Per riscoprire Mario Rigoni Stern a cento anni dalla nascita
«Sono nato alle soglie dell’inverno, in montagna, e la neve ha accompagnato la mia vita». Inizia così Stagioni (Einaudi, 2007), l’ultimo libro di Mario Rigoni Stern, uno zibaldone, come lo definì l’autore stesso, e insieme un testamento spirituale, una summa di vita, di pensiero e di etica di un uomo che ha attraversato il Novecento. Scomparso in silenzio il 16 giugno 2008 – la notizia della morte venne diffusa, per sua espressa volontà, a funerali avvenuti – Mario Rigoni Stern era nato ad Asiago l’1 novembre 1921, cento anni fa.
Mentre da mesi si susseguono iniziative locali, nazionali e internazionali, per ricordarlo e celebrarne la figura e l’opera, eventi che culmineranno con un grande convegno previsto per settembre a Venezia e ad Asiago, vorrei condividere alcune riflessioni sull’importanza di Mario Rigoni Stern in prospettiva di proporlo (o riproporlo) nella scuola superiore.
Rispetto infatti alla posizione alquanto angusta in cui è rimasto a lungo relegato in virtù del suo libro più importante, quel Sergente nella neve letto e studiato da generazioni di studenti del dopoguerra, oggi la prospettiva sull’autore asiaghese si è notevolmente allargata. Similmente a quanto accaduto per Primo Levi, di cui fu grande amico, Rigoni Stern non appare più solamente come “scrittore di guerra”; piuttosto, sempre più egli si offre come autore a tutto tondo, un nome imprescindibile del secondo Novecento e la cui riscoperta, nella scuola in particolare, può legarsi agevolmente a temi oggi particolarmente sentiti, non solo in ambito letterario.
Di seguito propongo quindi, senza pretese di completezza, un rapido sguardo attorno ad alcuni dei temi che la narrativa di Rigoni pone con insistenza.
1. L’esperienza personale nella Seconda guerra mondiale
Come detto, Rigoni Stern esordisce come autore di memorialistica grazie ad un libro sulla Seconda guerra mondiale che figura oggi fra i più importanti del secondo Novecento: Il sergente nella neve. Ricordi della ritirata di Russia venne pubblicato nei “Gettoni” Einaudi nel 1953 e valse a Rigoni il Premio Viareggio Opera prima. Divisa in due parti, l’opera descrive l’esperienza che l’autore, sottufficiale degli alpini, visse durante la campagna di Russia fra il 1942 e il 1943: prima la vita di trincea nel caposaldo lungo il Don e poi la terribile ritirata. Il libro, che subì pesanti tagli e correzioni da parte di Elio Vittorini, può essere inserito nella temperie neorealista e proposto in quest’ottica a studenti di quinta superiore (io l’ho fatto per due anni, con ottimi riscontri), magari letto in parallelo ad altre opere del periodo o che trattano dei medesimi argomenti, come Mai tardi di Nuto Revelli (1946) o il meno noto I lunghi fucili (1956) di Cristoforo Moscioni Negri, tenente di Rigoni in Russia. Sono libri diversi per taglio e stile ma accomunati, oltre che dai contenuti, dalla volontà di raccontare in chiave antiretorica la sciagurata campagna dell’VIII armata italiana.
Un altro libro molto interessante per un percorso didattico sull’educazione di un giovane durante il ventennio fascista e sulle guerre combattute da Rigoni (prima di quella contro Russia partecipò alle campagne contro la Francia e la Grecia) è invece l’agile L’ultima partita a carte, del 2002, che mescola memoria e riflessione sviluppate in tarda età e che potrebbe essere letto accanto ad altri libri di autori che si sono trovati a fare i conti con un’educazione sbagliata, fino a scegliere di aderire alla Resistenza (o, come Rigoni, a preferire il lager all’adesione alla RSI). Mi riferisco soprattutto a Fiori italiani di Luigi Meneghello o a Le due guerre. Guerra fascista e guerra partigiana di Nuto Revelli. Ma la lista si potrebbe allargare a Fenoglio, al Meneghello dei Piccoli maestri, al Calvino dell’Entrata in guerra.
Poco noto infine, ma non meno poetico e coinvolgente, è Quota Albania, del 1971, libro in cui Rigoni racconta la fine della sua giovinezza e l’impatto con la guerra, quella vera e non quella esaltata dal regime, in Francia e in Albania. Di quest’ultima Rigoni parlò, nello stupendo documentario realizzato nel 1999 da Carlo Mazzacurati e Marco Paolini, come della «guerra più brutta che l’Italia abbia fatto».
2. La memoria della Grande Guerra
Rigoni Stern nasce ad Asiago (Vi), una delle località italiane più segnate dalla Grande Guerra, tre anni dopo la fine del conflitto. Cresce circondato da residuati di ogni tipo e da bambino vaga spesso per le trincee alla ricerca di cartucce e shrapnel da trasformare in giocattoli o da rivendere ai commercianti di metalli.
