
Il nostro eterno e confuso presente. Prendiamo come guida Adriano Prosperi
Ti ricordi tu che mi leggi come andò la guerra di successione polacca? Io no. E quella austriaca? e quella spagnola? Se non le ricordi ti dirò che non le ricordo neanch’io. E perché? Eppure le ho studiate senz’altro alle Superiori, e poi per il concorso a cattedre per le stesse Superiori; e poco prima certamente per l’esame di storia moderna all’Università. E perché non le ricordo? Perché ho poca memoria? Ora senz’altro sì, ma allora ce l’avevo, e ottima. E allora la risposta sarà che quando le “studiavo”, ormai molti decenni fa, non me ne fregava nulla. Un libro uscito quest’anno del nostro maggiore storico, Adriano Prosperi, si intitola Ieri, Oggi e Domani (Piemme, 2023). Si tratta di “15 lezioni per amare la storia”. Ma perché quel titolo? Perché chi vuole avere un domani e vuole partecipare alla sua costruzione deve sapere come andarono le cose in passato, mentre oggi si vive in un eterno presente e il passato lo si insegna male. Quello recente neanche lo si registra. Il nostro è Un tempo senza storia, titolo ancora di un libro einaudiano di Prosperi uscito un anno fa.
Voglio porre il problema dell’imparare la storia secondo me, anche se la mia specializzazione è letteraria, per due motivi: perché chi insegna storia insegna anche letteratura, e perché il rapporto letteratura/storia c’è sempre. E allora: se mi avessero insegnato “ai miei tempi” come vivevano la maggior parte delle persone, quali erano i mestieri più diffusi, in che case abitavano ecc. forse me lo ricorderei. Ma la vita dei più, ai meno che comandavano in casa nostra (e non solo), interessava poco. Insomma: come si dice con una formula fortunata e corretta: la storia l’hanno quasi sempre scritta (o almeno: fatta scrivere) i vincitori. E “i più” erano soprattutto contadini (e affini). E come vivevano? In che case? Belle le ville che ancora si vedono in cima alle colline, con la fila dei cipressi ai lati della salita che conduce al loro cancello! I contadini non ci abitavano, però, a meno che non fossero aggregati al complesso per lavorare nel giardino e fare le operazioni di ripulitura e di guardia. Spesso le loro case, si fa per dire a chiamarle così – diciamo: le loro abitazioni -, avevano il tetto di paglia impastata con lo sterco; a volte il pavimento aveva lo stesso impasto e tutti gli anni doveva essere rinnovato. E quando faceva freddo? Semplice, se c’era una stalla si dormiva lì. Che buon odore doveva esserci! E che ambiente sano! Che aria dolce si respirava! Ma questo in tutta l’Italia? No, certamente. Nel Sud alcuni abitavano anche in caverne. I soliti furbi di meridionali! Non si costruivano neanche la casa. E che si mangiava? E quando la carne? Semplice: sempre in una parte del Sud, per esempio in alcune zone della Calabria, se il cavallo moriva, per vecchiaia fatica stenti ecc., lo si mangiava. E chi prendeva il suo posto? Questo è un bel problema! Comunque la documentazione più aggiornata e sconvolgente sulla vita dei contadini in Italia è ancora in un libro dello stesso Prosperi di qualche anno fa: Un volgo disperso (Einaudi, 2019). Il titolo è manzoniano, quindi di uno che osò fare protagonisti del grande romanzo che tutti conosciamo proprio due contadini; e lo fece senza eccedere nel suo racconto sui particolari che abbiamo richiamato. Le figlie di contadini o comunque di gente povera andavano a servizio in città, o magari facevano un altro mestiere. Quale? Vi allude l’altro grande scrittore dell’Ottocento, il Verga, quando ‘Ntoni chiede ad Alessi: «“E la Lia, che non l’ho vista?”