Il ritorno di Sandro Penna
Si accede alla Galleria Nazionale dell’Umbria e ben presto, tra foto, disegni e dipinti novecenteschi, giunge in lontananza una voce querula, impastata dai farmaci, quella vocina che anche Patrizia Cavalli ricorda in una serata trascorsa a casa di Elsa Morante: la voce di Penna.
Occasione forse unica, la mostra perugina “Un mare tutto fresco di colore. Sandro Penna e le arti figurative” ideata dallo studioso d’arte (e di cinema) Tommaso Mozzati e aperta fino al 14 gennaio 2024, ce la riconsegna così come la ricordavamo, celebrata insieme all’opera nei giorni gloriosi di un convegno del 1990, quando in città arrivarono a parlare del poeta perugino studiosi come (tra gli altri) Piero Bigongiari e Alfredo Giuliani, Enzo Siciliano e Cesare Garboli, Nico Naldini e Dario Bellezza, con Elio Pecora a curare la mostra “Sandro Penna. Appunti di vita”e costretto ad annunciare con mestizia la scomparsa di Alberto Moravia. Curata dallo stesso Mozzati insieme all’autorevole filologo penniano Roberto Deidier e alla dottoressa Carla Scagliosi, è così presentata da Marco Pierini, direttore uscente della Galleria, in apertura del bellissimo Catalogo edito da Magonza: “Quando morì, chiuso da tempo in un volontario e caparbio isolamento, Penna conservava ancora tra le mura del suo appartamento romano centinaia di opere d’arte e moltissimi documenti, parte letterari e parte autobiografici. La mostra che gli dedichiamo oggi è una qualificata cernita di questo vasto materiale, che ci consente di accedere al suo mondo attraverso un varco da lui stesso tracciato e percorso”. Il tutto è stato possibile grazie all’erede Letizia Coppotelli, pronipote del poeta, che ha messo a disposizione il prezioso archivio. Ma i curatori, come vedremo, sono andati oltre in questa impresa che ha riportato nel salotto del capoluogo umbro la voce e il volto di un grande lirico del Novecento.
Dipinti e disegni
È ormai noto che Sandro Penna visse dell’affetto di amici generosi e della sua attività di mercante d’arte (e non solo). La sua mitologia personale, corroborata dalla dichiarata venerazione di Pier Paolo Pasolini nonché da Elsa Morante e dagli amici pittori della scuola romana d’avanguardia come Mario Schifano, Tano Festa e Franco Angeli, gli permise di godere di regali e commerci privilegiati, senza dimenticare, come ricorda Dino Buzzati in un articolo del 1962 dedicato a un’asta milanese, la sua natura di “compratore onnivoro” guidato da un gusto personalissimo e mai incanalato su mode e scuole di parte. Lui stesso si dichiarava povero in banca ma ricco di opere di una bellezza unica, non solo per motivazioni affettive. Così, nelle prime due sezioni della mostra perugina si dispiega una collezione che ospita ritratti di Orfeo Tamburi (iconico il suo olio Sandro Penna a Villa Borghese del 1945, da coll.privata), Carlo Levi, Roberto Melli, Mario Mafai e Nazzareno Cugurra. Seguono poi opere quasi inaspettate come una Sosta di cavalleggeri di Fattori, un Evola, Sironi e Carrà, una litografia di de Chirico e una di Picasso, fino agli amati Spazzapan, ancora Mafai e de Pisis, Vangelli, Gentilini e Maccari, in parte conosciuti e sodali. E non mancano, ovviamente, Vespignani e Turcato, nonché gli amici Pasolini (un pennarello su carta dedicato a Penna dal titolo Ragazzo che legge) e l’amico Renato Guttuso, prima della sezione centrale in cui predominante è la bellezza maschile adolescente, con i nudi di De Felice e Rocchi, de Pisis e Prieto, Cocteau e Tirinnanzi, tra acquerelli e carboncini che celebrano il topos dell’intera opera penniana. Nella quarta sezione una fotoincisione di Dalì anticipa la diffusa presenza dell’avanguardia romana degli anni 60-70, con opere degli amici che lo filmarono e lo fotografarono, anche insieme a una giovanissima Isabella Rossellini, e cioè Mario Schifano, Franco Angeli e Tano Festa. Insomma, uno spaccato della vicenda artistica romana della fase centrale del secolo scorso si apre ai nostri occhi attraverso stili diversi e memorie struggenti.
