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diretto da Romano Luperini

Il codice disciplinare dei docenti e la censura a Raimo: un pericolo per tutti gli insegnanti

La vicenda della censura a Christian Raimo ripropone il tema del codice disciplinare dei docenti e, per esteso, della Pubblica amministrazione.

Questi i fatti. Raimo, docente, ma anche politico, scrittore e militante, commentando in una trasmissione televisiva la vicenda di Ilaria Salis aveva, provocatoriamente, affermato che picchiare i nazisti è cosa doverosa. Il commento aveva destato scalpore, venendo letto come un’incitazione alla violenza, ma, a sua volta, aveva provocato minacce a Raimo da parte di gruppi di estrema destra e un intervento del ministro Valditara. Con un post su un social, Raimo aveva stigmatizzato il comportamento del ministro che, invece di offrirgli solidarietà in quanto docente minacciato, tentava a sua volta di intimidirlo con un’indagine interna. Pochi giorni fa quest’ultima si è conclusa con un provvedimento disciplinare da parte della Direzione scolastica regionale del Lazio e la sanzione della censura. Insomma, si può essere puniti per aver espresso delle opinioni e delle critiche, peraltro al di fuori del contesto scolastico.

Il comportamento degli insegnanti

L’essere un docente, o un dipendente pubblico, comporta un limite alla libertà d’espressione garantita ad ogni cittadino dall’articolo 21 della Costituzione? Ma come funziona? Che cosa è scritto nel codice disciplinare dei dipendenti della Pubblica amministrazione? Diciamo subito che le norme sono molte e molto complesse, anche perché praticamente tutti i governi dagli anni 2000 a oggi le hanno rimaneggiate.

Dopo il fascismo, che aveva subordinato la Pubblica amministrazione e i docenti all’occhiuto controllo del partito e del governo, la Repubblica aveva mostrato una particolare attenzione allo status dei docenti, inserendo in Costituzione il principio della libertà d’insegnamento, a garanzia del pluralismo culturale. Già nel primo dopoguerra ci si mosse, sia pur tra mille distinguo e contraddizioni, verso forme di autogoverno degli insegnantii. Rimanevano le note di qualifica sul servizio dei docenti, che il preside inviava al Ministero. Esse includevano «le notizie riguardanti le condizioni fisiche e le qualità intellettuali, la condotta nella scuola e quella privata, la diligenza, nonché tutte le speciali circostanze riguardanti le funzioni didattiche e la disciplina, e, per i professori, la collaborazione col capo d’istituto e con gli altri docenti, nonché l’idoneità a funzioni direttive; infine ogni altra annotazione ritenuta opportuna a delineare le caratteristiche e le attitudini personali»ii. Il giudizio complessivo era espresso con le qualifiche di ottimo, valente, buono, sufficiente, insufficiente.

Le note saranno eliminate dal decreto delegato D. P. R. 31 maggio 1974, n. 417 e sostituite da una valutazione facoltativa del servizio prestato, alla quale provvedeva il comitato per la valutazione del servizio. La nuova valutazione «non si conclude con un giudizio complessivo, né analitico, né sintetico e non è traducibile in punteggio»iii. Lo stesso decreto stabiliva che la competenza disciplinare spettasse, per la scuola materna, elementare e media al Consiglio Scolastico Provincialeiv, mentre per la scuola superiore essa era in capo al Consiglio nazionale della Pubblica istruzionev.

Gli organi rappresentativi che gestiscono le questioni disciplinari

Ancora nel 1994 con il Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297 le cose stavano come si è appena descritto. Tutto cambia con il decreto legislativo 30 giugno 1999, n. 233, che modifica le attribuzioni del CNPI, trasformandolo in Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI) e togliendo ad esso le competenze disciplinari. Sarà quindi il Decreto legislativo 165/2001 a stabilire che il provvedimento disciplinare è di competenza del Dirigente scolastico per sanzioni sino al richiamo scritto e, per le sanzioni superiori, dell’Ufficio scolastico regionale. Ma su questa materia esiste una controversia interpretativa, che però, dopo il ministero Brunetta, si è di norma risolta nella possibilità per i dirigenti scolastici di irrogare sanzioni con sospensione dello stipendio fino ai dieci giorni. Solo per le quelle superiori interviene l’Ufficio Scolastico. Avverso alle sanzioni è previsto soltanto il ricorso al giudice del lavoro.

