L’anguilla e Tesla: riflessioni sul colloquio dell’Esame di Stato
Ridere per non piangere
Ultime settimane dell’anno scolastico, lezione di letteratura italiana sulla famosa poesia di Montale, L’anguilla; dopo aver cercato di stimolare la classe a interpretare il significato dell’animale, con riferimenti ad altri testi dell’autore ligure e alla figura di Clizia, per richiamare l’attenzione calante propongo la solita domanda: «se questo testo uscisse al colloquio dell’Esame, quale percorso impostereste?». Nel mutismo generale, dovuto non so se a timidezza, incapacità di rispondere o, più probabilmente, alla stanchezza dell’ultima ora di un caldo lunedì di maggio, una studentessa brillante e propositiva esordisce: «Beh, questo per me sarebbe un ottimo spunto: le anguille sono degli animali che producono energia elettrica, quindi a questo punto io la collegherei a Fisica, perché abbiamo studiato l’elettromagnetismo e la figura di Tesla; da qui poi la collegherei alla radio e all’uso che se ne fece nella seconda guerra mondiale, parlando anche dei bombardamenti su Londra. Poi si può collegare anche a tedesco, al Nazismo e Hitler».
Questa è soltanto una, forse non la peggiore, ma sicuramente la più “creativa”, fra le proposte di percorso pluridisciplinare che ho ascoltato in questi anni dagli studenti di classe quinta; tuttavia già nell’ultimo Esame di Stato “pre-covid”, quello dell’a.s. 2018-2019, la scelta dei materiali da cui partire per il colloquio orale (con l’estrazione delle buste in omaggio al compianto Mike Bongiorno) aveva dato vita a percorsi a prima vista esilaranti ma, se ci pensiamo bene, svilenti per la complessità concettuale delle discipline che si affrontano nell’ultimo anno di scuola superiore.
Una normativa tronfia
Il colloquio orale dell’Esame di Stato, per l’anno scolastico corrente, è definito dalla Nota prot. n. 2860, emessa il 30 dicembre 2022 e poi dall’Ordinanza n. 45 del 9 marzo; in quest’ultima, all’articolo 22, si specifica che «Il colloquio si svolge a partire dall’analisi, da parte del candidato, del materiale scelto dalla commissione/classe, attinente alle Indicazioni nazionali per i Licei e alle Linee guida per gli istituti tecnici e professionali. Il materiale è costituito da un testo, un documento, un’esperienza, un progetto, un problema, ed è predisposto e assegnato dalla commissione/classe ai sensi del comma 5»; in questa fase il candidato deve dimostrare «di aver acquisito i contenuti e i metodi propri delle singole discipline, di essere capace di utilizzare le conoscenze acquisite e di metterle in relazione tra loro per argomentare in maniera critica e personale, utilizzando anche la lingua straniera». Nella sezione “Tutto sulla maturità 2023”, il MIM precisa, in un lessico più alla portata degli studenti, che il colloquio (grassetto mio): «È la fase dell’Esame in cui valorizzare il percorso formativo e di crescita, le competenze, i talenti, la capacità dello studente di elaborare, in una prospettiva pluridisciplinare, i temi più significativi di ciascuna disciplina. Questi ultimi saranno indicati nel documento del Consiglio di Classe di ciascuno studente».
Insomma, da quanto si legge sembrerebbe che il colloquio rappresenti il “pezzo forte” di tutto l’Esame di Stato, il momento in cui lo studente talentuoso (forse per riprendere il merito tanto declamato negli ultimi mesi) potrà valorizzare il suo percorso quinquennale, istituendo collegamenti proficui tra le diverse discipline attraverso l’utilizzo anche della lingua straniera; i docenti dovranno riuscire a creare un equilibrio tra le «diverse discipline, evitando una rigida distinzione tra le stesse».
Presupposti mancanti
Credo che l’espressione «evitando una rigida distinzione tra le discipline», contenuta nell’Ordinanza Ministeriale, tradisca però il presupposto mancante alla base di tutto il colloquio: l’intersezione continua tra le diverse discipline e l’attivazione di percorsi interdisciplinari nel corso del quinto anno ma, azzarderei, nell’intero secondo ciclo. Il Ministero, evidentemente, parte da un prerequisito (spesso) assente: la sinergia tra gli itinerari di apprendimento delle diverse materie e la progettazione di moduli che dovrebbero avere come risultato la capacità dello studente di muoversi agevolmente tra gli “stimoli” che la commissione proporrà nella parte iniziale del colloquio.
