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diretto da Romano Luperini

La fisarmonica in classe. Un percorso a partire da “Donna de paradiso” di Jacopone da Todi

Cappella Brizio, Orvieto 1502

Signorelli è da mesi a Orvieto per completare la sua opera: ha già dipinto diavoli, dannati e beati. Ora è il turno della deposizione di Cristo: ha in mente il corpo, Maria e Maria Maddalena che restano attaccate al cadavere, manca solo il volto, ma disegnare la faccia di Dio è cosa che mette i brividi.

Anche suo figlio Antonio è pittore ed ora si trova a Cortona dove infuria la peste, qui si ammala e muore in pochi giorni.

Racconta Vasari che Signorelli fece spogliare il cadavere del figlio e “con grandissima constanza d’animo, senza piangere o gettar, lo ritrasse, per vedere sempre che volesse, mediante l’opera delle sue mani quella che la natura gli aveva dato e tolto la nimica fortuna”. È così che il volto di Antonio diventa quello del Gesù Cristo dipinto nel Compianto del Cristo morto per la chiesa di Santa Margherita di Cortona e poi sul finire dell’anno torna agli affreschi del duomo di Orvieto e ne affresca una copia

Una scuola superiore, bar, una città, una qualsiasi 2023

Il bar, in una scuola, è un luogo mitologico, un po’ svago, un po’ dipartimento di materia, un po’ confessionale, un po’ pausa relax, un po’ luogo di decompressione. Quella mattina si parlava della poesia prima di Dante:

“Sai che c’è, Linda, questi testi ai ragazzi dicono così poco oggi, è proprio difficile portarli loro. La poesia d’amore funziona ancora, perché più universale, perché li avvicina alla loro esperienza, ma il Cantico delle creature, le laudi, la poesia religiosa sono proprio di un altro universo!”

Resto un po’ così, ma ci penso. Perché è vero che il Medioevo è un altro mondo, le sue coordinate sono sfuggenti e la poesia religiosa rischia di generare profonda noia, ma resta che io non credo che un testo possa o debba parlare da solo ai ragazzi e ritengo che buona parte del suo senso stia proprio nella distanza dal lettore. A me docente sta il compito di lavorare sulla distanza e sulla vicinanza in una sorta di movimento a fisarmonica che avvicini l’opera agli studenti e gli studenti all’opera.

Ed è indubbio che senza la poesia religiosa e la sua dimensione popolare e didattica, si perda una coordinata fondamentale per comprendere l’immaginario della Commedia.

Questi due momenti sembrano non avere nulla in comune tra loro, eppure sono entrambi alla base del percorso sulla Lauda che vado ora a raccontarvi: tre settimane di lezione con una Lauda di Jacopone da Todi come bussola.

La poesia religiosa: Dio portato a tutti

Non ho certo la pretesa di riassumere in una frase la religiosità del Basso Medioevo, ma possiamo certo dire che Dio è il senso e il fine in questo periodo storico. Anche di fronte alla complessità, alla crudeltà del mondo, alla sua incomprensibilità c’è sempre uno scopo, un fine, una certezza, ed è Dio. La Commedia sta lì a dimostrarlo: Dante attraversa l’Aldilà, che è luogo reale ma anche, almeno nei primi due regni, proiezione dei limiti e delle speranze umane eppure il senso è chiaro, l’unità non viene mai meno, Dio è Alpha e Omega.

Se Dio è tutto, a tutti deve arrivare, da tutti deve essere conosciuto: la dimensione della conversione è e resta fortissima. Convertire non significa soltanto avvicinare alla fede cristiana i pagani, ma mantenersi saldi nella fede, cambiare i propri comportamenti per guadagnare il paradiso, seguire quella che è considerata la giusta dottrina, conoscere l’esempio e le storie della Bibbia e dei santi. La Commedia, per esempio, è sì un poema sacro ma soprattutto una grande opera di conversione: vuole spiegare, raccontare, spaventare, narrare, dare l’esempio; è scritta per salvare le anime.

Basta entrare in qualsiasi chiesa medievale per rendersi conto di questa dimensione universale: gli affreschi alle pareti illustrano, raccontano e, grazie a simboli per noi spesso di difficile decodifica, rimandano ad altre storie e a messaggi più profondi.

