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diretto da Romano Luperini

L’immaginario letterario dei sentimenti nella pratica didattica

La letteratura come motore di emozioni

Lasciare un segno, incidere nel mondo interiore degli studenti, dare loro strumenti e contenuti culturali per la costruzione di un immaginario: chiunque insegni discipline letterarie credendo nel loro valore umano e civile si sarà misurato con questi obiettivi e probabilmente avrà fatto esperienza, almeno qualche volta, di un qualche senso di inadeguatezza. A volte sembra di avere a che fare con un invisibile, ma imponente muro da abbattere quando cerchiamo di avvicinare gli studenti a testi letterari che, oltre a richiedere una buona dose di fatica interpretativa per accedere al bello che racchiudono, hanno anche su di sé la taccia dell’”inutile”: sarà capitato a molti di sentirsi rivolgere la fatidica domanda: “Prof., ma tutta questa fatica per tradurre (sic) Dante, poi esattamente a cosa mi servirà per il mio futuro?”. A niente e a tutto, lo sappiamo, ma la risposta arriverà da sola, purché si riesca a incrinare, se non proprio a sfondare, il famoso muro. L’esperienza ci dice che la via più efficace per raggiungere la nostra platea di studenti annoiati e indifferenti, o talvolta anche polemici e provocatori, passa per ciò che mette in gioco le loro e le nostre emozioni, e le emozioni, lo sappiamo, si mettono in gioco e in moto con contenuti significativi, non banali. Di fronte a noi ci sono ragazze e ragazzi bisognosi di strumenti di interpretazione e codifica della realtà, di competenze ad ampio raggio, certo, ma anche di contenuti, di conoscenze senza le quali il loro immaginario rischia di rimanere povero e arido, poco abitato. Tra noi e loro un patrimonio di testi con il loro enorme potenziale di vitalità da spendere. Tanto maggiore è questo potenziale, tanto più, per non perderlo o “bruciarlo”, gli approcci didattici dovranno essere pensati e calibrati con attenzione.

Così lontani così vicini: tradizione letteraria e identificazione

Riporto un esempio tra i tanti possibili di utilizzo didattico di testi che “muovono” emozioni forti, ma che formano al tempo stesso competenze specifiche: in una terza liceo scientifico leggiamo una selezione di Carmi di Catullo ai quali affianchiamo la lettura di alcuni componimenti del Canzoniere di Petrarca in un percorso parallelo tra letteratura latina e italiana. Il gioco del confronto riguarda le ossessioni amorose e le tempeste sentimentali dei due poeti, che immaginiamo come due sodali intenti a condividere e a raccontare, insieme alle loro pene d’amore, soprattutto il loro mondo interiore. Proviamo a ricostruire così un immaginario dialogo a distanza di secoli, cominciamo ad osservare temi e parole chiave, lessico ricorrente, stilemi, modalità espressive. Ci accorgiamo che stiamo parlando di sentimenti e di esperienze accessibili ai nostri adolescenti, di contenuti nei quali si possono facilmente rispecchiare. Se a volte la nostra sfida è avvicinare gli studenti a contenuti oggettivamente distanti e “altri”, questa volta dobbiamo quasi fare l’operazione inversa, per evitare che la risonanza emotiva ci faccia scivolare in banalizzazioni ed eccessi di universalismo: per non appiattirsi sulla semplice identificazione sentimentale “tra il poeta e noi” è importante essere molto rigorosi nella contestualizzazione, pur riconoscendo il valore dell’universale, e saper guardare ciò che appare vicino e accessibile con la lente della distanza per evitare che si perda il senso più autentico dei testi. Sarà quindi fondamentale osservare che anche la sfera emotiva e sentimentale in letteratura si modella su archetipi fondamentali (primi fra tutti quelli del mito) ed è codificata da un linguaggio specifico, e che tutto questo è ancorato ai particolari contesti e alle finalità artistiche degli autori. Questo tipo di lettura ci insegna a riconoscere i modelli e a saperli collocare all’interno di una tradizione; nella nostra pratica didattica è essenziale però richiamare costantemente e lavorare anche sul senso stesso dei concetti di tradizione e di modello, che non possiamo dare per scontato: le ragazze e i ragazzi che popolano le nostre scuole vivono, come spesso si dice, nell’hic et nunc, non certamente per loro colpa, ma per l’estrema frammentazione in cui sono immersi per mille motivi che non occorre qui ricordare; sono cresciuti tra stimoli infiniti, ma disorganici, fruiscono, anche attraverso i “loro” media, di contenuti che spesso dipendono anch’essi da modelli della tradizione colta, per lo più però in modo inconsapevole.