Sappiamo bene che non è così: se si dà infatti una lettura alle Indicazioni Nazionali e alle Linee guida per gli istituti tecnici e professionali si percepisce ancora una netta separazione tra le diverse discipline, tutte regolate da “Linee generali e competenze” e da “Obiettivi specifici di apprendimento”; i punti di contatto, se sono certamente possibili tra materie umanistiche, diventano assai difficili da istituire con quelle scientifiche, specie se, come è avvenuto col Decreto Ministeriale n. 11 del 25 gennaio 2023 che ha definito le materie affidate ai commissari interni ed esterni, in due indirizzi umanistici come il Liceo Linguistico e il Liceo Classico gli studenti si dovranno confrontare con materiali rispettivamente di Fisica e Scienze naturali.
Non si creda però che sia semplice proporre percorsi inter e pluridisciplinari anche nel medesimo ambito: la filosofia si riduce il più delle volte a storia della filosofia, la letteratura italiana alla solita litania impostata cronologicamente che da Leopardi porta (nel migliore dei casi) a Montale. Lo stesso dicasi per le letterature straniere per le quali si incorre nella problematica di percorsi tra di loro sfasati cronologicamente e nella difficoltà di proporre testi in lingua originale per l’ostica lingua degli autori.
Ne deriva che nel colloquio si propongono agli studenti operazioni di rielaborazione, collegamento, intersezione tra discipline che, nella pratica, raramente effettuano; è anche vero che, in un becero teach to test, si potrebbe abituare la classe con esempi continui di materiali da cui partire per il colloquio orale, ma credo che, oltre a togliere tempo per l’ordinaria attività didattica, questo rappresenterebbe un “trucchetto” per mascherare qualcosa che non va.
Ritengo che le soluzioni per evitare che si ripresenti la connessione tra l’anguilla e Tesla possano essere due: una, consiste nell’insegnamento della letteratura (ma credo anche della filosofia) per temi; il secondo nella promozione di una didattica delle competenze che trovi la sua realizzazione nelle unità di apprendimento, usate negli Istituti professionali, ma ancora poco penetrate nei Licei.
L’insegnamento per temi
Per la prima soluzione ci aiuta il volume di Romano Luperini Insegnare la letteratura oggi; nel capitolo che dà il titolo all’opera, dopo aver sottolineato che scegliere percorsi tematici «non è un espediente per semplificare o ridurre l’insegnamento della letteratura», l’autore scrive: «praticare percorsi tematici comporta la capacità del docente non solo di collegarsi con gli altri insegnanti – da quello di storia e di filosofia a quello di scienze e fisica, da quello di storia dell’arte a quello di lingue straniere -, ma anche di collocare le opere all’interno della storia della civiltà, della mentalità, del costume e della cultura dei popoli»; tali percorsi «hanno infine un altro vantaggio: possono congiungere autori del passato e del presente, favorire confronti, contribuire ad articolare differenze e somiglianze fra opere dei secoli scorsi e le manifestazioni letterarie, artistiche e culturali dei nostri giorni» (R. Luperini, Insegnare la letteratura oggi. Quinta edizione ampliata, Manni, Lecce 2013, pp. 52-53).
Tanto per fare un esempio, se si lavora per grandi temi (l’intellettuale tra Otto e Novecento, l’evoluzione del ruolo della donna, la guerra, uomo e lavoro, tanto per fare qualche esempio riferito al quinto anno), la presentazione di un “materiale” come il quadro di Pellizza da Volpedo Il quarto stato attiverà una serie di connessioni che porteranno a strade diverse, a seconda sì, del talento dello studente, ma soprattutto ora in grado di istituire collegamenti ben più adeguati di quelli strampalati a cui ci siamo così abituati in questi ultimi quattro anni da nemmeno farci più caso. Lo stesso dicasi, per esempio, se si propone, valorizzando la storia dell’arte (materia che andrebbe inserita a mio avviso in ogni percorso di istruzione superiore) il dipinto di Egon Schiele, Doppio ritratto – L’ispettore capo Heinrich Benesch e suo figlio Otto.
Dal quadro si può evidenziare il contrasto tra padre e figlio, che è uno dei grandi temi della letteratura del primo Novecento e dal dipinto si possono dipartire strade che portano al complesso di Edipo di Freud, alla Lettera al padre di Kafka, passando per la Coscienza di Zeno e le avanguardie letterarie e artistiche di inizio XX secolo.