Testi e fotografie
Le teche centrali delle varie sale ci offrono la testimonianza dell’officina penniana. Pur non essendo questa la parte più originale dell’esposizione, per molti sarà un’occasione per vedere alcuni manoscritti importanti: dal diario degli anni Venti alle poesie Sole senz’ombra su virili corpi e Mi avevano lasciato solo, alla stesura con varianti di Se la notte d’estate cede un poco e di Ero per la città quasi un comune fino alla fondamentale, imprescindibile La vita… è ricordarsi di un risveglio datata ‘Porto San Giorgio, 24 agosto 1928’ e scritta a matita. Non mancano altre liriche dattiloscritte, a volte corrette a penna, così come lettere manoscritte degli amici pittori Osvaldo Licini, Filippo de Pisis, Orfeo Tamburi e Renato Guttuso. Sono presenti infine alcune rare edizioni di opere come Un po’ di febbre e plaquettes pubblicate a tiratura limitata, sempre arricchite da incisioni e disegni di amici prestigiosi.
L’apparato fotografico è consistente ed è reso suggestivo da alcune gigantografie ormai storiche, come la famosa foto di Irving Penn al Caffè Greco a Roma nel 1948, con la presenza di personaggi come Palazzeschi, Levi, Welles, Flaiano, Brancati e Sandro Penna in piedi sulla destra. Detto questo, risultano però poco viste altre sessioni fotografiche come quelle nella casa del poeta in Via Mola dei Fiorentini a Roma scattate da Franco Angeli, con Isabella Rossellini, Raffaele Cedrino e Penna con il suo cane lupo, nonché le foto di Sandro Becchetti che ritraggono il poeta, scarmigliato, in mutandoni e maglia di lana, nella sua disordinata camera da letto. Sono foto del 1972, un chiaroscuro di grande impatto e malinconia; eppure quello era un regno per noi indecifrabile, abitato da un sovrano lontano dai nostri codici borghesi e, come scrisse Cesare Garboli, “prigioniero della felicità”.
La voce e il corpo di Penna
In coda alla mostra, nell’ultima sezione, la voce del poeta ci conduce al colpo d’ala dei curatori, che va oltre l’archivio penniano ed è il frutto di ulteriori ricerche e concessioni di diritti: la sala di proiezione. Dopo un corposo repertorio fotografico che scorre sulle parole al magnetofono di un Sandro Penna che parla di arte e artisti da par suo (cioè con assoluta libertà di giudizio), la successione dei filmati è una vera chicca per chi è alla ricerca di materiali cinematografici o televisivi smarriti nella memoria, visti e scomparsi dalla circolazione. Con l’eccezione dell’estratto del film di Mario Schifano Umano non umano, oggi reperibile in DVD e visibile anche su youtube (ma le foto del backstage e il trattamento originale del film appaiono qui per la prima volta), per oltre un’ora scorrono sullo schermo materiali imperdibili per provare a rivivere l’esperienza dell’incontro con il poeta, umano e “oltreumano”. In successione, vediamo due brevi documenti di Settimane INCOM del 1947 e del 1951, con Penna presente tra poeti e botteghe di pittori e una mostra personale di Maria Grazia Bornigia; la splendida e rara intervista-documentario di Jean-Claude Biette del 1968, IDI Cinematografica, della durata di circa 14 minuti, nella quale il poeta, seduto sul letto, parla a ruota libera di sé e degli altri riconoscendo i suoi debiti con Saba e l’ammirazione per il dimenticato Cardarelli; la altrettanto preziosa intervista realizzata da Ippolito Pizzetti per la Radiotelevisione Svizzera nel 1969, dal titolo Incontri. Fatti e personaggi del nostro tempo: Sandro Penna o la vita come poesia (durata circa 24 minuti): qui Penna parla sdraiato sul suo storico letto, da cui placidamente riversa le sue piccole malignità e i suoi netti giudizi con candore fanciullesco, ribadendo la sua inattualità; infine, l’estratto da RaiTeche a mia memoria mai trasmesso dopo il 1977, La mosca e il miele: Sandro Penna di Claudio Barbati e Francesco Bortolini (durata circa 9 minuti), esempio di una televisione dai ritmi lenti, che tra le poche parole e le molte immagini mute cerca di far rivivere, quasi in empatia, quella Roma che continuava a vivere intorno alle finestre rigorosamente chiuse degli ultimi giorni del poeta.
Al termine del percorso, si esce dalla Galleria con una cara presenza ritrovata e un’emozione persistente, quella di aver rivissuto una storia irripetibile, l’avventura di un grande poeta nato a pochi passi da noi e da molti di noi dimenticato. E se è vero che tutto scorre inesorabilmente, anche a me, oggi più che mai, “di morire mi pare troppo ingiusto”. Sempre che Penna non torni di nuovo a parlarmi, con la grazia delle sue carte disordinate e i misteri della sua collezione privata ancora seminascosta.
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