. E siccome aspettava inutilmente la risposta, aggiunse colla voce tremante, quasi avesse freddo: “È morta anche lei?”». È un testo eccelso, quello di Verga, che racconta direttamente la storia dei poveri, pescatori in questo caso (e in altri testi il Verga racconta anche dei contadini). Apparentemente meno chiaro, ma ormai provato, è il collegamento di un grande libro come Pinocchio con la storia contemporanea. Il Campo dei Miracoli, in cui se seppellisci le tue monete ce ne ritrovi tante di più, è un riferimento alla speculazione edilizia di Firenze capitale; e la città coi cani spelacchiati, le pecore tosate e la folla di accattoni è la stessa città: i fiorentini impoveriti di allora, quando aumentarono a dismisura gli accattoni, i delinquenti e i suicidi. È questo il paese di Acchiappa-citrulli. Documenti non letterari ma fondamentali per conoscere la vita dei contadini sono le relazioni dei medici condotti, diciamo così, di allora: in alcune città (per fare un solo esempio: Pescara) essi registrano il crollo per strada e la morte per fame di contadini fuggiti dalla campagna. Quindi abbiamo trovato tre diverse relazioni della letteratura con la storia: il modo diretto di Manzoni (che poi sia confermato o meno dallo stato degli studi storici è un altro discorso), quello allusivo della battuta di Verga (che nel suo romanzo è ancor più direttamente impegnato con la situazione di fatto), e quello indiretto, che in qualche modo può essere definito simbolico, di Collodi. Aggiungiamone un altro: lo studio storico-tematico indagato in un bel libro recente di Fabio Danelon, Il nodo, il nido (Marsilio, 2022) che è molto eloquente fin dal sottotitolo “Il romanzo matrimoniale dopo l’Unità d’Italia”. Qui l’autore indaga il tema nella letteratura del secondo Ottocento e primo Novecento, non solo italiana, per passare ad analizzare partitamente e con grande acribia Dio ne scampi dagli Orsenigo di Imbriani e Piccolo mondo antico di Fogazzaro. Un libro che un docente dovrebbe leggere per il gran numero dei testi che contengono questo tema. Si potrebbe andare avanti per pagine e pagine, riferendosi a tutte le metodologie critiche che si conoscono, e a tutte le distorsioni che sono state offerte del passato. Si pensi tra l’altro all’idea negativa, che è entrata nel linguaggio comune, del basso Medio Evo come di un’epoca rozza, antitetica alla nostra straordinaria civiltà. Ma è possibile che l’immagine che se ne è data per secoli sia quella giusta? Per restare in Italia: Dante, Giotto, i grandi pittori senesi, Boccaccio…e, ricominciando da capo, San Francesco Cavalcanti i Siciliani prima di tutti erano davvero così primitivi? Gli studi storici sono andati avanti rispetto a questa falsa visione, ma i libri di testo sono davvero adeguatamente aggiornati? Torture, roghi, crudeltà operati dagli organi dell’inquisizione ecclesiastica sono davvero ben considerati negli stessi libri di testo che si fanno leggere ai ragazzi? Non do la risposta. Mi basta concludere il percorso rovesciando il punto di partenza e agganciando un problema che mi sta molto a cuore. Abbiamo osservato come qualcosa della storia entri in alcuni testi, ma occorre dire che il testo letterario è storia, cioè entra nella storia. Quanto? Quanto i lettori decidono. E allora come guidare i giovani lettori a leggere? La prima cosa è che l’insegnante insegni con passione. È la passione con cui si comunica che induce il giovane a leggere e studiare i testi. E il lettore è creativo, nel senso che è lui che fa il testo mentre lo legge; l’autore l’ha solo scritto, l’altro lo reinventa, e la reinvenzione è quella che fa la storia del testo. Il primo modo per inventare un testo è impararlo a mente. Sembra una clamorosa contraddizione questa, ma non lo è. Certo, imparare Boccaccio o I promessi sposi a mente è impossibile e chiederlo sarebbe assurdo. Non è la quantità che conta…Qui però sto aprendo un altro discorso: come si deve insegnare la letteratura ai giovani? E qui dunque mi devo fermare, ma se mi sarà concesso tornerò presto sull’argomento.
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