Le unità di apprendimento: queste sconosciute
Un’alternativa ai percorsi per temi è invece quella delle unità di apprendimento; come scrive Ermanno Puricelli nel contributo Le unità di apprendimento. Chi, come, quando, perché: «l’apprendimento a cui si riferiscono le UA non è la sommatoria dell’acquisizione di conoscenze e abilità, ma l’apprendimento formativo: quello che parte da un intero (l’apprendimento unitario da promuovere) e si conclude con un intero (la competenza al cui interno si cementano capacità, le conoscenze e le abilità)» (E. Puricelli, L’ Unità di Apprendimento. Chi, come, quando, perché, «Scuola e Didattica», n. 4, 15 ottobre 2003, anno XLIX, p. 59). Per favorire lo studente in sede di colloquio, sarebbe quindi opportuno che all’inizio dell’anno scolastico il consiglio di classe progettasse almeno una di quelle unità di apprendimento che Puricelli definisce come “complesse”, a centratura multi-pluri disciplinare e che coinvolgano diverse discipline, chiamate a lavorare contemporaneamente o in tempi ravvicinati sullo stesso obiettivo formativo, mediante sottounità sequenziali (cfr. E. Puricelli, art. cit., p. 63).
Ovviamente progettare per unità di apprendimento prevede una serie di operazioni che implicano un lavoro di team da parte del consiglio di classe: si dovrà individuare un nucleo centrale del sapere, ovvero (e ritornano le riflessioni di Luperini) una tematica; bisognerà coinvolgere i colleghi che condividono lo stesso nucleo del sapere e identificare le competenze mirate, prevalenti e concorrenti, delle discipline e l’insieme delle risorse mobilitate (conoscenze e abilità) operando una prima selezione; da ultimo bisognerà pensare a un compito il più vicino possibile alla realtà. Va da sé che la tematica deve essere significativa, per creare un apprendimento anch’esso significativo: deve contenere aspetti problematici, sfidanti e affrontare uno stesso tema da prospettive diverse (quindi pertinenti, per esempio, l’ambito umanistico, linguistico, scientifico). Per riprendere quanto auspicato nella Ordinanza Ministeriale relativamente al colloquio orale, qui si supera veramente la «rigida distinzione tra le discipline» nell’ottica di un apprendimento unitario. Attraverso una didattica per unità di apprendimento, quindi, da affiancare alla prevalente didattica per unità didattiche o modulare, i ragazzi riuscirebbero a percepire l’intersezione tra le discipline e a far proprio il sapere, senza riceverlo passivamente; d’altra parte nel PECUP al termine del secondo ciclo si scrive: «Il secondo ciclo di istruzione e formazione ha come riferimento unitario il profilo educativo, culturale e professionale definito dal decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, allegato A). Esso è finalizzato [alla] crescita educativa, culturale e professionale dei giovani, per trasformare la molteplicità dei saperi in un sapere unitario, dotato di senso, ricco di motivazioni».
Le maturità del Covid: elementi da riprendere
Si tratta di due soluzioni, quelle dell’insegnamento tematico e della penetrazione delle unità di apprendimento nel II ciclo, che presuppongono un cambiamento che parta da lontano e, ovviamente, un aggiornamento dei docenti dal punto di vista non solo disciplinare, ma anche metodologico. L’impressione, dato però il continuo avvicendarsi di diverse configurazioni dell’Esame conclusivo del secondo ciclo, è che questo possa cambiare nei prossimi anni. Proviamo quindi, invece di guardare avanti, a volgerci indietro, per capire se qualche soluzione, anche d’emergenza, possa essere introdotta in futuro nel colloquio dell’Esame di Stato per valorizzarne davvero il talento degli studenti e mostrare le competenze acquisite.
Nel 2020, in piena pandemia, l’Ordinanza Ministeriale n. 10 del 16 maggio 2020 riduceva l’Esame di Stato al solo colloquio, che iniziava dalla «discussione di un elaborato concernente le discipline di indirizzo individuate come oggetto della seconda prova scritta». Di quella maturità conservo un ottimo ricordo: dopo tre mesi di videolezioni su connessioni spesso traballanti, a telecamera spenta, ho avuto la possibilità di rivedere fisicamente i miei studenti di quinta liceo linguistico e, passando all’aspetto didattico, ho apprezzato davvero l’esposizione degli elaborati che, in quell’anno, avevano steso nelle discipline di indirizzo, ovvero Lingua e cultura straniera 1 e 3. Per fare qualche esempio, avevano affrontato, su indicazioni dei docenti di lingua straniera, approfondimenti sul tema della guerra in inglese e spagnolo, sulle conquiste del genere femminile in Inghilterra e Spagna e via dicendo. In quella sede si sono visti davvero valorizzate le potenzialità di ognuno: gli studenti più “scolastici” hanno rielaborato le conoscenze acquisite nelle lezioni in classe, mentre quelli con maggiore spirito critico e d’iniziativa hanno indagato autori e autrici minori, istituendo collegamenti con le altre discipline, veicolandoli nelle lingue di indirizzo. D’altra parte, percorsi altrettanto interessanti avranno coinvolto latino e greco al classico, ma anche matematica e fisica allo scientifico e via dicendo.