Queste norme sono state riprese da vari provvedimenti, ma sono rimaste sostanzialmente inalterate. È scomparsa così quella forma di “autogoverno” nata dopo il fascismo e poi messa in discussione con l’accusa di essere una forma di “autoreferenzialità” della scuola. Nel 2006 il CNPI ha rilevato una serie di criticità nelle nuove norme e proposto dei correttivi, ma gli interventi successivi non hanno fatto che accentuare gli aspetti problematicivi.

In particolare sembrano impropri due aspetti:

1) il fatto che l’attività inquirente e giudicante sia nelle competenze dell’amministrazione, ovvero del Dirigente scolastico e dell’Ufficio Scolastico Regionale. Sarebbe più corretto che il giudizio spettasse ad un organismo terzo. Il CNPI ha osservato come spesso la sanzione disciplinare coinvolgesse aspetti didattici.

2) il fatto che alcuni passaggi del più recente Codice disciplinare siano troppo generici e si prestino a eventuali abusi in relazione alla libertà d’espressione e d’insegnamento, tutelate dalla Costituzione. Faccio riferimento in particolare al seguente passaggio:

Art. 11-ter (Utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media). – 1. Nell’utilizzo dei propri account di social media, il dipendente utilizza ogni cautela affinché le proprie opinioni o i propri giudizi su eventi, cose o persone, non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla pubblica amministrazione di appartenenza.

2. In ogni caso il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale

Queste disposizioni ed innumerevoli altre hanno facilitato episodi di gravissime limitazioni della libertà e di abuso di potere. Ne citiamo tre, tutti piuttosto noti. In due casi c’è stata la sanzione di un collega, nel terzo caso solo l’espressione di opinioni imbarazzanti. In tutti i casi non c’è stata chiarezza sulla dinamica delle vicende, per conoscere le quali non ci si può che basare sulle ricostruzioni giornalistiche disponibili. Anche questa scarsa chiarezza è un pessimo sintomo delle molte zone d’ombra della normativa vigente.

Il caso Dall’Aria

In una scuola degli studenti avevano prodotto, per una ricerca, un powerpoint, nel quale paragonavano i provvedimenti del governo leghista sui migranti alle leggi razziali fasciste. Secondo Repubblica, la presentazione degli studenti sarebbe finita in un tweet giunto all’attenzione del ministero, dalle cui stanze sarebbe stata inviata un’email di segnalazione della docente all’Ufficio Scolastico Regionale siciliano, competente per i provvedimenti disciplinari. L’USR aveva quindi attivato un’istruttoria, durata tre mesi, seguita da una sanzione di sospensione dal servizio e dallo stipendio di 15 giorni: una sanzione piuttosto dura, con l’accusa di “omessa vigilanza”. Ma naturalmente non esiste alcun obbligo di vigilanza sulle libere opinioni degli studenti, soprattutto dal momento che esse non costituivano reato, come ha poi sancito il giudice del lavoro, a cui la docente si era rivolta, e che ha annullato la sanzione.

Il ministero ha smentito la ricostruzione di Repubblica e ha lasciato intendere che si fosse trattato di un’iniziativa autonoma dell’Ufficio Regionale della Sicilia. Una caratteristica di queste vicende è in effetti la mancata trasparenza; ed è ovvio, perché gli uffici sono chiamati a “forzare” le norme. Ovviamente è difficile dimostrarlo. Nel caso Dall’Aria, con il cerino in mano è rimasto il direttore regionale scolastico, smentito dal tribunale. Va osservato che il direttore non ha, ovviamente, non ha patito alcuna conseguenza. Come che sia, il fatto che l’istruttoria e il giudizio stessero in capo allo stesso ufficio ha nociuto alla correttezza del procedimento.

