Non praevalebunt (una sera per la pace)
Sabato 26 febbraio, ore 21.30
La chiesa è piena e c’è silenzio.
Don Nicola si avvicina al microfono: è alto e composto, solo le mani che si muovono leggere tradiscono i pensieri lontani.
“Grazie della vostra presenza e di questa vicinanza con il mio paese che vive un momento difficile, il più difficile da quando la guerra è iniziata anni fa. Come voi sapete io sono qui per occuparmi della comunità ucraina di Como e ciò significa soprattutto donne, che svolgono il lavoro di badanti. Vorrei che pensaste a queste donne, giovani donne trentenni, che se ne sono andate dal loro paese anni fa, si sono adattate a tutto e hanno sopportato il dolore dell’abbandono dei figli e della famiglia. Hanno lasciato l’Ucraina per garantire un futuro sicuro ai loro figli; ma ora quei bambini sono uomini che rischiano la vita, che potrebbero trovarsi a combattere. Sentite il dolore che hanno dentro? Pensate a loro questa sera e al mio popolo che è la.
Qui in chiesa, fra noi, c’è la nostra piccola Anastasia, che piange spesso di notte; oggi ha pianto fino alle quattro del mattino, forse qualcosa la disturbava, è normale coi bambini piccoli, così, anche questa notte, non ci ha fatto dormire. Mentre l’ascoltavo piangere e cercavo di consolarla, ho potuto pregare e ho pensato che nel suo pianto c’era il grido dei bambini ammassati nella metropolitana di Kiev. La notte fa paura ai bambini, pensate a cosa può essere una notte in una metropolitana, al freddo a Kiev.
– si ferma, fa una pausa e ci guarda un secondo, da sotto in su-
Vi prego, in questi giorni, state vicino alle donne ucraine che sono nelle vostre case, fate sentire loro il vostro appoggio, parlate con loro. Non lasciatele sole. Non lasciateci soli”
Abbassa la testa, composto, muove impercettibilmente le spalle, poi torna al banco, mentre Anastasia gira per la chiesa e fa la bambina di due anni che è; la sua mamma la rincorre tra le sedie.
Don Nicola è uno dei due preti della chiesa greco cattolica ucraina che vivono nella mia parrocchia. L’altro è Don Stepan che ora guida il rosario in ucraino e italiano: si prega per il popolo ucraino, assediato e resistente, per quello russo, che rischia ogni volta che scende in piazza a manifestare dissenso, e anche per noi che vorremmo stare più vicini, e non si può, e abbiamo una paura grande.
Le parole, ripetute e cantilenate si susseguono nelle due lingue, c’è un silenzio strano, che dà i brividi: solo le candele sono accese. A Don Stepan trema la voce e credo anche a tutti noi.
In questi giorni mi sono illusa che studiare e provare a capire la situazione geopolitica mi avrebbero aiutato: non è stato così, non mi è servito a tenere a bada la paura e il senso di impotenza, già messo a dura prova dalla pandemia.
In classe ho ricostruito la vicenda, dando coordinate storiche e geografiche, anche grazie ai video di geopop; abbiamo ascoltato i podcast di Cecilia Sala, che ci hanno portato direttamente in Ucraina e abbiamo ripreso a leggere i giornali. Ogni studente ha portato in classe un quotidiano, lo ha sfogliato e poi ha scelto l’articolo che maggiormente lo colpiva, lo ha letto e analizzato e da lì ha steso un elenco di domande alle quali stiamo cercando di rispondere. Ho visto i ragazzi preoccupati e animati dal desiderio di conoscere e di prendere posizione: mi scrivono in piattaforma alla sera, ogni mattina raccontano quello che hanno visto e chiedono, soprattutto chiedono, “Ma noi cosa possiamo fare?”.
Ecco io a questa domanda resto interdetta. L’incontro di questa sera insieme alla comunità ucraina era una piccola risposta, forse.
So bene che queste poche righe sono impressioni rispetto ad analisi e argomentazioni, so anche che una sera in chiesa per chiedere la pace può fare sorridere.
Eppure abbiamo bisogno di sentirci vicini, di sentirci umani, di continuare ad esercitare la nostra libertà di vivere, di mostrare vicinanza al popolo ucraino e di prendere posizione netta.
La celebrazione è finita, Don Stepan, Don Nicola, Don Elia e Don Luigi si abbracciano per tutti noi e spengono le candele.
La piccola Anastasia ride forte, batte le mani e ci riporta la luce.
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Editore
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L’autrice di questo articolo così ricco di ‘pathos’ sembra dimenticare ciò che perfino il prete greco-cattolico riconosce, e cioè che la guerra di Ucraina (o, meglio, in Ucraina) viene da lontano, dagli anni Quaranta del secolo scorso che videro svilupparsi in quel paese un vasto movimento filo-nazista, e, per venire più vicini a noi, dal colpo di Stato nazional-fascista del 2014, con il quale fu rovesciato il governo legittimo di Yanukovjc e perpetrata, fra le altre atrocità, la strage di Odessa, qui non ricordata. Da allora l’Ucraina si è rapidamente trasformata in uno Stato fantoccio della Nato e degli Usa, che quel colpo di Stato avevano preparato, sostenuto e finanziato, diventando, in funzione antirussa, una testa di ponte dell’allargamento della Nato lungo la direttrice che parte dal Mar Baltico e giunge al Mar Nero. La chiesa uniate, nel corso di questa vicenda storica, ha sempre appoggiato attivamente ed organicamente sia le tendenze nazional-fasciste sia la politica di estrema destra portata avanti dai governi che si sono succeduti dopo il colpo di Stato. Per questi motivi la Russia ha imposto a questo paese il ‘redde rationem’ e ora il popolo ucraino sta pagando a caro prezzo i servigi resi al blocco imperialista che l’ha usato, lo usa e lo userà come carne da macello. “Non praevalebunt”, certo, è un augurio comune; ma ancor più chiaro e deciso suona il monito: “!No pasaràn!”, espresso in un periodo storico – gli anni Trenta del secolo scorso – che presenta notevoli analogie con il periodo attuale.