Perché quindi non pensare davvero, al posto della discussione di materiali che, ad oggi, mettono in difficoltà la gran parte degli studenti, proprio per una disabitudine al lavoro interdisciplinare, a inserire nel colloquio l’esposizione orale di un approfondimento sulle discipline di indirizzo o sulle materie affidate ai commissari interni o esterni?
Questa proposta avrebbe numerosi vantaggi: permetterebbe allo studente di focalizzarsi su una tematica a lui congeniale, anche in un’ottica di orientamento post diploma; in secondo luogo consentirebbe agli insegnanti di valutare l’acquisizione di competenze di analisi, interpretazione e interiorizzazione dei contenuti disciplinari; in terzo luogo sarebbe arricchente per ambo le parti: per lo studente, ma anche per i docenti che, nel corso degli anni, potrebbero ampliare il loro bagaglio culturale attraverso itinerari solitamente non battuti. All’interno del consiglio di classe si potrebbero prevedere, per usare un termine ormai sulla bocca di tutti, dei docenti-tutor con il compito di guidare gruppi di studenti nella progettazione e stesura dell’elaborato di approfondimento che, d’altra parte, potrebbe anche configurarsi non solo in forma testuale, ma anche come video, prodotto multimediale o progetto pratico, specie negli indirizzi tecnici o professionali.
Valutare studenti competenti o giocolieri?
Sul colloquio dell’Esame 2019, configurato nello stesse modalità di quello che ci accingiamo a rivivere a giugno, aveva scritto a caldo su questo blog Stefano Rossetti nell’articolo a più voci dal titolo Il Mistero delle Tre Buste / 2 A colloquio; vorrei concentrarmi su alcune sue riflessioni significative: «la parola magica dell’esame in corso è infatti collegare. […] Ma i collegamenti ai quali stiamo assistendo, e sui quali comincia già a circolare un’aneddotica derisoria e rassegnata […] seguono in gran parte dei casi una logica di pura giustapposizione: il filo, per esempio, consente di partire da Storia (il filo spinato nella Grande Guerra), passare per Italiano (La casa dei doganieri), e poi agevolmente a Fisica (conducibilità del filo elettrico); dopo di che si spalanca l’universo mondo dell’area scientifica».
Nella normativa ministeriale si sottolinea che lo studente dovrà (grassetto mio) «utilizzare le conoscenze acquisite e di metterle in relazione tra loro per argomentare in maniera critica e personale» a partire dal materiale predisposto dalla commissione; io credo che, come l’argomentazione è spesso assente nella stessa tipologia B, così lo sia nelle richieste di questa parte del colloquio, che prevedono l’esposizione (ben diversa dall’argomentazione) di un percorso unitario. Lo studente potrà argomentare, nel senso di motivare, le scelte del percorso ipotizzato a partire dal materiale, ma si possono effettuare scelte consapevoli e mostrare delle competenze in 15-20 minuti di esposizione? Le competenze sono definite da Giuseppe Bertagna nel contributo La progettazione della riforma: lessico pedagogico di riferimento, come «processi di pensiero e decisionali nei quali risultano determinanti opzioni teoriche e scelte di carattere razionale tra alternative che richiedono, a loro volta, la ricerca delle conoscenze necessarie per operare queste scelte e la capacità di selezionare ciò che è rilevante ai fini della soluzione del problema». Mi sembra che quindi il colloquio orale sia il contesto meno adatto per valutare le competenze.
Mi si dirà: ho ascoltato degli ottimi colloqui a partire da materiali predisposti da noi docenti, ma affinché ciò avvenga devono essere presenti tre condizioni non scontate: un serio lavoro di progettazione interdisciplinare da parte del consiglio di classe, uno “spunto” capace di prevedere più percorsi tra le varie discipline e, non da ultimo, studenti estrosi e con una certa fantasia che li porti a creare sul momento percorsi (superficiali il più delle volte, sia chiaro) capaci di “toccare” (verbo quanto mai adatto) più discipline.
Ma vogliamo davvero valorizzare gli studenti capaci di stare sulla superficie e proporre collage, a volte strampalati, tra discipline, o piuttosto perseguire la profondità e la personalizzazione del sapere?
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