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diretto da Romano Luperini

Dire la verità sul genocidio di Gaza

Edward Said, palestinese, professore di letteratura comparata alla Columbia University, vissuto in esilio gran parte della sua vita e fondatore con Barenboim della West Eastern Divan Orchestra, in cui suonano insieme israeliani e palestinesi, ha lasciato scritto nel suo saggio Dire la verità. Gli intellettuali e il potere (1994) che gli intellettuali possono vivere solo come esiliati dal loro contesto sociale e che il loro compito è “dire la verità” nei confronti del potere. Said è stato per un lungo periodo consigliere di Arafat, con cui poi ruppe dopo gli accordi di Oslo (1993) perché considerava l’indicazione “due popoli, due stati” rinunciataria rispetto alla possibile convivenza dei due popoli in un’unica democrazia. L’esilio per Said ha costituito una condizione esistenziale e materiale, ma anche una condizione “metaforica”. Oggi a mio avviso la terza rivoluzione industriale, quella delle macchine elettroniche, fa di tutti gli umani degli esiliati, perché ne determina la perdita progressiva di ogni contatto con la realtà sensibile (cfr. F. Fortini, Insistenze, 1985). Inoltre “tutti gli uomini sono intellettuali” (anche se nella società non tutti ne hanno la funzione) come sostiene Said, citando un passo di Gramsci da Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura (1955). Estremizzo l’assunto di Said perché nell’epoca della globalizzazione elettronica, della realtà virtuale e della “seconda verità” inventata da Goebbels, oggi diffusa a livello di massa con le fake news, nessun umano si può sottrarre al compito di dire la verità contro il potere. L’alternativa è condannarsi a vivere una vita disumana, una “vita offesa” per dirla con Adorno. Ovviamente coloro che sono intellettuali “per professione”, per collocazione sociale, hanno una responsabilità aggiuntiva nel dire la verità.

Allora occorre dire chiaro e tondo che quanto è in corso nella Striscia di Gaza con oltre 23.000 morti civili in tre mesi, circa un terzo dei quali bambini, è un genocidio perpetrato dallo stato di Israele e dal suo governo di estrema destra contro 2.200.000 palestinesi, bombardati, massacrati, tenuti in condizioni disumane senza case, senza cibo, senza energia, senza protezione sanitaria, senza comunicazioni, prigionieri inaccessibili a osservatori internazionali (sono stati uccisi 109 reporter), spinti “come animali” a sud verso l’Egitto. Chi osa dire questa verità è accusato di essere antisemita. Personalmente non ho nulla contro gli ebrei, di cui rispetto il grande contributo che hanno dato alla cultura mondiale. Marx, Freud, Einstein stanno nel mio pantheon dei maestri. Da quando ho l’età della ragione per educazione, formazione, convinzione storica e politica ho condannato radicalmente l’Olocausto degli ebrei e insieme di tutti gli altri oppositori del fascismo e del nazismo come l’abisso senza ritorno della storia umana e segnatamente di quella moderna. È cosa diversa essere antisemiti dall’indicare con chiarezza la politica espansionista e genocida di Israele contro i palestinesi, che è oggettiva.

Domenico Gallo, magistrato del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, primo tra gli altri, ha sostenuto in punta di diritto che quanto si sta perpetrando contro i palestinesi della Striscia di Gaza è un genocidio (DomenicoGallo.it, 30 Ottobre 2023). La condotta di Israele rientra nel concetto di “genocidio” come definito dalla Convenzione ONU del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e repressione di tale delitto, ratificata da Israele nel 1950. Infatti l’art. 2 della Convenzione recita: “Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale ….”. Tutte e tre le condizioni ricorrono nelle azioni di guerra che l’esercito israeliano sta conducendo contro i palestinesi.

