A morsi e fughe. Su Elsamatta di Alessandra Carnaroli
Preparato da Anna matta 467 membri (2013), Elsamatta (Ikonaliber 2015, finalista al Premio Pagliarani 2016) è il libro che conferma Alessandra Carnaroli tra le voci più potenti della poesia italiana di questi anni dieci. Dopo il notevole Femminimondo (2011), «cronache di strade, scalini e verande» dedicato «a chi ho preso la parola», ovvero alle donne morte di femminicidio a cui Carnaroli «prende la parola» per risemantizzarla nell’incontro con la postura discorsiva dei versi, il procedimento esibito in Elsamatta è l’estrazione scomposta di parole e sintagmi dai post di un gruppo facebook: «quattrocento sessanta sette membri // il lavoro si basa sui commenti postati all’interno di un gruppo fb» – così si apre il libro.
Se uno dei primi testi presenta la protagonista («elsa mattaspaventa bambini/ insegue femmine per strappargli i capelli»), il successivo rivela subito la fonte, nei versi che, disposti a chiasmo, compongono due distici: «quelli che…una volta mi ha fatto la fuga l’elsamatta/ è su facebook// registrati su facebook per connetterti con/ quelli che…una volta mi ha fatto la fuga l’elsamatta», gruppo registrato nella «categoria:/ svago – totalmente inutile», o meglio «svago e tragedia normale, quotidiano di una donna/ matta», dove la spezzatura «donna / matta» fa da contraltare all’univerbazione del titolo (Elsamatta) e mette in rilievo il tema centrale del libro: la follia femminile, o meglio la vita quotidiana di una donna che, al passaggio di verso, si rivela matta.
La figura e la storia di Elsa emergono, a brandelli da ricomporre e riordinare, nei ricordi sbandierati dai membri del gruppo: adesso Elsa, infatti, è assente, perché è stata portata via, «povera elsa», «in una casa / per curarla» (e ancora una volta l’enjambement rovescia il quotidiano in malattia), «l’hanno messa in manicomio», dopo le reiterate «fughe» con il «treciclo» che le aveva comprato il padre, «così non cadeva / non voleva andare all’ospedale per lei» (dove l’uso dell’indiretto libero restituisce bene la cattiveria sociale che circonda la protagonista), le apparizioni «completamente nuda» sul balcone («i matti sono così gli piace farsi vedere nudi»), il sesso con i militari («dicono / che ci andavano i soldati gli suonavano sotto / la madre non diceva niente / diceva qualcosa se tipo gli davano poco»), gli agguati e le rincorse: «da giovane / anche io in moto con mio moroso / mio attuale marito / qualche agguato gliel’ho fatto cose di ragazzi / ma ora è da un po’ rinchiusa a bologna / e sinceramente mi dispiace mi fa tristezza / pensare che uno finisce nell’indifferenza» (da notare l’uso dell’avversativa, vera cifra stilistica di tutto il libro).
«Dicono» di Elsa, i membri del gruppo, nelle conversazioni smozzicate su facebook:
meglio se ci tira i bigodini la zanzariera
le medicine che non gli fanno niente
non si sa se le prende
no
se no sta più calma
li vedi quelli che le prendono sono tutti incantati
vivono nel mondo loro almeno non danno fastidio agli altri
non mordono le madri
a morsi per andare in villeggiatura dove non possono andare
ce ne avrà avute due tre di uova
tipo a pozza di fassa col prete
Questi versi mettono in forma un dialogo sconnesso, fatto di battute che si accostano o si allontanano, fondendosi o aprendo crepe nel tessuto logico, tanto da mostrare nuove possibilità di senso. L’accostamento, per esempio, di «vivono nel mondo loro» e «almeno non danno fastidio agli altri» produce un rovesciamento della prima battuta in «vivono nel mondo» (considerando che «loro» può slittare nella risposta) e crea effetti non meno stranianti di quelli generati dall’inserzione del verso «ce ne avrà avute due tre di uova» a interrompere l’ultimo mozzicone di dialogo (una tecnica, questa, scopertamente ereditata da Balestrini).