Popolare non vuol dire, ovviamente, facile e banale, ma è sinonimo di polisemico: si tratta di opere che si rivolgono a un pubblico vasto, che ha un sistema culturale meno codificato, solido e fisso dei dotti, che è mutevole negli interessi, che è composto da chi è analfabeta e chi no, da chi legge solo il volgare, da chi ha qualche rudimento di latino e così via. Se la celebrazione eucaristica è il luogo d’elezione per l’incontro con Dio, la messa sarà in latino ancora per tanti anni e la parola di Dio resta oscura ai più. Per capire, quindi, come le storie religiose potessero essere patrimonio comune, dobbiamo guardare oltre: ai racconti dipinte sulle pareti, ma anche alle prediche, unico momento in volgare e in cui era prevista anche la possibilità di porre domande, ai miracoli della Vergine, alle storie dei santi, alle sacre rappresentazioni, a ciò che era recitato e declamato nelle piazze, alle laudi, ai testi più didattici che servivano a scuola, ma anche, si presume, in quello che oggi chiameremmo catechismo. E non possiamo tralasciare i testi eterodossi, apocrifi ed eretici che sono spesso segnale del tentativo di capire o di colmare buchi nella narrazione dei testi sacri.

Ciò che è evidente, è che la relazione con Dio, l’itinerarium ad deum, è chiave d’accesso fondamentale per comprendere il Medioevo.

Jacopone da Todi: un problema e una soluzione, lezione 1

Certa di quello che volevo mettere in luce con i ragazzi, sono partita dalla lauda Donna del paradiso di Jacopone da Todi.

Prima del testo ho fornito alcune coordinate: senza dilungarmi in questioni troppo complesse ho però provato a ricostruire alcuni snodi fondamentali. Ho semplicemente creato una presentazione con immagini cui ho affiancato un concetto e alcune domande: ritengo che in questo modo le presentazioni siano più efficaci. Le immagini diventano ancoraggio metacognitivo, per richiamare alla memoria quanto vado spiegando, e si evita che gli studenti leggano passivamente i pochi appunti che stanno in una slide, facendoseli bastare.

Questa in sintesi la carrellata di concetti chiave:

  1. Immagine: ms della Vita di Jacopone. Concetto: Agiografia. Ho ricostruito cosa sia l’agiografia, i problemi legati alla veridicità delle informazioni e letto alcuni punti salienti della vita di Jacopone, chiedendo poi ai ragazzi di provare a spiegare cosa significhi raccontare un episodio invece di un altro.
  2. Immagine: Celestino V. Concetto: Spirituale. Il racconto di questo episodio, che tornerà poi anche in Dante, è fondamentale nella vita di Jacopone. La domanda posta ai ragazzi è stata: cosa può significare per un fedele un papa che rinuncia? Perché questa disputa feroce tra Conventuali e Spirituali? Perché papa Bonifacio VIII scomunica Jacopone?
  3. Immagine: ms del corpus delle Laudi. Concetto: Pubblico. Ho spiegato a chi si rivolgesse  Jacopone e con quale obiettivo; probabile che avesse un pubblico più di ascoltatori che di lettori, individuabile nei frati novizi dell’ordine dei minori e nei laici. Ho chiesto quindi: come vi aspettate possano essere le opere che ha scritto, considerando a chi si rivolge e i suoi obiettivi?

A questo punto ho cominciato a leggere il testo e mi sono accorta che le difficoltà più grandi non nascevano tanto dalla comprensione dei termini, ma dalla difficoltà a ricostruire il contesto, l’immaginario, la storia che Jacopone raccontava. Gli ascoltatori duecenteschi di Donna del paradiso sapevano perfettamente cosa fosse successo prima e cosa sarebbe successo dopo l’episodio narrato e chi fossero i protagonisti: Jacopone dà per scontato, ovviamente, questo, e inserisce altri personaggi, fa parlare chi nei Vangeli è muto, affronta questioni che non si trovano direttamente nel testo sacro. Qualcosa di non troppo diverso da quello che capita con l’Iliade, solo che in questo caso non ci pare strano ricostruire cosa si intenda per gheras o la storia della mela d’oro; di fronte a questa lauda mi sono resa conto che il racconto della Passione di Cristo fosse quasi sconosciuto. Sono quindi tornata indietro.

Tra Passione e sermo humilis: lezione 2

Durante la prima parte della lezione ho diviso la classe a gruppi di quattro: hanno lavorato su Eneide IV.1-89 (che conoscevano dall’anno precedente) e su un brano della Passione di Giovanni (Gv 18,1-19,42), che avevo caricato su classroom nei giorni precedenti e avevano quindi già letto. La discussione è stata guidata a partire da questo schema e ci ha fatto giungere ad alcune conclusioni: il testo biblico ha una struttura più lineare, lo stile è paratattico, il lessico è semplice e facilmente comprensibile; il narratore riporta i fatti senza commentali, non sappiamo nulla dei pensieri e dei sentimenti dei personaggi, prevale la sintesi e la parola nuda, senza arzigogoli retorici. Pur con alcune approssimazioni, siamo giunti alla definizione di sermo humilis che Agostino di Ippona nel De Predestinatione sanctorum aveva motivato dicendo che il messaggio cristiano doveva essere posto in modo amoroso e delicato, per rispetto della sua natura e dell’ascoltatore, affinché potesse comprenderlo senza difficoltà.

