Le tracce sotto esame /2. Serafino va all’Esame: dove ci conduce questa traccia?
Scrivo questa nota il giorno successivo alla prima prova dell’Esame di Stato 2024 e sulle tracce di quest’anno è già stato detto tutto: da qualche anno a questa parte, il pomeriggio successivo alla prima prova, il mondo si ferma e per qualche ora non si parla più delle guerre che ci sono nel mondo, ma di come il Ministero ha chiesto a cinquecentomila giovani donne e giovani uomini di scrivere di guerra a partire da una poesia di Ungaretti. Di guerra, oppure di tecnologia, o di beni culturali, di guerra fredda, di selfie e blog, o addirittura di imperfezione e di silenzio. E cosa è stato detto? Soprattutto che erano, quest’anno, tracce fattibili, abbordabili, forse un po’ scontate, comunque solidamente agganciate a questioni calde, a domande di senso importanti. Tracce pensate per dare spunti di scrittura agli studenti, e non tanto per mandare messaggi all’opinione pubblica o per mettere paletti ideologici. Un buon segnale, quest’ultimo, che non era affatto scontato.
Ora io non mi occuperò qui di tutte e sette le tracce proposte dal Ministero, né aggiungerò le mie considerazioni generali a tutte quelle già diffuse in queste ore. Mi soffermerò soltanto sulle prove di analisi di un testo letterario, quest’anno una poesia di Ungaretti e un brano in prosa di Pirandello, e in particolare su questa seconda traccia, cercando di capire che valore abbia la scelta di un testo come i Quaderni di Serafino Gubbio operatore, e quali occasioni di riflessione tale scelta offra ad un insegnante di lettere.
Due pezzi facili?
Si è detto – e lo hanno detto con gli occhi anche i miei studenti appena ho consegnato loro i fogli – che le tracce su Pirandello e Ungaretti erano facili. Facili soprattutto in quanto prevedibili e previste. Ma siamo sicuri che facili lo fossero davvero? Pellegrinaggio è in realtà una poesia complessa, ellittica, e ricostruire il filo di un discorso lirico che va dalla morte alla vita, di una carcassa che dentro la similitudine diventa seme usato dal fango, e così nasce l’illusione (ah, l’inevitabile Leopardi!) dalla pena, e poi il riflettore, la luce nella nebbia… Insomma: le trame lessicali e simboliche sono complesse, i passaggi da ricostruire molti, e le domande-guida non sempre aiutavano a mettere a fuoco le questioni fondamentali (perché concentrarsi solo sulle similitudini e non sulla decisiva metafora iniziale? E perché Ungaretti si riferisce a sé stesso come uomo di pena? È una domanda a cui si può davvero rispondere?). D’altro canto, la sezione Interpretazione chiedeva di riflettere su una questione enorme: in quale modalità letteratura e arte affrontano il dramma della guerra e della sofferenza umana? Si potrebbe dire che, in definitiva, la letteratura e l’arte non fanno mai altro che questo, e quindi quella richiesta corrisponde un po’ al chiedersi come l’arte parli della condizione umana. Tema piuttosto ampio, verrebbe da dire, anche considerando le ben sei ore a disposizione per scriverne in un’aula calda, piena di corpi sudati – e priva di ventilatori. E Pirandello? Il brano proposto è ricchissimo di spunti e proviene da un’opera di straordinaria attualità. Uso questa parola anche se è sempre pericoloso farlo quando si parla di classici della letteratura, eppure questa volta mi sembra non sia fuori luogo: i Quaderni mettono davvero a fuoco, in una maniera che ci appare quasi miracolosa, questioni ancora oggi decisive sul rapporto uomo-macchina, sul lavoro e sull’arte, sull’alienazione e sull’uso del tempo, nonché ovviamente sulle dinamiche dalla comunicazione (il voyeurismo di massa, la mercificazione del dolore e dell’orrore…). Tornerò su questo aspetto in conclusione. Per ora mi limito a dire che, per quanto interessantissimo e straordinariamente attuale, nemmeno il brano pirandelliano può essere definito facile. Il flusso di pensieri di Serafino richiede, per essere analizzato, precise competenze tecniche e una conoscenza del contesto che permetta di cogliere riferimenti e implicazioni che i paratesti della traccia non spiegano. Se i Quaderni non sono stati oggetto di uno studio specifico in classe (e spesso è così), e si ha una conoscenza generale dell’autore proveniente dallo studio di altri testi più universalmente riconosciuti come canonici (Mattia Pascal, Uno nessuno e centomila, i Sei personaggi, le solite due o tre novelle…), come si fa ad interpretare correttamente