Come i dialoghi (e le relazioni umane), anche il ritmo dei versi si sviluppa «a morsi» e a «fughe». I versi si contraggono a monosillabi secchi («no») o si allungano a misure debordanti, in fuga verso la prosa; una fuga impedita soprattutto dall’uso dell’enjambement, a cui è affidato un ruolo fondamentale nella definizione dei versi e nella risemantizzazione delle parole depauperate dal cicaleccio social, ma anche dalla presenza di richiami fonici (assonanze, allitterazioni e anafore, raramente rime) disseminati in modo apparentemente casuale (dunque naturale) nella tessitura dei versi.
Analogo trattamento è riservato alle singole parole: fuse per univerbazione (‘Elsamatta’, ‘mattaspaventa’, ‘cosami’) o scisse, fino a mostrarne la composizione interna (e per questa via svelare il loro senso profondo), come nei due versi «commenta / come merda», talvolta addirittura deformate («dellapiatra»), o invertite nell’ordine logico, così da alterare in maniera vistosa ogni percorso razionale, aggrovigliare il filo e inceppare la lettura. A ben vedere sono tutti fenomeni che chi ha avuto occasione di digitare frettolosamente su una tastiera conosce bene e che qui, mimati nella scrittura poetica, mostrano il volto folle della più banale quotidianità. La quotidianità normale delle vittime/aguzzini di Elsa: «siamo tutti stati inseguiti da lei / adesso però noi c’abbiamo una famiglia un fidanzato / possiamo andare a scuola o averci un lavoro pagato / fare una famiglia», mentre «l’Elsamatta» è finita «nell’indifferenza» e non può nemmeno uscire a distrarsi «tra la gente i negozi» – lei, che dai negozi veniva regolarmente cacciata («devono vendere / se si avvicina il natale»).
L’indicazione di ciò che più turba e terrorizza di questa presenza femminile è affidata a un’ottica infantile filtrata da quella degli adulti:
perché da bambini si pensa così si pensa
che una matta c’ha la forza come cento persone
come i personaggi della televisione
e invece lei è la realtà
Il punto, infatti, è che Elsa esiste realmente. Più avanti il pensiero infantile è ferocemente adultizzato e la questione resa ancora più esplicita:
pensate se c’erano magari dei bambini piccoli che gli vedevano
quelle tette ci rimanevano di sicuro male
mica è una televisione
è una donna di carne
di buchi della cellulite
non è più nemmeno giovane
A disturbare è la consistenza corporea di Elsa, una fisicità ingombrante e imbarazzante che, come tale, deve essere dematerializzata su una lucida superficie social:
l’hanno messa in manicomio
a damiano piace questo elemento
fategli una foto con il cellulare un video porno ma soft
a damiano piace questo elemento
A questi rispondono, di seguito, versi in cui, in una delle ultime pagine del libro, si dà la parola alla stessa Elsa e che, dal manicomio, svelano i meccanismi di repressione sociale e biologica a cui lei, donna matta, è sottoposta: «dicono che ci legano al letto non è così / si sono evoluti nelle forme di possesso della mia costola del prolasso /allutero / senza neanche un figlio piccolino». D’altra parte, a proposito dell’attrazione (non poco significativa) di Elsa per i bambini, ha scritto uno dei membri del gruppo che «di sicuro / gli hanno legato le tube a una così / per non continuare la razza / commenta». Nella chiusa l’invito al dialogo resta tragicamente deserto e sospeso: sull’orlo del vuoto che si apre alle sue spalle, la funzione commenta risulta a un tempo disattivata e potenziata, secondo il procedimento su cui si fonda tutto il libro e che gioca sul doppio pedale del morso e della fuga, del colpo secco e della rincorsa, dell’agguato e dell’attesa, dell’occhiata da vicino e del lungo respiro.
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