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diretto da Romano Luperini

Le responsabilità dei docenti

Alcuni fatti paradigmatici

La fase conclusiva del precedente anno scolastico, nonché gli stessi esami di stato al termine del secondo ciclo, sono stati scanditi da una serie in interventi e fatti abbastanza paradigmatici rispetto a temi di assoluto rilievo nella scuola pubblica e che, in avvio del nuovo anno scolastico, suggeriscono qualche ulteriore riflessione.

Il primo di questi interventi è stata la nota del 28 aprile 2025 con la quale il Ministero dell’Istruzione ha invitato il team dei docenti dei consigli di classe a coordinarsi nell’assegnazione di verifiche e compiti, evitando un accumulo di prove di valutazione nello stesso giorno e un carico eccessivo di lavoro a casa. Nella stessa nota si invitavano i docenti a non annotare i compiti sul registro elettronico la sera per l’indomani. Il secondo intervento paradigmatico è stata la circolare, pubblicata il 16 giugno 2025 con la quale, a completamento di quanto già indicato per la scuola del primo ciclo l’anno precedente, il Ministero dell’istruzione ha introdotto, anche nella scuola secondaria di secondo grado, «il divieto di utilizzo dello smartphone durante l’orario scolastico anche a fini didattici, nonché specifiche sanzioni disciplinari per coloro che dovessero contravvenire a tale divieto». Infine, gli ultimi fatti emblematici sono quelli accaduti quest’anno nel corso degli esami di stato e che hanno visto alcuni studenti, provenienti da diverse realtà, rifiutarsi di sostenere la prova orale, una presa di posizione che ha prodotto l’intervento del Ministro Valditara, il quale ha annunciato che simili comportamenti non saranno più tollerati e che «se un ragazzo non si presenta all’orale, oppure volontariamente decide di non rispondere alle domande dei suoi docenti non perché non è preparato, cosa che può capitare, ma perché vuole “non collaborare” e quindi “boicottare” l’esame, dovrà ripetere l’anno» (Corriere della Sera ).

L’immagine della scuola

In tutti e tre i casi l’immagine che emerge, dalle note del ministro e dalle parole degli studenti che hanno cercato di boicottare l’esame (lasciamo da parte per ora le parole di Valditara a proposito), sembrano concorrere a una certa rappresentazione della scuola, fatta di mancanza di responsabilità rispetto all’utilizzo, anche didattico delle Tic; di incapacità degli insegnanti di gestire e coordinare il proprio lavoro, facendo ricadere il peso delle prove di valutazione sugli studenti; di «eccessiva competitività e mancanza di empatia dal parte del corpo docente» (queste sono state le parole utilizzate dalla studentessa di Belluno, che ha rifiutato di sostenere l’orale dell’esame). Come accennato, molte riflessioni si sono registrate su tutte le questioni e sono stati ampiamente messi in evidenza i limiti degli interventi ministeriali. Basti solo richiamare, in questa sede, l’assoluta mancanza di una prospettiva che tentasse almeno di problematizzare le varie questioni. Nel caso del tema posto dalla circolare sulle verifiche, ad esempio, è stato chiaramente descritto nel dibattito pubblico il progressivo avanzare negli ultimi anni dell’erosione del tempo scuola, determinato dagli interventi governativi. Ciò ha inevitabilmente sottratto spazio vitale alle attività didattiche, comprese quelle dedicate a quel delicato momento che è la valutazione, con risultati talvolta al limite del paradosso. In certe scuole si è registrata una sorta di corsa all’accaparramento dei giorni “buoni” per le verifiche da parte dei docenti, che hanno programmato prove con larghissimo anticipo per tutto il quadrimestre, da ottobre a gennaio e da gennaio a giugno, salvo poi scontrarsi con la realtà ed essere costretti, per motivi imprevedibili, a riprogrammare la prova, con inevitabili conseguenze. In alcune scuole si è verificato l’assurdo per cui nei Piani didattici personalizzati degli alunni con BES, cioè quelli che più degli altri avrebbero bisogno di calendarizzare ordinatamente le prove di verifica, dopo l’elenco dettagliato degli strumenti compensativi e delle misure dispensative — prima tra tutte la necessità di non svolgere prove di verifica ravvicinate e meno che mai nello stesso giorno — si scrive bellamente che «in caso di assenza alle verifiche programmate, lo studente sarà sottoposto a verifica la prima volta utile (in caso di necessità, ad esempio a ridosso della fine del quadrimestre, anche in presenza di altre verifiche da sostenere nello stesso giorno)», e ciò tra l’altro nel momento dell’anno che presenta un maggior carico di lavoro e laddove, al netto delle assenze “strategiche”, le assenze possono comunque capitare.

