo”, in questo caso la lettura individuale di un libro viene socializzata; la ricezione prende corpo nella discussione con i partecipanti al gruppo e la multiformità dei loro punti di vista, approfondendosi e modificandosi rispetto a quella privata. L’ascolto profondo degli altri è perciò lo strumento attraverso cui si attua. Ma se la condivisione hinc et nunc, la condivisione dello spazio e del tempo costituiscono il fondamento relazionale di un circolo di lettura, non è certo secondario, come viene per altro sottolineato, l’ascolto del testo, a cui ogni interpretazione deve rimanere ancorata.  Ritengo infatti che la lettura diretta anche di frammenti di un’opera sia qualcosa di sostanziale rispetto al suo racconto.

All’interno del gruppo il rileggere un passo particolarmente significativo, magari come introduzione alla discussione, il notare il ricorrere di un tema attraverso citazioni, l’evidenziare snodi problematici sono operazioni che permettono di uscire da un confronto basato soltanto sul “mi è piaciuto, non mi è piaciuto”, di non correre il pericolo dell’estemporaneità o del divagare intorno a ciò che si è letto. Il gruppo è l’occasione per ritornare sul testo (Beccaria, In contrattempo, Einaudi, Torino, 2022), per coglierne aspetti e dinamiche che ciascun lettore può mostrare agli altri perché gli altri ne discutano. In questo modo può attuarsi quella ricerca della propria identità nell’alterità di cui scrive Mirone, che cita Filippo La Porta e il suo considerare i gruppi di lettura il luogo privilegiato della vitalità e resistenza della letteratura:

Viviamo in tempi di utopie minimaliste. Ne coltivo una, dalla parte dei lettori. Credo in un lettore più esigente e inquieto. Esiste anche se disperso nella folla. Dove si può formare? Anche e soprattutto nei tantissimi gruppi spontanei di lettura che esistono nel nostro paese: biblioteche, case private, scuole, librerie… Sono l’equivalente di associazioni e organismi di base in cui nella democrazia – secondo Tocqueville – si forma il cittadino consapevole e responsabile. Sono questi lettori a prendere sul serio la letteratura e così a farla tornare a essere pericolosa,sovversiva.(Filippo La Portain Estremo contemporaneo a cura di E. Zinato, Treccani 2020, p.180)

Non vorrei certo negare l’utopia minimalista relativa alla vita della letteratura attraverso i gruppi di lettura, ma sottolineare anche i limiti e i rischi delle loro diverse modalità e esprimere alcune riflessioni al riguardo.

Innanzi tutto perché un gruppo di lettura sia davvero tale, è necessario che chi partecipa lo faccia sulla base di un’autentica passione per i libri e di un desiderio reale di confrontarsi con gli altri. Mi è capitato di vedere come la mancanza di una motivazione profonda comporti una comunicazione fragile e casuale: se la letteratura è di per sé compagnia e rapporto con l’altro, se la relazione tra i lettori è fondamentale, non è sufficiente una partecipazione all’insegna del desiderio di riempire un vuoto, pena il rischio di ricadere nel morettiano faccio cose vedo gente. Così la meravigliosa dimensione della convivialità e dell’amicizia che caratterizza spesso i gruppi, di solito frequentati da sole donne (un aspetto quello della loro femminilizzazione da approfondire), deve coniugarsi con un forte e prioritario interesse per la lettura.

L’esperienza particolarmente positiva a cui fa riferimento Luisa Mirone deriva da un sostrato culturale e affettivo comune tra amici di lunga data, un’esperienza davvero invidiabile, ma che non può a mio parere essere generalizzata.  L’aggregazione dei componenti del gruppo non è casuale né automatica e la sua tenuta dipende dall’esistenza di un nucleo forte alla sua base ed è il frutto di un processo che può attuarsi attraverso il rispetto di alcune regole: l’adesione a un programma, il rispetto delle scadenze, l’assiduità della partecipazione, l’impegno nella lettura. Questa è la mia personale esperienza: un faticoso equilibrio tra gruppo chiuso e aperto (con qualche abbandono e qualche inserimento di nuovi partecipanti), tra lentezza e velocità di lettura, tra approfondimento e leggerezza, pena lo sfaldamento o la perdita di motivazione. E ritengo anche che una persona che organizzi l’incontro o guidi il gruppo costituisca un elemento di coesione e non necessariamente sia un’entità accentratrice, dispotica. La condivisione è anche condivisione di competenze: chi ha studi letterari alle spalle sarà portato a mettere in luce gli aspetti stilistici del testo, chi  ha interessi filosofici a evidenziare i contenuti di pensiero, chi ha lavorato nel sociale  a  rilevare le condizioni di vita dei personaggi, senza naturalmente che questo divenga un ruolo prefissato e impedisca la libertà e la spontaneità del lettore-interprete.

Anche la scelta di che cosa leggere all’interno del mare magnum della produzione editoriale necessita di lettori appassionati e consapevoli perché non sia estemporanea e neppure soltanto influenzata dal successo degli autori o dell’argomento trattato, come spesso avviene: la formazione del lettore sicuramente cresce all’interno del gruppo, ma difficilmente nasce senza una base di partenza. Anche il mio gruppo di lettura è forse  come quello di Luisa Mirone, un po’ elitario,  costituito da lettori motivati e in qualche modo già formati (curiosa è la coincidenza di alcuni libri letti): non certo per addetti ai lavori, ma per persone che vogliono fare fatica, la fatica di leggere: leggere ciò che non si è letto, ciò che si è fatto finta di leggere, ciò che non si leggerebbe senza il gruppo per metterci alla prova, leggere libri bisognosi di una lettura paziente,i classiconi, quelli che tutti vogliono avere letto e nessuno vuole leggere  non per assaggiarli e inghiottirli, ma per masticarli e digerirli (Vitiello, Il lettore sul lettino, Einaudi, Torino 2021), leggere per pensare a che cosa dire nell’incontro  con gli altri. Il gruppo insomma come modo per coniugare la fatica della lettura con il piacere che ne deriva.

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