quel testo? Faccio un solo esempio: la manovella. Cosa può significare per uno studente che non ha studiato quel romanzo l’espressione (decisiva!) una mano che gira una manovella. Anche qui, nei paratesti non è detto da nessuna parte che tipo di operatore sia Serafino e a cosa serva quella manovella. Ma anche venisse detto che è un operatore cinematografico, questa informazione sarebbe sufficiente? Cosa può sapere una ragazza o un ragazzo nato nel 2005 di cosa era un operatore cinematografico nei primi anni del Novecento, e perché dovesse girare una manovella? Ecco: queste considerazioni mi fanno dire che in fondo no, non erano tracce facili. Ma, a pensarci bene, le tracce di letteratura non possono mai essere davvero facili. E in fondo se così sono state percepite quest’anno è solo perché proponevano testi di autori noti, autori che avevamo fatto. Il che significa, dal punto di vista dello studente, niente di più e niente di meno che avere un minimo di strumentazione tecnica e di elementi di contesto che possano servire a inscrivere un brano dentro un quadro culturale noto, e sul quale quindi possa di conseguenza condurre qualche riflessione. È interessante, in questo senso, anche osservare come, nonostante l’evidente sforzo di chi ha elaborato le tracce di proporre per la tipologia A testi alla portata di tutti gli studenti, o almeno di tanti, l’analisi del testo letterario resti una scelta minoritaria (un quarto circa dei candidati), e negli istituti tecnici e professionali addirittura residuale (meno del 10%). Sono dati in decisa crescita rispetto allo scorso anno, quando sono stati scelti due autori (Quasimodo e Moravia) spesso assenti dai programmi svolti, ma comunque bassi se si considera il peso specifico che lo studio della letteratura ha di solito nel curricolo di italiano del triennio. Questo porta per forza di cose a ragionare (di nuovo) su due annosissime questioni: quella delle competenze dell’italiano e quella del canone.
Scrivere di letteratura a diciannove anni
Probabilmente chi elabora le tracce ministeriali ha compiuto un lungo percorso di studi umanistici, probabilmente orientati dall’italianistica. Chi somministra e corregge le prove anche. Chi le commenta, di solito è un professore universitario o uno scrittore. Gente che vive da sempre nei libri, in dialogo continuo con i classici. Così non è per la ragazza o il ragazzo che affronta la prima prova, per il quale la letteratura, di solito, è qualcosa di strano e lontano, che nessuno intorno a lui considera importante tranne quel bizzarro essere alieno che è il suo insegnante di italiano; per quella ragazza o quel ragazzo la comunicazione si muove in un mondo caleidoscopico in cui la parola scritta è solo uno dei tanti codici da manovrare, e probabilmente non il più importante; e in quel contesto diventa sempre più difficile capire perché fare tanta fatica per provare a mettere una parola dopo l’altra quando potrebbe bastare l’elaborazione di un buon prompt da dare in pasto a ChatGPT. Se il contesto è questo, scrivere l’analisi di un testo letterario diventa un’attività quasi esoterica, ma all’addetto ai lavori, all’insegnante che corregge, allo scrittore che commenta può capitare di pensare che invece sia facile, sia normale. Ma facile e normale non è, ce lo dobbiamo ricordare sempre.
Forse qualche parte nelle Indicazioni Nazionali o negli Obiettivi di Apprendimento ci sarà anche scritto che uno studente alla fine di un ciclo di scuola secondaria superiore dovrebbe saper prendere un testo sconosciuto, di un autore sconosciuto, vissuto in un contesto storico di cui conosce solo qualche elemento generale, e comprenderlo nel dettaglio, analizzarlo nelle sue forme e nei suoi contenuti, e da quel testo trarre lo spunto per considerazioni personali e originali. Nel migliore dei mondi possibili, o con il migliore degli studenti possibili, potrebbe andare anche così. Invece nel mondo reale, un mondo in cui la letteratura fuori dall’ora di italiano è assente dall’esperienza della stragrande maggioranza delle persone, io già mi stupisco che uno studente su quattro si metta a ragionare su Ungaretti e Pirandello, sul rapporto dell’uomo con la guerra e con la tecnica, e lo faccia provando a dialogare come può con un linguaggio letterario ai suoi occhi certamente astruso e lontano. E lo ringrazio, quello studente su quattro, perché fa una cosa per niente scontata, una cosa anzi controcorrente e quasi rivoluzionaria.