Le responsabilità della politica

Di fronte a questi plateali segnali di ansia e di impotenza della classe docente, la circolare ministeriale appare quanto meno ipocrita, nella misura in cui non allude minimamente alle cause profonde che producono simili distorsioni, come accade rispetto alla compilazione del registro elettronico, laddove si tace ad esempio che ciò avviene in moltissime realtà attraverso i devices personali dei docenti. Se però chi vive la scuola dall’interno sa benissimo come stanno le cose, così non è per le famiglie e in certa misura per gli studenti, per i quali i docenti rappresentano l’interfaccia diretta dell’istituzione, e coloro a cui in definitiva vengono imputate distorsioni e mala gestione. Si tratta a mio avviso di una constatazione di fondamentale importanza, per quanto ovvia, per un corretto inquadramento delle dinamiche nei rapporti scuola/ famiglia. Alla stessa conclusione, infatti, si arriva più o meno analizzando la nota relativa all’impiego dello smartphone. Da decenni le scuole italiane sono pervase dalla retorica delle nuove tecnologie, nei collegi dei docenti non si parla quasi mai di formazione disciplinare, ma quasi esclusivamente di formazione sull’impiego delle Tic, tema che poi viene peraltro banalizzato, riducendosi il tutto alla imbarazzante erogazione di costosissimi corsi di formazione su Canva, ad esempio. E guai a chi non vi partecipa! La nota ministeriale, non potendo tacere da questo punto di vista la cornice entro la quale si colloca, si barcamena cercando di tenere insieme ciò che insieme è difficile tenere, ma anche in questo caso, in assenza di una riflessione autentica, la gravità del compito ricade sui docenti. Andando oltre la questione del cellulare, infatti, quali docenti sceglieranno di limitare il loro accesso alla mirabolanti sale immersive multimediali di cui si sono dotati molti istituti con i recenti fondi del PNRR, a fronte di colleghi che invece se ne servono costantemente? Senza una riflessione epistemica vera sulla natura delle nuove tecnologie e sul loro impiego, il risultato sarà una scuola pubblica fondata su malitesi e distorsioni e che produce (e ha prodotto) risultati difformi, realtà virtuose e realtà arretrate, proprio sul piano della consapevolezza, a cui fanno da inevitabile contraltare famiglie che emettono giudizi sommari, ora in un senso, ora in un altro.

Le responsabilità dei docenti

Infine, gli studenti che si sono rifiutati di sostenere la prova orale dell’esame di stato hanno voluto colpire, impietosamente, proprio la classe docente, oltre ai meccanismi di valutazione scolastici. Di là dal fatto che i docenti vengono direttamente chiamati in causa per la loro mancanza di empatia, non sembra che le proteste abbiano individuato la dimensione sistemica del problema, dalla valutazione allo stesso meccanismo in cui è congegnato l’esame di stato. E chiaramente la risposta del ministro non poteva che essere una risposta autoritaria.

Ora, senza voler enfatizzare eccessivamente il carattere di queste proteste, mi chiedo però se in un mondo sempre più individualizzato e competitivo, in cui mancano ormai esempi di pratiche collettive conosciute in passato, sia lecito aspettarsi da dei diciottenni ciò che la classe docente non riesce più a esprimere nemmeno per sé stessa. Quello che sto cercando di affermare è che se è vero che la rappresentazione della scuola che si formano famiglie e studenti risente delle distorsioni di cui si è tentato di dire, credo però che sia arrivato il momento di dirci con chiarezza che nella scuola pubblica c’è un deficit gravissimo di democrazia e che, forse, se le famiglie e gli studenti attribuiscono ai docenti delle responsabilità, è perché delle responsabilità ce le hanno, anche se non sempre sul piano da loro individuato. La responsabilità vera del docente, infatti, non è quella di preoccuparsi in modo compulsivo e sfidando la sorte (poveraccio, verrebbe da dire) di segnare irrealisticamente da gennaio a giugno le sue cinque verifiche, questo è solamente un drammatico sintomo. La sua responsabilità è quella di non ribellarsi a questo stato di cose, di non contrastare tutte le riforme che ad esempio hanno portato anno dopo anno, da ultimo l’orientamento, all’impoverimento del tempo scuola, come si è detto. La responsabilità dei docenti, molti e non tutti ovviamente, è quella di essere complici del carnefice loro e dei loro studenti. La responsabilità è quella di lamentarsi nei corridoi ma di non prendere mai la parola nei collegi docenti, di lasciare soli, impietosamente soli, i colleghi che si espongono, e oggi esporsi in certe realtà può appunto anche solo significare esprimere la propria opinione in collegio, dove le decisioni sono spesso niente più che una ratifica di quanto disposto dai dirigenti. Ecco, ora le famiglie e gli studenti possono certamente non mettere a fuoco chiaramente gli obiettivi delle loro a volte inaccoglibili proteste, ma io credo che la dinamica dei rapporti sarebbe diversa se di fronte avessero una classe docente unita e coesa nella rivendicazione dei propri diritti e di quelli degli studenti. Certo, non si tratta di una circostanza capitata per caso, ma mi auguro che in questo momento così buio a livello internazionale, in cui tante coscienze sono scosse e in cui tante persone si sono mobilitate, anche gli insegnanti sappiano ritrovare le loro giuste ragioni di lotta.

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