Negli ultimi giorni il Sud Africa ha denunciato Israele di genocidio di fronte alla Corte Internazionale di giustizia de L’Aia, cosa che ha suscitato una reazione violenta di “disgusto” del governo Netanyahu. Sottolineo quanto abbia il sapore di razzismo, di naso arricciato e dunque di superiorità, una parola inconsueta nelle relazioni internazionali come “disgusto”. Il Sud Africa ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele nell’ottobre scorso. Secondo alcuni osservatori sarà difficile dimostrare le accuse data l’impossibilità per una commissione internazionale di entrare nella Striscia, così come ha portato a un nulla di fatto l’accusa di genocidio rivolta alla Russia di Putin all’epoca dell’aggressione all’Ucraina. È vero comunque che la lezione di Nelson Mandela continua ad esercitare la sua egemonia culturale ed etica presso un paese e un popolo, che ha conosciuto sulla propria pelle l’apartheid fino al 1991.

In tale posizione non vi è alcuna concessione ad Hamas e alla sua dirigenza, che tiene in ostaggio i palestinesi di Gaza, ai quali è stato permesso di votare solo nelle ultime elezioni legislative del 2006. Vinte quelle elezioni Hamas non ha più messo in discussione democraticamente il proprio potere, utilizzando le contraddizioni interne dell’Autorità Nazionale Palestinese e la debolezza della presidenza di Abu Mazen. Non vi è dubbio che l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre, con le esecuzioni indiscriminate, gli stupri e la cattura di circa 200 ostaggi, sia stato di natura terroristica. Non vi è dubbio, altresì, che quell’attacco, recato per dimostrare al mondo la vulnerabilità di uno degli eserciti più potenti del pianeta, ha messo strategicamente il destino dei palestinesi di Gaza nelle mani dei loro nemici. Per quanto un’inchiesta dell’informato New York Times attesti l’impreparazione dell’esercito israeliano, permane il dubbio, sollevato da più parti, che aver permesso l’attacco di Hamas abbia fornito il pretesto al governo Netanyahu per scatenare l’”operazione Spade di Ferro” (una designazione vecchia quanto la legge del taglione), che a occhio nudo va oltre il dichiarato obbiettivo della liberazione degli ostaggi e della stessa “vendetta” rivendicata dal governo israeliano. Comunque al di là delle ambigue dichiarazioni le azioni sul campo dell’esercito israeliano tradiscono l’obbiettivo vero dell’intera operazione: non solo e non tanto “sradicare” Hamas da Gaza City, come dichiarato all’inizio dell’invasione di terra, quanto cacciare i palestinesi dall’intera Striscia di Gaza, spingendoli in Egitto o deportandoli in qualche altro paese come il Congo. Il governo egiziano del generale Al Sisi negli ultimi due mesi ha ricevuto 26 miliardi di dollari dagli USA e 9 miliardi euro dall’Unione Europea per prendersi i palestinesi (Il Manifesto, 23.12.2023). Ciò dimostra non solo che le potenze occidentali stanno tenendo verso il genocidio di Gaza un atteggiamento di complice connivenza, ma anche subiscono o condividono l’obbiettivo strategico di Israele. Negli ultimi giorni tale obbiettivo è stato apertamente dichiarato da fonti governative secondo The Times of Israel (riportato da Il Fatto quotidiano del 3.1.2024).

Ancora più nette sono le dichiarazioni di marca razzista della dirigenza politica di Tel Aviv. Come viene riportato sul canale Telegram da Atalya Ben Abba, una giovane donna obbiettrice di coscienza dell’esercito israeliano, che ha scontato quattro mesi di carcere perché si è rifiutata di far parte delle truppe di occupazione dei territori palestinesi, siamo di fronte a un “linguaggio genocida”. Moshe Feiuglin, ex vicepresidente del parlamento israeliano, ha detto: “Annientate Gaza subito! Gaza deve diventare Dresda”. Yoav Gallant, attuale ministro della difesa, per spiegare le misure draconiane contro gli abitanti di Gaza, ha affermato “stiamo combattendo contro animali umani”. Amihai Eliyahu, ministro al patrimonio, alla domanda “dovremmo gettare una bomba nucleare lì e ucciderli tutti?” ha risposto in modo irresponsabile: “Questa è una possibilità”. Analogamente Tally Gotliv , deputata del Likud, il partito di Netanyahu, ha confermato: “è necessaria un arma apocalittica”. Galit Distel Arbaryan, altra deputata del Likud, ha scritto sui social: “Gaza deve essere cancellata, i mostri palestinesi fuggiranno verso la recinzione sud e entreranno in Egitto oppure moriranno”. Netanyahu paragona i palestinesi ad Amalek, l’unica nazione di cui la Bibbia dice che deve essere sterminata: “non risparmiateli, mettete a morte uomini, donne, bambini e neonati”.

