
Educazione civica a Pisa. Sui fatti del 23 febbraio
Ciò che è successo a Pisa, la mia città, venerdì 23 febbraio coinvolge tutti noi docenti. E non solo perché è avvenuto davanti al Liceo artistico “Russoli” e i ragazzi aggrediti sono nostri studenti, ma soprattutto perché, come testimoniano le prese di posizione di tutte le scuole della città e della provincia, è quanto di più lontano dai principi di convivenza civile e di cittadinanza che si predicano e si tentano di attuare ogni giorno in ciascuna delle nostre aule.
È vero, la manifestazione non era autorizzata: gruppi di studenti di diverse scuole della città hanno deciso di protestare davanti alle sedi universitarie per chiedere la pace pretendendo che le istituzioni di cui fanno parte (le loro scuole e università) prendano posizione e smettano di appoggiare il governo israeliano in quello che ormai sono davvero in pochi a non chiamare genocidio, e avevano deciso di farlo in una forma pacifica, ma auto-organizzata.
È vero, volevano radunarsi in piazza dei Cavalieri, davanti alla scalinata della Scuola Normale Superiore, per esprimere il loro dissenso alle collaborazioni delle scuole di eccellenza (Scuola Normale, appunto, e Scuola Sant’Anna) con le università israeliane e per contestare l’uso del sapere a scopi bellici; per questo, forse, la Prefettura ha ritenuto la piazza un “luogo sensibile”, invece che, semplicemente, e assai più realisticamente, “simbolico” come lo intendevano certamente i manifestanti.
Alcuni dei ragazzi e delle ragazze che venerdì mattina si sono trovati a passare da via san Frediano, erano incappucciati – è vero – perché tirava un gran vento e pioveva a dirotto. Nessuno di loro, però, come mostrano inequivocabilmente i molti video, era armato se non di zainetto.
Non parlerò, quindi, dell’inaccettabile violenza di un’aggressione assurda e ingiustificata; le molte immagini e testimonianze sono, in tal senso, più che sufficienti, così come il fatto che dei 13 feriti arrivati al pronto soccorso di Pisa 10 siano minorenni e tre appena maggiorenni. Voglio invece raccontare la reazione di una città che a poche ore dall’accaduto ha saputo riversarsi nelle piazze a tutela del diritto costituzionale all’espressione del proprio pensiero, e della capacità di tanti ragazzi e ragazze di reagire in maniera pacifica ma ferma per difendere le proprie ragioni.
Venerdì pomeriggio a Pisa si è svolta una manifestazione che non si vedeva da molto tempo e non solo per il numero dei partecipanti (5000 per la questura; tanti da non entrare tutti nell’ampia piazza dei Cavalieri). A renderla speciale è stata, prima di tutto, la grandissima partecipazione dei giovanissimi, anche di quanti al mattino non erano andati al presidio: come scrisse Evelyn Beatrice Hall all’inizio del secolo scorso, offrendo una sua interpretazione dell’illuminismo, “non sono d’accordo con quello che dici ma darei la vita perché tu lo possa dire”. Un atto rivoluzionario in un tempo (e soprattutto un luogo, l’Italia e l’Europa) in cui sembra che tutti accettino gli angusti steccati del reale: non si deve parlare di genocidio a proposito dello sterminio dei Palestinesi, non esistono alternative all’economia capitalista, le democrazie occidentali sono l’unica forma di democrazia possibile…
A renderla memorabile è stata la presenza di tutte le generazioni, che ne ha fatto un esempio del dialogo posto a fondamento della convivenza civile, il richiamo all’importanza di ascoltarsi e di uscire dagli stereotipi con i quali e nei quali la società del mercato pervasivo ci ha separato gli uni dagli altri, i genitori dai figli, gli adulti dai ragazzi, dai giovani, dagli anziani.
La giornata pisana del 23 febbraio è finita assai meglio di come era cominciata: chi ha scelto di incontrarsi in piazza in quel tardo pomeriggio ha colto l’appello degli studenti, è uscito dalla postura diseducativa dell’adulto cinico e distratto, ha ascoltato la voce della generazione nuova, ha saputo, per una volta, assumersi le sue responsabilità, stare nel suo ruolo. Come ha sottolineato una studentessa della mia scuola nell’assemblea di Istituto di stamattina, la partecipazione di venerdì pomeriggio ha mostrato una città capace di comprendere che ciò che è accaduto e non avrebbe dovuto accadere la riguarda, che i ragazzi e le ragazze aggrediti sono suoi figli e nipoti, che coloro che li hanno colpiti non rappresentano i cittadini, non si sono comportati come membri di un’istituzione democratica.
Le manifestazioni di venerdì 23 febbraio a Pisa testimoniano che sono possibili schiarite anche in giorni di allerta meteo: la parentesi di sereno che ci ha accompagnati in piazza dei Cavalieri sia il segno di un’inversione di tendenza, il monito al colloquio che portiamo avanti ogni giorno nelle nostre scuole pubbliche e non solo nelle 33 ore di educazione civica. Ciò che è successo ci aiuti a riconoscere che i nostri studenti hanno saputo esercitare la cittadinanza con più coraggio e coerenza di quanto gli adulti in questi mesi abbiano fatto.
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La lezione di educazione civica che ci hanno dato gli studenti e le studentesse resterà memorabile. A complemento, ricordiamo che le manifestazioni non devono essere autorizzate, ma comunicate, che è altra cosa.
Riporto in merito un bell’articolo di Magistratura democratica, che ci chiarisce dubbi del linguaggio rispetto alla lettera normativa:
https://www.magistraturademocratica.it/articolo/nm65d922e92dd2b3-96738206?fbclid=IwAR22GeLm9_ZcgFkAwqAEpq3Qna_ZkiICe8cs8qavqzDuLSb6Oj8cZs0WYT4
Grazie Annalisa, credo tu abbia interpretato perfettamente il sentire di tanti e certamente dell’associazione di cui facciamo parte, che della vocazione civica del nostro insegnamento deve sapersi fare interprete.
“Ciò che è successo (e aggiungo che succederà) ci aiuti a riconoscere che i nostri studenti hanno saputo esercitare la cittadinanza con più coraggio e coerenza di quanto gli adulti in questi mesi abbiano fatto.”. Bisogna allora uscire dalla torre d’Avorio e denunciare la violenza e la manipolazione delle parole che ci viene imposta? C’è la sentiamo davvero? Le “penne di latta” che mandano al macello i giovani (tra cui mio figlio diciassettenne) o li educano ad immedesimarsi nella cinica e sterile disperazione in cui spesso si autocompiace l’intellettuale sono uno dei cani del Potere che mostra i muscoli alla bisogna. Partecipiamo ai convegni, leggiamo, scriviamo, ci autocensuriamo o veniamo censurati, ci indigniamo, ci chiudiamo in amara frustrazione, continuiamo a proporre ai ragazzi un modello sicuramente perdente di fronte alla brutalità della forza e della menzogna. Ma almeno le parole, ci impegniamo a difenderle con onestà intellettuale da ogni travisamento e malafede? E dalle parole, pensiamo davvero possa nascere la speranza viva di un cambiamento? Ed in che misura possiamo rendere azione la parola?