Il punto è che scrivere di letteratura è una competenza altamente specialistica, e svilupparla adeguatamente richiederebbe un investimento in termini di tempo e di innovazione didattica (soprattutto per quel che riguarda la pratica della scrittura) che una scuola come quella di oggi, tutta orientata verso STEM e mondo del lavoro, non si può o non si sa permettere. Questo comporta che, se si vuole che la prova di analisi del testo sia inclusiva e non riservata solo a pochi studenti, magari del liceo classico, si debba accettare l’idea che sia poco specialistica e molto chiara nelle richieste e soprattutto riguardi testi e autori appartenenti ad un canone condiviso. Come è giustamente successo quest’anno.
Serafino e il canone: una scelta che indica una direzione
Veniamo dunque all’altra questione, quella del canone, o, per essere più concreti, di quali autori – bene o male – sono studiati in tutte o quasi le scuole d’Italia. Fra canone di autori scolastici ed Esame di stato c’è naturalmente un rapporto molto forte, ma certo non si può pretendere che sia l’Esame di Stato a stabilire il canone: quando, in passato, si è proposto qualche autore che tendenzialmente a scuola non si fa, come nel caso paradigmatico di Claudio Magris (2013), il risultato è stato che pochissimi studenti hanno avuto il coraggio di navigare quel mare sconosciuto, né negli anni successivi – sulla spinta di quella scelta – l’autore triestino è entrato in pratiche scolastiche condivise. Viceversa, l’Esame di Stato può recepire dei cambiamenti se questi cambiamenti avvengono prima dentro la scuola reale, e sono condivisi. In questo senso, è necessario che critica, editoria e riflessione didattica continuino a confrontarsi alla ricerca, se non di un canone, di punti di riferimento sicuri attraverso i quali gli insegnanti tutti possano intraprendere il loro viaggio nella letteratura degli ultimi settanta-ottanta anni. Alcune boe ci sono già, e su di esse c’è una certa condivisione: certamente Fenoglio, Levi, Morante, Calvino per la prosa, forse Caproni e Sereni per la poesia… Da questi autori, intanto, si potrebbe partire, dando loro uno spazio sicuro nella nostra pratica didattica. L’Esame di Stato certo se ne accorgerà.
Quest’anno, intanto, è stata sperimentata un’altra strada, quella di proporre un autore ampiamente storicizzato, quasi ovvio, come Pirandello, ma scegliendo un testo per niente scontato come I quaderni di Serafino Gubbio. Per niente scontato e soprattutto capace di creare un dialogo molto forte con le vite e i pensieri dei giovani di questo tempo. In questo senso la scelta di quest’anno è antitetica rispetto a quella di due anni fa, quando è stata proposta Nedda, una delle opere più datate e lontane dalla sensibilità odierna di quell’autore modernissimo che è Giovanni Verga. Il brano di Pirandello, invece, una volta dati gli elementi minimi di contesto, risulta perfettamente capace di intercettare le curiosità e le domande dell’oggi. Non è detto che i Quaderni siano l’opera più riuscita di Pirandello, ma di certo è quella che più direttamente dialoga con noi: le riflessioni di Serafino sulla società, sulla macchina e sull’arte potrebbero stare (anzi di fatto stanno) dentro qualche puntata di Black Mirror, e le domande che pone non sono così diverse da quelle che ritroviamo in alcuni libri dedicati al rapporto uomo-macchina usciti in questi ultimi anni, come Macchine come me (Ian McEwan, 2019) o Klara e il Sole (Kazuo Ishiguro, 2021).
In definitiva, la presenza di Serafino Gubbio all’Esame di Stato 2024 non solo ci invita a dare più spazio, nella nostra pratica didattica, ad un romanzo estremamente ricco di suggestioni e di chiavi per leggere il mondo che ci circonda, ma ci ricorda anche che, quando decidiamo di portare o di non portare un classico in aula, è necessario evitare scelte pigre e scontate, e andare a cercare quei libri capaci, in quel preciso momento, di coprire tutto lo spazio che li separa da noi per arrivare a dialogare con le nostre domande più urgenti.
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