A questo punto ho ricostruito, attraverso la lettura e la narrazione, l’intero episodio della passione di Cristo, per poi metterlo a confronto con la Lauda di Jacopone. Ho chiesto ai ragazzi di rispondere a queste domande:

  • Quale è la struttura dei due testi?
  • Che cosa ricaviamo sulle azioni, sui pensieri e sui sentimenti dei personaggi?
  • Quali episodi ci sono nella lauda e invece mancano nel testo evangelico?
  • Quale ipotizzate potesse essere il pubblico della lauda e cosa ve lo fa dire?

“Lo stile e il lessico della lauda sono semplici e chiari – mi dice Giorgia – come quello evangelico. Però ci sono molti più dialoghi, compaiono altri personaggi, Maria parla e discute con suo figlio e con Giovanni. Ci sono continue anafore, che ci fanno restare in testa il suo dolore.”

“Jacopone aggiunge episodi, interpreta, dà voce a quello che nel Vangelo è sottinteso, insomma quasi lo trasforma in un film”. Continua Corrado, e ci ha preso.

A questo punto, siamo giunti poi a conclusione che la letteratura popolare vuole convertire, informare, insegnare, emozionare, catturare l’attenzione e farsi comprendere. Per fare ciò ha bisogno di una lingua accessibile, non solo per la scelta del volgare, ma anche per lo stile che crea una storia in grado di mantenere l’attenzione e far leva sulle emozioni. La struttura della Lauda è dialogica e teatrale, la passione viene messa in scena dando spazio a personaggi che o non compaiono nel testo di Giovanni o lì sono muti.

Le conclusioni cui siamo giunti sono state poi sottoposte a controllo leggendo la pagina di commento del manuale di letteratura e integrando le conclusioni cui eravamo giunti con le informazioni desunte dal testo.

Il metodo di ricerca, come vedete, è a fisarmonica: dal testo, alla ricezione in classe, alla ricerca sull’immaginario e di nuovo alla discussione sul testo da parte della classe (docente e studente insieme), per giungere poi all’analisi critica da parte dell’esperto di letteratura medievale.

Dal testo di Jacopone ad altri testi: lezione 3

“Prof. Ma Maria nella Lauda ha così tanto spazio, parla così tanto rispetto al Vangelo, perché è il personaggio con cui si potevano più facilmente identificare gli spettatori?” Mi chiede Naomi a bruciapelo e ha ragione.

Questo testo mette in scena l’enormità del dolore, la sua ingiustizia e la fragilità umana davanti a questa voragine e lo fa dando voce e corpo a una donna, a una madre. Sotto la croce c’è ciascuno di noi, quel Cristo sofferente diventa l’immagine di qualcuno che abbiamo conosciuto e per cui abbiamo sofferto: esattamente lo stesso processo per cui Signorelli usa suo figlio come modello di Gesù.

Anche perché siamo giunti a questo tema, ho proposto tre testi apparentemente lontani tra loro:

Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, Ep.46 del podcast Morgana storie libere, 2022

Dario Fo Maria sottola croce, tratto da Mistero buffo interpretato da Franca Rame

Fabrizio De Andrè, Tre Madri, dall’album La buona Novella del 1970

Ho chiesto ai ragazzi lo sforzo di guardare Franca Rame che recita da sola, sul palco del teatro Strehler, in grammelot nel 1969: all’inizio i loro sguardi erano attoniti e straniti, qualcuno visivamente annoiato, poi piano piano ho proprio sentito la tensione salire, gli occhi e le orecchie aprirsi. Alla fine c’era quel bel silenzio gonfio che chiunque insegni sa essere carico di promesse, ho chiesto di raccontarmi quello che avevano visto:

Arianna mi dice: “All’inizio mi concentravo su tutte le parole, per capire, poi piano piano è come se le parole si fossero cancellate, ne compariva qualcuna qua e là e io dovevo metterla in relazione, davo io senso. Nella mia testa restavano i suoni e come l’attrice si muoveva. Mi ha commosso. Non ci avrei mai creduto.”

Io: “Ma perché Maria fa un gesto così illogico come quello di appoggiare una scala o di corrompere la guardia per dare un mantello al figlio? Tanto sa che morirà!”

Marco: “ Non ci si rassegna mai al dolore, noi abbiamo sempre la speranza di un miracolo, che tutto finirà bene. Maria si illude di poter fare qualcosa per suo figlio, lo vuole proteggere. Mica lo vede come Dio, per lei è il suo figliolo.