Il caso Raimo

Abbiamo riassunto la vicenda in apertura dell’articolo. Come si è capito, qui è in discussione la censura di opinioni. È evidente che l’ufficio disciplinare abbia ritenuto che le dichiarazioni del docente, sia pur rese non in funzione del proprio ruolo, abbiano nociuto «al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale». Anche in questo caso accusa e giudice coincidono e anche in questo caso ci si muove disciplinarmente per motivazioni politiche. È evidente che un docente o un pubblico dipendente non possano manifestare opinioni politiche dissonanti da quelle governative, pena il rischio di subire un procedimento disciplinare. È necessario precisare che le opinioni di Raimo possono essere condivisibili o meno – per me non lo sono –, ma non costituiscono in alcun modo né un reato né una diffamazione, come dimostra il fatto che egli non sia stato né indagato né querelato.

Il codice disciplinare e le norme sembrano essere redatti in maniera generica e prevedere procedimenti d’indagine e di sanzione non garantisti, proprio allo scopo di controllare le opinioni e le dichiarazioni dei dipendenti pubblici e dei docenti. Appare chiaro una volta di più quanto fosse opportuna quella spinta all’autogoverno impressa alla scuola dai padri costituenti e dai primi dirigenti politici del dopoguerra. Al contrario, la logica gerarchica e burocratica delle attuali norme, osservata dal parere del CNPI, ha inserito i dirigenti scolastici esclusivamente nell’“organigramma” dell’amministrazione, rendendoli subalterni al direttore regionale e al ministro pro tempore. Al contrario, quando i dirigenti erano “presidi”, essi erano da un lato parte dell’amministrazione, dall’altro membri della scuola allo stesso titolo dei docenti. A differenza di quanto la retorica dell’autoreferenzialità degli istituti lascia intendere, dirigenti e docenti erano più liberi proprio quando erano apparentemente più “autoreferenziali”: e sarebbe meglio dire autonomi.

La scuola di Pioltellovii

Il Consiglio d’istituto del Comprensivo Iqbal Masih di Pioltello aveva deciso di sospendere le lezioni per la fine del Ramadan, perché la scuola vede la folta presenza di studenti di religione mussulmana e in quella giornata la frequenza è molto ridotta. Protesta della Lega, appello al ministro dell’Istruzione e del merito, intervento di Valditara e del collega Salvini. Il secondo avrebbe dichiarato che quella del consiglio d’istituto fosse «una scelta inaccettabile, contro i valori, l’identità e le tradizioni del nostro paese. Non è questo il modello di Italia ed Europa che vogliamo»; il ministro Valditara ha chiesto «agli uffici competenti del ministero di verificare le motivazioni di carattere didattico che hanno portato a deliberare la deroga al calendario scolastico regionale e la loro compatibilità con l’ordinamento» e ha aggiunto che «le scuole non possono stabilire nuove festività in modo diretto o indiretto» e che il suo obiettivo «è far rispettare la legge, la legalità, le regole. Il calendario scolastico lo definisce regione Lombardia. Le scuole possono derogare per esigenze comprovate legate al piano dell’offerta formativa». Una nota del Ministero dell’Istruzione e del Merito recita: «sulla base delle risultanze dell’accertamento ispettivo, sono state evidenziate talune irregolarità della delibera assunta dal consiglio d’istituto. Il direttore generale dello stesso ufficio [l’Ufficio scolastico regionale lombardo] ha pertanto invitato il dirigente scolastico, nella sua qualità di garante della legittimità dell’azione amministrativa della scuola, a valutare la disapplicazione della delibera e la possibilità dell’annullamento in autotutela da parte dello stesso consiglio d’istituto, al fine di assicurare il rispetto delle disposizioni in materia» (Corriere della Sera).

Ancora una volta, siamo di fronte a un pronunciamento coerente con i desiderata politici da parte di un’articolazione della burocrazia scolastica, l’Ufficio scolastico regionale, che è direttamente dipendente dal Ministro. In questo caso, i desiderata hanno potuto far leva su una presunta carenza amministrativa, ovvero l’insufficienza della motivazione adotta nella delibera del Consiglio d’istituto.

La libertà di espressione al centro dell’insegnamento

Questi tre casi, casualmente avvenuti tutti durante il governo di ministri leghisti, dimostrano la delicatezza delle questioni in campo e l’insufficiente fondatezza giuridica delle procedure.