Queste dichiarazioni disumane corrispondono parola per parola con quanto sta accadendo sul campo a Gaza. Gli Stati Uniti, il principale alleato di Israele, e le altre potenze occidentali hanno più volte dichiarato che non è lecito opporsi alla necessità di Israele di difendersi e oggi si trovano imbarazzate a fronteggiare i propositi del governo Netanyahu di occupare la Striscia di Gaza, espellendo i palestinesi dalle proprie case e dalla propria terra. È una linea antica, sulla quale si fonda lo stato di Israele dall’epoca in cui il suo fondatore Ben Gurion si fece largo tra i palestinesi a suon di bombe. Non trovo alcun precedente storico nel secondo dopoguerra di questo tipo, in cui uno stato distrugge sistematicamente un gruppo etnico con la sostanziale complicità della comunità internazionale dei paesi democratici. Dobbiamo risalire al genocidio degli armeni (1915-1919) per mano dell’impero ottomano, rimasto quasi occulto per alcuni decenni e ancora oggi misconosciuto dalla Turchia. La stessa Germania nazista perpetrò lo sterminio sistematico di sei milioni di ebrei, ma dopo alcune iniziali titubanze fu condannata da tutto il mondo civile. Siamo quindi di fronte ad una condizione eccezionale.

In Germania tale condizione è stata definita come “eccezionalismo tedesco” a proposito della contraddizione apertasi tra la direzione di Fridays for Future con le dichiarazioni di Greta Thumberg a favore della Palestina e di Gaza (“Stand with Gaza”) e la sua sezione tedesca, che ha assunto in tutta fretta una posizione intermedia ed equidistante, cautelandosi dalla accusa di antisemitismo rivolta all’attivista svedese. Il blog Kater, “che parla di Germania o almeno ci prova”, definisce l’eccezionalismo come un “particolare sostrato di significati e automatismi che viene innescato ogni volta che in Germania si parla di Israele” (30.10.2023). È la ragione per cui Angela Merkel nel suo famoso discorso alla Knesset israeliana nel 2008 definì l’esistenza e la sicurezza di Israele come “ragione di stato” della Germania, sottolineando il surplus di responsabilità di cui i tedeschi devono farsi carico a causa del loro passato. È questo l’automatismo che mette a tacere ogni ragionevole discorso sulle attuali responsabilità di Israele. Questa è la critica rivolta su “Il Manifesto” (23.12.2023) da Asef Bayat, studioso iraniano-americano del Medio Oriente, a un intellettuale del calibro di Jürgen Habermas, che ha ammonito di evitare critiche ai bombardamenti su Gaza perché il diritto all’esistenza di Israele merita una protezione speciale alla luce dei crimini di massa dell’era nazista. Se fosse sufficiente, mettendo da parte le ragioni politiche, potremmo dire che tale eccezionalismo si fonda su un senso di colpa colossale dei tedeschi (e anche dell’opinione pubblica occidentale?) verso gli ebrei e Israele. Ma un grande pensatore ebreo di lingua tedesca come Freud ci ha insegnato come la colpa sia un pessimo consigliere.

Infine devo sottolineare la totale impotenza dell’ONU. Gli appelli del segretario generale Antònio Guterrez sono caduti nel vuoto e la risoluzione per un “cessate il fuoco umanitario immediato a Gaza”, approvata dall’Assemblea Generale il 12.12.2023, è stata bocciata per il veto posto dagli USA. Ciò dimostra ancora una volta come le istituzioni internazionali, uscite dalla Seconda Guerra Mondiale, hanno strumenti spuntati per il governo del multilateralismo concorrenziale, che con il declino della superpotenza unica statunitense si contende oggi il pianeta con rischi crescenti di una conflagrazione mondiale (basti considerare il progressivo allargamento del conflitto alla Cisgiordania, al Libano e all’interessamento di tutto il Medio Oriente) e del conseguente pericolo atomico.

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