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diretto da Romano Luperini

‘o pallone di Saviano. Su Cuore puro. Quattro amici. Quattro destini. Una sola passione

Prodromi

Come può un racconto, che originariamente ammontava a 18 pagine, estendersi fino a 35,per poi diventare un libroche ne conta 168?i

Lo spiega lo stesso Roberto Saviano nella Premessa:

Negli anni, rileggendolo, mi sono reso conto che poteva dar vita a un’opera con un passo diverso, che i protagonisti meritavano di essere osservati da una distanza più ravvicinata, che una stretta messa a fuoco avrebbe restituito loro quella profondità di campo da cui non si può e non si deve mai prescindere quando si racconta una città come Napoli e le vicende che la riguardano.

Con questa nuova edizione ho voluto compiere un’escursione più ampia, nuotando sulla superficie della spensieratezza che quel pallone di gomma arancio fuoco (il supersantos n.d.A) trasmette e calandomi in profondità, nei fondali di certi luoghi partenopei dove troppo spesso la vita rimane incagliata.

Perché «le vicende che hanno ispirato il racconto sono assolutamente vere. Vera è la realtà che ha prodotto tutto questo.»

Il contenuto non cambia nelle tre versioni, almeno non nel “messaggio” che vuole veicolare Saviano; semmai si aggiungono degli episodi, cambiano l’età dei protagonisti (da 8 a 10-11anni) e qualche nome. Ma soprattutto cambia il tono, che nei racconti brevi è più asciutto e diretto: meno empatia, più distacco; meno narrazione, più l’andare dritti al punto. Saviano dunque non ha riscritto, ma ampliato.

Tutto inizia con una prolusione, carica di un’amorevolezza che nasce dall’esperienza fatta in prima persona nella sua Napoli, sulle caratteristiche dei vari ruoli, con uno speciale approfondimento su quello del portiere, e sulle modalità di formazione delle squadre di calcio di strada (il tocco/la conta), con un sguardo attento all’evoluzione nel tempo di quelle modalità, a seguire i cambiamenti nelle squadre ufficiali: dai brasiliani agli argentini, quelli ‘veri’ e quelli mezzo italiani, ‘ritornati’ nel nostro paese secondo un percorso inverso di emigrazione, indotto dalla crisi economica latinoamericana.

A concludere questa prima parte, una lunga, appassionata dichiarazione d’amore per il pallone, vero e proprio protagonista: dal Super Tele al Super Santos, passando per le infinite sue imitazioni, al Tango, con il secondo nel ruolo del più popolare oggetto/soggetto della scrittura anche di altri autori, da Brera («L’oggetto magico ricorda il mondo di Mercator, solcato da meridiani e paralleli»), a Caressa, fino alla Scuola Holden, tra gli altri.

Il Super Santos non era un semplice pallone. Era il pallone. Una sfera arancione fuoco con le strisce nere, rigorosamente disallineate rispetto alle concavità impresse alla plastica, a formare figure geometriche. Quando qualcuno immaginava un pallone, lo immaginava arancione, nero e con la scritta ripassata in giallo. Immaginava il Super Santos (p. 17).

La storia al centro del romanzo

Solo dopo la prolusione inizia la storia vera e propria, che vede i quattro protagonisti giocare in strada «nelrione, l’ecosistema locale, lo scenario consueto», fino allo sfinimento. «Tu, tu, tu, e pure tu» si vedono “costretti” a trasformare la loro passione per il calcio, unita a una certa maestria, in una vera e propria occupazione:

Loro potevano solo giocare. Giocare sempre. Giocare per esaurire tutte le forze, ma anche tutti i possibili pensieri. Mangiare per ricaricarsi, dormire per trovare altre energie. E giocare senza essere costretti a relegare il gioco al margine, ad aspettarlo come ricompensa per la fatica, per il lavoro, per il dolore. Dopo i compiti, dopo aver fatto bene qualcosa. No, gioco e basta. Un antidoto al dolore, alla fatica, al lavoro.

La magia finisce quando uno dei quattro si sottrae al ruolo assegnato:

Per i ragazzi fare da pali significava poter vivere giocando a pallone. Per il clan giocare a pallone significava poter vivere mentre i ragazzi facevano i pali. Un meccanismo che avrebbe retto all’infinito, se l’unica condizione necessaria fosse stata rispettata: l’assenza totale di ogni ulteriore ambizione. L’assenza di un sogno. […]A dodici anni, però, si vive guardando in alto. Ogni raggio di luce, in quella terra bagnata dal sole, è una pertica per il paradiso. Occorre del tempo, prima di rinunciarvi. Maturità. Anzi: rassegnazione.

È Dario a “distrarsi”, dando retta invece al sogno:

Era troppo bella l’azione che stavo facendo …

Troppo bella?! ma che cazzo stai ricenn’ […] voglio sapè ‘a verità

Era troppo bella l’azione che stavo facendo … Mi dispiaceva che finiva così, con un senza niente …

Un senza niente…? Ma tu veramente vuoi fare il calciatore coi soldi miei? Il capocannoniere della serie A è arrivato… non poteva non finire l’azione, l’attaccante! Si sulo nu strunzill’, e io chiu’ strunz’ ‘e te che t’agge pigliato.