Secondo il CNPI, nel parere del 2006:

l’avvento dell’autonomia scolastica […] ha reso più articolata e flessibile la progettazione dei percorsi da parte delle singole scuole e ha introdotto conseguenti margini di flessibilità di prestazione da parte del personale con conseguente difficoltà di individuazione di norme, di comportamenti e di certezze. A questo va collegata l’introduzione della dirigenza scolastica che spesso, responsabilizzando il dirigente in termine di risultati, ha introdotto tensioni tra questo e il personale, in primis quello docente, per conflitti tra gli obblighi di servizio del personale e compiti di promozione e coordinamento delle attività da parte del dirigente.

Questi, in nome della titolarità a garantire risultati, ha assunto spesso atteggiamenti “autoritativi” che tendevano a superare o a interpretare unilateralmente gli obblighi di servizio del personale e le competenze degli organi collegiali competenti per le delibere didattiche, attivando procedure disciplinari non sempre necessarie e facendo delle stesse un uso improprio.

Simile appare il ruolo degli Uffici Scolastici Regionali, che di fronte a un intervento politico, diretto o indiretto, in tutti questi casi hanno sempre risposto. Naturalmente può darsi che i Ministri avessero ragione. Quello che è certo è che finora non risultano casi in cui, a fronte di una richiesta d’intervento politico, l’amministrazione scolastica si sia sottratta.

Per il caso della professoressa Dall’Aria abbiamo avuto un pronunciamento del giudice del lavoro, che ha dato torto all’amministrazione; per il secondo caso c’è il ricorso del professor Raimo e della CGIL, cui va aggiunto il più generale ricorso della FLC-CGIL contro il Dpr 150 del 23 giugno 2023; per il terzo caso, la rilevanza mediatica ha fatto sì che esso si risolvesse senza sanzioni disciplinari, con la reiterazione della medesima delibera di chiusura emendata però dalle irregolarità formali.

Raffaele Miglietta, della FLC-CGIL nazionale, è ottimista: «i nostri rilievi sono quelli stessi mossi dal Consiglio nel suo parere obbligatorio, e cioè il rischio che maglie così larghe offrano troppo spazio ad azioni disciplinari totalmente discrezionali che rischiano di comprimere la libertà di espressione. […] In sostanza, il valore supremo della libertà d’espressioneche vale per tutti i cittadini assume per un insegnante un significato se possibile ancora maggiore: un docente lavora sulla parola il cui uso libero è fondamento di una democrazia partecipata e dunque compiuta».

i Cfr. M. Galfrè, Tutti a scuola! L’istruzione nell’Italia del Novecento, Carrocci 2017, p. 143 sgg. Si veda in particolare il ruolo del CSPI (Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione).

ii Decreto del Capo provvisorio dello Stato, 21 aprile 1947, n. 629, articolo 22.

iii Ivi.

iv Sono formati tre distinti consigli di disciplina per il personale docente della scuola materna, della scuola elementare e della scuola media. Ciascun consiglio è formato da quattro membri effettivi e da quattro supplenti, eletti, nell’ambito del consiglio scolastico provinciale, dalle corrispondenti categorie, ivi rappresentate come segue: uno effettivo e uno supplente in rappresentanza del personale direttivo e tre effettivi e tre supplenti in rappresentanza del personale docente, rispettivamente della scuola materna, elementare, media. Ove in seno al consiglio di disciplina non sia possibile assicurare la presenza di uno o più appartenenti alle categorie del predetto personale, i rappresentanti sono designati dal consiglio scolastico Provinciale, che li sceglie tra il personale di ruolo in servizio nella provincia. I Consigli di disciplina sono presieduti dal Provveditore agli studi. Le funzioni di segretario sono esercitate da un impiegato della carriera direttiva o di concetto in servizio nell’Ufficio scolastico provinciale.

v All’interno del CNPI vengono istituiti Consigli di Disciplina. Essi sono competenti per i procedimenti disciplinari per i quali sia prevista la irrogazione di una sanzione superiore alla censura e che rispettivamente riguardi il personale ispettivo, direttivo delle scuole e istituti di ogni ordine e grado e il personale docente delle scuole secondarie superiori ed artistiche statali.

vi CNPI, Parere del 13 dicembre 2006.

vii La vicenda è stata ricostruita confrontando le seguenti fonti: un articolo di Repubblica, un articolo del Corriere della Sera, un articolo di Fanpage, l’intervento parlamentare di Simona Malpezzi.

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