Le parole per dirlo: dare voce e nome ai sentimenti

In classe, giocando sulla costruzione o ricostruzione dell’immaginario letterario, dobbiamo provare quindi a metterci in una relazione non necessariamente attualizzante, ma significativa e motivante con il testo: da un lato c’è la tradizione e dall’altro c’è un testo vivo che parla anche a noi e di noi, che può aiutarci a trovare le parole per raccontare emozioni e stati d’animo, formidabile antidoto all’analfabetismo emotivo così drammaticamente diffuso. Analizzando questo straordinario strumento che è la parola poetica nella sua ricchezza creativa, ma anche nella sua esattezza lessicale, da questa duplice dimensione possiamo imparare a dare i nomi alla realtà che non si vede, compresa quella dei nostri sentimenti. Da questa prospettiva l’Odi et amo di Catullo non è un inno alla confusione dei sentimenti nella quale l’adolescente si dovrebbe come tale identificare, ma piuttosto un distico poeticamente perfetto, costruito sull’ossimoro e sull’idea della scissione, nel quale però non regna la confusione, ma al contrario la lucidità, la limpidezza assoluta nella scelta dei termini: anche solo indicando le forme verbali riferite al soggetto che si concentrano e quasi si affollano in due soli versi, odi, amo, faciam, nescio, sentio, excrucior, si potrebbe per esempio imbastire una lezione sul sistema verbale latino, sull’opposizione dell’aspetto verbale perfetto/presente o su quella attivo/passivo, oltre che sulle scelte lessicali: le competenze linguistiche danno corpo ed espressione al riconoscimento delle emozioni. La complessità di un sentimento è inoltre descritta qui in una forma sintetica che può essere erroneamente scambiata per semplicità, ma è invece frutto di estrema elaborazione e lucida focalizzazione di pensiero. E soprattutto c’è spazio anche per sentimenti “scandalosi”, come l’odio, il sentimento “sbagliato” per eccellenza, così come per quel “disequilibrio” che caratterizza anche tanti testi di Petrarca che analizziamo in classe e che il poeta confessa apertamente, quasi compiacendosi dell’estrema volubilità degli stati d’animo, della ricerca della amata e insieme odiata solitudine, della volontà di non smettere di attingere alla fonte del suo dolore e del suo piacere: “tanto da la salute mia son lunge”, recita sconsolato il verso finale del sonetto 164 del Canzoniere.

Da Petrarca alle soft skills

Mentre in classe ci diamo da fare alacremente per analizzare testi, collocarli nei loro contesti, riconoscere modelli letterari, affinare competenze interpretative, che cosa succede “là fuori”? Là fuori, nel mondo della scuola pensata da chi non la vive davvero, tra le tante cose si discute di soft skills o competenze non cognitive, si discute di valutare gli studenti per la loro capacità di gestire le emozioni e lo stress, di risolvere i conflitti e di essere assertivi e sicuri di sé, di problem solving, e di team working e via con tutto ciò che è spendibile ed emotivamente controllabile. Lode eterna allora ai poeti e ai classici che ci regalano ancora le parole giuste anche per i sentimenti sbagliati e per tutta la complessità di cui siamo fatti e che forse non troverà mai cittadinanza nelle future griglie ministeriali per l’educazione all’empatia e alla resilienza.

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