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diretto da Romano Luperini

 Quando si parla di poesie a tema sportivo, ammesso che se ne parli, quelle citate, e a volte presenti nelle antologie scolastiche, sono quasi sempre le famose 5 poesie di Umberto Saba (Cinque poesie sul gioco del calcio da Il Canzoniere: I Squadra paesana; II Tre momenti; III Tredicesima partita; IV Fanciulli allo stadio; V Goal) e, se proprio va bene, la canzone A un vincitore nel pallone di Giacomo Leopardi (dove pallone sta per palla al bracciale, non da calcio). Comunque sia, la prospettiva con la quale ci si accosta alla tematica sportiva è sempre quella del poeta – ovvero Saba, come Leopardi, ha scritto poesie e tra queste alcune “dedicate” a uno sport – senza che avvenga mai di dar risalto prima alla tematica sportiva, poi a quella lirica. Vero è che nessuno dei due poeti citati si è dedicato alla pratica di qualche sport, semmai ha nutrito ammirazione per atleti eccellenti (è il caso di Leopardi) o ne ha seguito le vicende non in quanto tifoso, ma un po’ per caso si è trovato ad assistere a un paio di partite della Triestina (è il caso di Saba). A dire il vero, Saba ha scritto un’altra poesia “sportiva”, che riguarda un pugile alla fine della sua carriera (Entello in Mediterranee) che può trovarsi inserita in un’Antologia della letteratura sportiva italiana, quella a cura di Giuseppe Brunamontini (Società Stampa Sportiva, Roma 1984), o analizzata criticamente per i suoi tratti mitologici, come fanno Bárberi Squarotti e Tatasciore tra gli altri, a conferma della variabilità del punto di vista prospettico di cui si è detto.

Il panorama delle poesie, così come delle prose, incentrate sull’attività sportiva risulta invece piuttosto ampio e variegato, già ai tempi della lirica greca (Pindaro docet, anzi διδάσκει), anche se quasi del tutto inesplorato. Uno dei pochissimi esiti antologici, monotematico in quanto si concentra sulla produzione “calcistica”, è Il calcio è poesia (Il melangolo 2006), a cura di Luigi Surdich, professore ordinario di Letteratura italiana all’Università di Genova, che lo introduce, e Alberto Brambilla, anch’egli docente, che si occupa da tempo di sport e scrittura. Come per altri poeti (cito solo Giovanni Giudici, Vittorio Sereni, Pier Paolo Pasolini tra i più noti) con i quali condivide la condizione di tifoso e in parte di giocatore seppur dilettante, anche la produzione sportiva di Magrelli è poco considerata, mentre meriterebbe ben altra attenzione di lettura e di critica.

 

Si tratta del volume edito da Einaudi nel 2010 Addio al calcio. Novanta racconti da un minuto, che raccoglie 90 prose poetiche di varia lunghezza, tante quanti i minuti di una partita di calcio, suddivise nei due tempi canonici; attraverso lo scorrere dei minuti di un’ipotetica partita, Magrelli racconta la sua storia, il suo personale rapporto con il calcio, dall’infanzia fino all’addio al campo di gioco. Il titolo infatti prefigura la narrazione del suo allontanamento dal calcio giocato (raccontato al 24’ del I […] Stava esortandomi a battere la punizione, ma dandomi del lei. Del lei in un campo di calcio! Mi sentii amareggiato, e non potevo prendermela con nessuno. Avrei dovuto capirlo. Quella fu la mia ultima partita e 42’ del II tempo […] Non mi era mai capitato di pensarci, ma qualche anno fa ho smesso per sempre di giocare a pallone […]. È come se avessi cambiato sistema respiratorio. Di più: ho fatto il percorso inverso a quello della farfalla. Io, che vivevo all’aperto, ebbro d’ossigeno, sono rientrato nel nero bozzolo, rinchiuso nell’astuccio di una stanza a macinare chilometri in cyclette), ma non definitivo disinteressamento come tifoso (44’II […] Perché, pur evitando di confessarlo apertamente, io voglio, voglio sapere il risultato […]).