Anna: “Maria è arrabbiata e ha ragione, è una furia, ma è lucida. Attacca Gabriele, ma secondo me se la prende con Dio. Gabriele le ha promesso che sarebbe stata la madre del re ed ora vede suo figlio soffrire, punito come un ladro e un assassino.”

Marta: “Nessuno può comprendere e capire un’ingiustizia così grande. L’accusa all’angelo (e per me a Dio) è quella di stare al di fuori del mondo, di non conoscere la sofferenza, di non preoccuparsi degli uomini”.

Dalle prime impressioni, anche se più che di impressioni si può parlare di connessioni, ho ricostruito il contesto in cui è nata l’opera di Dario Fo, la sua interpretazione laica del mistero e chiesto quale parte secondo loro non avrebbe mai potuto trovare spazio in un testo medievale: l’accusa a Dio mi rispondono, nessuno nel Medioevo lo avrebbe messo in discussione. Le cose non stanno proprio così, ma non ho tempo di aprire altre parentesi.

Credevo che la canzone di De Andrè sarebbe stata di più facile comprensione e invece è avvenuto esattamente il contrario: un po’ perché non era chiara la storia dei ladroni, un po’ perché la canzone inizia direttamente in medias res con le parole della madre di Tito.

Ginevra: “Le madri di dei ladroni invidiano Maria, perché sa che suo figlio risorgerà, però a Maria non interessa, lei piange la mancanza del corpo di suo figlio, del suo sorriso. Vorrebbe morire con lui, come nella Lauda. Non le interessa che sia figlio di Dio, perché proprio per quello è morto.”

Franco: “Ma perché qui Gesù non parla? Mentre nel testo di Jacopone sì? Nella lauda Gesù chiama Maria mamma, cosa che non avviene mai nei Vangeli, come ha spiegato la Murgia nel podcast.”.

Cristina: “La chiama mamma per far commuovere gli spettatori, per far capire loro la sofferenza sulla croce, il suo dolore a dover lasciare tutto e a vedere sua madre che soffre. Forse Dario Fo e De Andrè lasciano Gesù sullo sfondo perché vogliono mettere più in risalto le donne che sono ai piedi della croce.

Domenico chiude forse parlando più a se stesso: “Il dolore o ti fa urlare o ti toglie le parole”.

Suona la campana, lascio loro per compito queste domande da cui partiremo la lezione successiva:

“Quali sono i temi universali nella crocifissione? Perché due autori laici ne hanno proposto una reinterpretazione quasi duemila anni dopo? Cosa c’è in comune con la lauda di Jacopone? Quali le differenze?

Dalla comprensione alla rielaborazione: lezione 4

L’ultima lezione è in aula informatica: ho preparato un file che contenesse alcune immagini della deposizione, ciascuna corredata da pagine critiche, per poter inquadrare l’opera e avere informazioni tecniche necessarie all’analisi. Ho scelto volutamente il momento successivo a quello che avevamo affrontato in classe, la deposizione. Ecco l’elenco delle opere che hanno potuto osservare:

Giotto, Compianto sul Cristo morto, 1303-1305

Mantegna, Cristo smorto, 1475-78

Michelangelo, Pietà, 1497-99

Caravaggio, Deposizione, 1602-05

Yo Mama’s, PIETA, 1996

David Lachapell, Courtney Love Pieta, 2006

Jan Fabre, Sogno compassionevole, 2011

Ciascuno studente ha scelto un’opera, l’ha osservata, studiata ed analizzata e ne ha fornito un’interpretazione, solo a questo punto ha provato a dar voce ai pensieri della Maria presente nell’opera scelta, cercando di rispettare contesto storico e significato.

Inutile dirvi quanto delle opere che abbiamo attraversato sia finito in questi testi.

Conclusione (forse)

Prevengo un’obiezione “Se dedichi così tanto tempo a Jacopone da Todi a Machiavelli non arriverai mai.” Probabile che sia vero, mi domando allora ne vale la pena? Ha senso? E’ un inutile esercizio e volo pindarico? Forse.

Ma è il tentativo di tenere insieme ricerca, studio, scoperta, coinvolgimento dei ragazzi e delle ragazze, spiegazione di quello che io già conosco e posso mettere al loro servizio. È il tentativo di fare una scuola che pratica il linguaggio democratico, che usa le tecniche didattiche quando sono necessarie e con consapevolezza e non si preoccupa troppo di chi debba stare al centro (il docente, i ragazzi, i testi) perché è impegnata far conoscere, a imparare, a

discutere, a mettere in discussione e ricostruire e a scoprire. Un luogo in cui la letteratura possa essere per tutti, senza trasformarla in altro.

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