E così, mentre gli altri si trovano irrimediabilmente incastrati nel Sistema, Dario viene «scomunicato ed espulso» con tutta la sua famiglia, che si trasferisce nel quartiere di Soccavo, non troppo lontano dallo stadio di San Paolo – il quartiere, per inteso, dove Fabio Cannavaro ha da poco rilevato il centro sportivo Paradiso, già centro di allenamento del Napoli di Maradona. Sarà la salvezza, per Dario.

Come va avanti

Il romanzo procede articolandosi in episodi, alcuni costruiti secondo una tecnica giornalistica, altri secondo un approccio cinematografico, da sequenza filmica, sia per le modalità della rappresentazione della scena, sia per la presenza di molti dialoghi fatti di fitti scambi di battute, per lo più in dialetto napoletano.

La presenza del dialetto nella prima versione è molto ridotta, ma cresce nelle versioni successive, e forse a ciò non è estraneo l’inaspettato successo della serie televisiva Mare fuori – anche negli USA, dove il NYT l’ha definita una «steamy hit». Al di là di tutte le polemiche (sottotitoli sì/no), si può osservare che il suo uso sembra troppo spesso legato, nei libri come al cinema, ad ambienti malavitosi. Si può parlare di stereotipizzazione? Probabilmente sì, anche se l’uso quotidiano del dialetto in quasi tutta l’Italia costituisce una realtà concreta, sia in ambito familiare sia tra i giovani.

Per il resto, Saviano usa una sintassi e un vocabolario accessibili a tutti: frasi brevi, termini correnti, lessico regionale (segnalato qualche volta dal corsivo) come il soprannome di ‘o Scioffèr, napoletanizzazione, diffusa in gran parte del Sud, del francese chauffeur, “autista”, in genere riferito al conducente di‘o pulmánn, altra napoletanizzazione.

I capitoli si susseguono senza numerazione né titolo, ma è possibile ricostruire una sorta di indice: introduzione generale sul calcio in strada, storia dei quattro (la piazza, ‘o pallone, il tabaccaio, prove di tesseramento), l’oltraggio incosciente di Dario, il Sistema, storia del trapianto e fatti di camorra (esecuzione sommaria per una soffiata su un traffico di cocaina, il giornalista gambizzato, la bambina morta per sbaglio), epilogo. Saviano ricostruisce storie vere, riferendo senza mezzi termini una cruda realtà, intercalata a narrazioni di fantasia altrettanto dure, rifacendosi a fatti di “cronaca” documentabili e documentati con tanto di nomi e cognomi. Come quello del giornalista Luigi Necco, gambizzato dagli uomini di Cutolo per uno “sgarbo” in diretta.

Siamo negli anni ’80; quanto è cambiato da allora a oggi? La domanda e soprattutto la risposta risultano inquietanti, di sicuro nient’affatto rassicuranti.

Il titolo

Che cos’è un cuore puro e soprattutto chi ha un cuore puro? Lo chiarisce Saviano durante l’intervista di Fabio Fazio nella trasmissione Che tempo che fa del 6 novembre 2022:

Spensieratezza, fratellanza, amicizia sono le declinazioni su cui questo romanzo prova a capire dove noi conserviamo la nostra parte migliore. Il cuore puro in fondo è questo. Non è un cuore che non si è compromesso, non è un cuore che non ha conosciuto errori e contraddizioni. Il cuore puro è ricordarsi ciò che si era quando si poteva avere un legame di amicizia senza alcun interesse e si poteva giocare in uno spazio libero.

Come scrive nel libro:

Fra lui e la porta, adesso, c’era solo il portiere , nelle orecchie, il battito del cuore che galoppava, carico di tutta l’adrenalina della giovinezza, che non corrisponde a un’età anagrafica ma all’istante in cui il corpo supera i suoi limiti grazie alla libertà dello spirito. Mentre il suo piede correva incollato al pallone, Dario era il più forte perché il suo cuore era puro, spalancato all’estasi del gioco (p. 78).

È il cuore di un calciatore quello che batte, e quando quello di un giocatore “vero” – quello di Vittorio Mero, del Brescia di Mazzone e Baggio, qui Enzo Merolla alle pp. 102-03 – viene trafugato per essere trapiantato nel corpo di un camorrista, nascono i dubbi:

Guagliu’, ma che stiamo facendo? […] stiamo portando il cuore di un innocente a Ciccio Guadascione. Quella latrina. Guagliu’… ma seriamente […] Questo è il cuore di Enzuccio Merolla, guagliu’ […] Ve site scurdat’ da dove veniamo, guagliu’.ii

Nel romanzo infatti, a differenza dei racconti, sono presenti anche le famiglie dei ragazzi, i vicini, il popolo di Napoli, che nonostante i soprusi quotidiani, per contrastare i quali non ci sono quasi armi a disposizione, riescono a mantenere una loro dignità; per questi Saviano nutre simpatia e affetto: ci sono anche e ancora persone per bene che credono nel lavoro – ‘a fatica – onesto: «noi il pane ce lo abbuschiamo faticando» (p. 67ss). È in questa gente che Saviano vede uno squarcio di speranza e sembra riporre grande fiducia: nelle famiglie dai sani principi, nei giovani che non sono dei santi (qui non c’è redenzione possibile), ma che si ribellano e si fanno delle domande: cosa stiamo facendo, da dove veniamo, che cosa vogliamo.