In un’intervista il poeta parla di «un libro fatto di ricordi, di collage, di cronache che ho ritagliato per la loro qualità linguistica particolarissima, di osservazioni, dove la parte memoriale è molto importante.[…] La partita è tutto un desiderare di ricevere la parola, di poter essere protagonisti di un’azione, magari anche gregari, tante cose entrano in ballo in questa specie di danza che ha tutti i tratti di un rituale» (secondo l’intuizione di Roland Barthes dei Miti d’oggi); «la ricchezza compositiva di questo gioco (il calcio, sport tanto più ricco quante più variazioni ha) è straordinaria: come la poesia è linguaggio al quadrato, il calcio è uno sport al quadrato perché è duello individuale, ma è anche forma di solidarietà collettiva, altrimenti non si spiegherebbe questo successo planetario»  e qui il rimando alla sintesi pasoliniana de «Il calcio è un linguaggio con i suoi poeti e prosatori» è quasi d’obbligo.

Anche se il libro è inserito tra le produzioni in prosa del poeta, si dovrebbe parlare di prose poetiche, non perché improntate a una qualsiasi convenzione metrica, ma perché impregnate di immagini evocative e pervase da una intenzionale musicalità: Perché ho un ricordo tanto nitido e felice di quei momenti? Forse perché quel gioco era slegato da tutto, e si traduceva in un semplice desiderio di movimento ed elevazione. Forse perché quel gioco era una preghiera. (42’I). Magrelli si trova in un convento in Francia, per un Congresso, e un tardo pomeriggio si ritrova con un amico a rifare un gioco da ragazzo: calciare la palla verso l‘alto, ripetutamente, Soltanto per vedere come andava.

D’altra parte è lo stesso Magrelli a dichiarare che «Per me ogni testo, ma non in maniera progettuale o sulla base di una qualche poetica preesistente, nasce da un’esperienza […] e però anche da sollecitazione di tipo letterario. Io sono sempre dell’idea che un’esperienza vissuta o letteraria, quando è vera, non abbia poi una tonalità diversa. (5’) […] (varietà tematica nella prosa poetica) […] il mio genere è non avere un genere»  (12.50) tanto che si ritrovano anche interferenze tra scrittura giornalistica e scrittura poetica, come nel verso 14’ II «In porta sta Masetti, dalle manone vaste come foglie di papiro» («La Gazzetta dello Sport»), che Magrelli riporta a Euripide nel suo paragonare il cuore umano a un rotolo di papiro, che man mano si srotola; così come in 17’II Lo confesso. Non riesco a staccarmi da questi resoconti giornalistici. Mi faccio forza, e scelgo queste ultime due testimonianze. La prima risale al 1931: «Bernardini distribuiva il pallone ai compagni in modo che l‘azione si raccogliesse quale un ventaglio manovrato da abili dita». E siamo a Mallarmé. La seconda è datata 1942: «La squadra è un meccanismo compatto, articolato in tutte le sue leve e in tutti i suoi ingranaggi. Dovessimo descriverla col minor numero di parole, la descriveremmo col maggior numero di gambe». E con questo arriviamo a Quintiliano.

Il libro rimanda a una visione del calcio da un lato sentimentale – il calcio nei rapporti familiari a tratti entusiastici, a tratti deludenti, con il padre (5’I, 4’II, 24’II, 39’II), lo zio (31’I, 32’I) e soprattutto con il figlio (1’I, 4’I, 10’I, 23’I); i ricordi delle esperienze di gioco vissute, il lento declino e l’abbandono –, dall‘altra rassegnata ai cambi epocali, dalle ruminazioni dei programmi televisivi (12’I, 13’I), alla surrogazione della PlayStation (33’I e 28’II) fino al Fantacalcio (34’I e 29’II), senza dimenticarsi del biliardino e del Subbuteo (35’ e 36’II). È di nuovo Magrelli a parlare: «La riflessione è iniziata quando ho visto mio figlio giocare al pallone con la PlayStation. Un giocare tutto disincarnato, divenuto astratto essenzialmente visivo. Questo non toglie che con lui giochiamo anche davvero, con la palla di cuoio, e il percorso del libro arriva un po’ a come è giocare con lui e come era giocare con mio padre, in una sorta di specularità».

Palleggi, palleggi in un pomeriggio d’estate. Quel bambino concentrato solo col suo pallone, era capace di passare ore, pur di superare il numero di tocchi che si era prefissato. Non allegro, ma assorto, pienamente consacrato al mio compito. Una buona approssimazione alla felicità. Forse per questo ho cominciato a scrivere poesie. (19’II)

Magrelli (2010) racconta la storia sua e quella di tutti i ragazzi come lui, che in questi quadri si riconoscono pienamente – il compagno di giochi con i piedi a banana e le scarpe alla frutta (9’I), la palla che rotola giù in montagna dove il campo è scosceso (40’I), i maglioni accatastati per delimitare le porte (3’II), il giocare a passaggi (21’II), gli innumerevoli palloni perduti (38’II) e il corrispettivo recupero dei palloni lanciati fuori (45’II) –, storia nei confronti della quale, lui poeta, professore ordinario di francese e traduttore, nonostante la rinuncia all‘attività di giocatore, ammette di soffrire, quasi masochisticamente, come di un morbo lontano che continua a possederlo, senza che abbia trovato alcun antidoto (44’II).

E si capisce che queste impronte sono comuni alle esperienze di tanti anche perché si ritrovano come oggetto di descrizione anche nella narrativa di altri. Come Giorgio Vasta, nella sua opera prima Il tempo materiale (2008) ambientata significativamente ai tempi del Mondiale di calcio del ‘78 in Argentina: Passare ore ripetendo lo stesso tiro, colpendo il pallone sempre nello stesso modo, imponendogli l‘una o l‘altra rotazione, conoscendo al millimetro il punto in cui atterrerà al suolo, la forma del rimbalzo; o Gianni Brera quando racconta di come Platini stava le ore a palleggiare, a tirare di destro e sinistro contro un muro e quando faceva buio e gli altri andavano a casa lui era ancora lì con la palla tra i piedi (Fumagalli 2005) e lo stesso Del Piero (2012): Giorni e giorni passati così: io, la pallina e l’interruttore, su quel fare e rifare lo stesso colpo per imparare a farlo bene durante la partita. E infine Magrelli In cortile non c‘è più nessuno, è pomeriggio, ha appena smesso di piovere e si sentono solo i colpi lenti della sfera che batte e rimbalza, echeggiando fin nella tromba delle scale. Rimbombi profondi, cardiaci, e il rimbalzo. La mia infanzia è segnata da questo metronomo. È così che ho imparato il controllo di palla. (37’II)

Scrittori diversi, descrivono altrettanti “movimenti” pressoché identici nella sostanza, sotto l’egida di trame e finalità differenti, rivelando nello specifico concreto, la molteplicità della scrittura sportiva.

A questo punto ci si può chiedere quale sia la specificità dello sport inserito in un linguaggio poetico e una delle risposte può essere che lo sport in tutte le sue componenti (gioco, atleti, pubblico, spazi) diventa materia poetica non tanto quando si riferisce all’eccezionalità del gesto unico che alla fine interessa solo a pochi, ma quando parla a tutti noi, o meglio quando riesce a rendere eccezionale la quotidianità, ne riesce a cogliere gli aspetti unici, che fanno sentire parte del mondo, che rendono l’esperienza sportiva un’esperienza comune a tutti, nella quale ci si riconosce.

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