Per finire

A fine lettura, ci si chiede: che fine ha fatto il Super Santos? Si fanno ancora le palle cucite con stracci vecchi? E i bambini, i ragazzi, giocano ancora per strada, o solo alla Play(station), come si domanda Valerio Magrelli nel suo Addio al calcio (28II)? «Quei calciatori-spiriti mi sembrano infestare la sua mente, riducendolo all’immobilità. Sono lemuri neurologici, proiezioni, che giocano partite immaginarie, su campi immaginari, con voci di cronisti immaginari che commentano risultati immaginari». E le bambine, le ragazze, anche loro giocano a pallone oggi? E con quale “passione”? È possibile riconoscersi anche solo in alcuni degli spaccati di vita raccontati da Saviano?

Un’ultima questione: Cuore puro è un libro da inserire nella sezione “Letteratura sportiva”? è un romanzo sulla mafia che prende spunto dal calcio per mettere in luce alcuni aspetti della criminalità organizzata? o è un romanzo che racconta l’amore per questo gioco ed è perciò lo sport è il vero protagonista? Una risposta può venire dalle considerazioni fatte più ampiamente su questo stesso blog; nella fattispecie, Saviano risponde alla

necessità di esprimere sentimenti ed emozioni, trasfigurandoli in forma artistico-letteraria, attraverso le vicende dei suoi protagonisti, le loro storie individuali così come quelle delle diverse situazioni storico-sociali nel cui immaginario si trovano spesso a coprire, più o meno consapevolmente, un ruolo principale.

Di sicuro l’amore per il calcio e la sua gente ce lo ricorda la dedica del libro di Saviano: «Questa pagine sono dedicate a coloro che hanno ricevuto la grazia e la dannazione di crescere giocando per strada. Quello che sulla vita conoscono è ancora tutto lì, tra il catrame e il pallone».

La fine del libro, con Dario che torna per giocare “all’americana” là dove tutto è iniziato, chiude il cerchio dell’infanzia e dell’adolescenza rubate.

i Questa è infatti la storia redazionale del racconto di Saviano: appare con il titolo Super santos, pali e capistazione, nella raccolta del 2005 Il pallone è tondo, a cura di Alessandro Leogrande (l’ancora del mediterraneo); viene ripubblicato in una versione estesa con il titolo Supersantos nel 2011 per le edizioni del Corriere della Sera, nella collana Inediti d’autore, e in versione digitale nel 2012 per Feltrinelli, nella collana Zoom (tuttora disponibile online in formato PDF). Esce infine in volume nel 2022 per Giunti Editore, con il titolo Cuore puro. Quattro amici. Quattro destini. Una sola passione.

ii Nella versione del 2012: «Questo è il cuore di un calciatore. Quello che volevamo fare noi. Un cuore. Un cuore di uno che ha giocato a pallone. Sapete cosa significa? Non è giusto!» (p. 27).
Una storia di trapianto, legata a una riflessione sul ‘merito’, era stata già inserita da Stefano Benni ne La compagnia dei Celestini: «Un ricchissimo barone di Belém, Gerardo Friumes Torresana, aveva un figlio, Pinochel Friumes, e sognava per lui un grande avvenire. Ma Pinochel sapeva fare ben poco: era grasso, pigro e passava il tempo a mangiare gelati di cocco. […] “Ma c’è qualcosa che ti piacerebbe fare, almofada di lardo?”“Mi piacerebbe essere un campione di football” disse Pinochel, che era collezionista di figurine di calciatori. […] Chiese allora aiuto al suo amico Camillo Cortas, esperto in “ristrutturazione funzionale dei benestanti”: prendeva organi sani da bambini poveri e li trapiantava su bambini ricchi e malaticci. […].

Camillo Cortas si rivolse alle banche di organi più famose del Sudamerica […] Trovò organi in buono stato, ma nessuno apparteneva a un fuoriclasse del calcio, poiché un fuoriclasse del calcio non è mai povero. Già si pensava di uccidere in un agguato un nazionale brasiliano e trapiantare gambe e cuore su Pinochel, quando uno degli informatori di Cortas disse che in un rione di Bahia c’era un fenomenale e poverissimo bambino (Policinho) che giocava a pallone meglio di un professionista.[…]» (pp. 200-201).

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