Per un percorso sulla Prima guerra mondiale, anche in collegamento con Storia, imprescindibili sono i tre libri che compongono la cosiddetta “Trilogia dell’Altipiano”: il bellissimo Storia di Tönle, del 1978, racconto lungo che si snoda fra la seconda metà dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale e che ha per protagonista Tönle Bintarn, uno spirito libero, contrabbandiere e pastore che non conosce confini, L’anno della vittoria, del 1985, che affronta il tema del profugato dall’altipiano e poi del difficile ritorno degli sfollati a guerra finita, e infine Le stagioni di Giacomo, storia di un adolescente coetaneo di Mario, che cresce negli anni Trenta e svolge il mestiere di recuperante di materiale bellico. Tutti e tre i libri sono adatti ad un biennio delle superiori e, oltre alla memoria della Grande Guerra, offrono collegamenti con temi quali il territorio, la montagna, l’emigrazione, la memoria delle antiche genti cimbre, di cui la guerra spazzò via le ultime tracce. Sono inoltre libri che si possono leggere, anche in una terza media, in parallelo a Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu, opera fra l’altro molto amata dallo stesso Rigoni, di cui scrisse un’Introduzione ancora oggi riproposta da Einaudi.
3. La natura, il paesaggio, la montagna
Un terzo grande tema che offre la narrativa di Rigoni è l’ambiente, declinato come attenzione al paesaggio, alla natura e agli animali, ma anche come ritorno ad una vita sobria, a ritmi più lenti, più umani. In tal senso la natura ha sempre una funzione rigenerante (lo ebbe del resto per lo stesso Rigoni al ritorno dalla prigionia in Germania) rispetto al mondo di città e ai suoi ritmi frenetici, sovente disumanizzanti. Riguardo a questo ambito e alla necessità, più volte ribadita dall’autore, di un rapporto più autentico ed equilibrato con la natura, vasta è la possibilità di scelta per un percorso tematico: dai racconti del Bosco degli urogalli (1962), di Uomini, boschi e api (1980) o di Amore di confine (1986) fino al bellissimo Arboreto salvatico (1991), raccolta di brevi scritti dedicati agli alberi che Rigoni stesso aveva piantato attorno a casa sua, un libro che annuncia sin dal titolo il ruolo salvifico degli alberi. Si tratta di una scrittura che mescola narrativa e saggistica e che può offrire validi spunti per percorsi interdisciplinari fra letteratura, storia, botanica e altre discipline. Non a caso nel 1998 l’Università di Padova conferì a Rigoni la laurea honoris causa in Scienze forestali (il video del discorso tenuto dallo scrittore è disponibile, assieme a molti altri filmati, su Youtube).
4. Il lavoro come realizzazione dell’uomo
Altra tematica presente nelle opere di Rigoni è senza dubbio il lavoro, non solo e non tanto quello intellettuale ma anche, soprattutto, quello manuale, legato agli antichi mestieri della montagna – il malgaro, il pastore – e più in generale alla terra e ai saperi della civiltà contadina. Si potrà spaziare anche qui dai racconti – penso al bellissimo breve scritto Un pastore di nome Carlo, in Sentieri sotto la neve (1998) – ai romanzi, analizzando le figure dei protagonisti come dei personaggi secondari. Il tema del lavoro come realizzazione più alta dell’uomo inoltre è un ulteriore punto di incontro con altri due grandi del secondo Novecento a cui Rigoni era legato personalmente da fraterna amicizia: Nuto Revelli, attento raccoglitore di memorie montanare e contadine, e Primo Levi, che nella Chiave a stella celebrò il lavoro come «la miglior approssimazione concreta alla felicità sulla terra».
5. Una vita e una scrittura sorrette da una solida coscienza morale
Il collegamento con Levi e con Revelli offre infine un’ulteriore possibilità di approfondimento e di percorsi trasversali a partire dalla biografia stessa dei tre autori e dalle vicende che li videro sostenere, come scrisse Levi in una poesia intitolata A Mario e a Nuto, il «volto di Medusa» senza tuttavia restare impietriti. Ne emergono tre uomini accomunati da un profondo senso etico, una coscienza morale e civile che indirizzò sempre le loro vite e che emerge chiaramente nella loro scrittura. Utili strumenti saranno a tal proposito le varie biografie di Levi (la più interessante, nonostante una cattiva traduzione e qualche refuso, è quella di Ian Thomson, pubblicata in Italia da UTET) e quelle di Revelli e Rigoni scritte da Giuseppe Mendicino per Priuli e Verlucca.
Rigoni Stern ha le caratteristiche per diventare un classico del secondo Novecento, periodo che spesso ancora si fatica a studiare a fondo a scuola per le molte cose da fare ma, forse, anche per impostazioni didattiche superate e tuttavia dure a morire: un percorso didattico per temi può dunque offrire possibilità di approfondimento inedite nonché di collegamento con autori già diventati canonici, anche a livello scolastico, quali Calvino, Levi, Fenoglio, Meneghello e altri ancora (si vedano a tal proposito le Indicazioni nazionali del 2010).
Tuttavia non solo per i temi Rigoni è un autore da riscoprire, dentro e fuori la scuola. Maestro del racconto breve, nei suoi libri colpisce spesso, anche i ragazzi di oggi, per la prosa chiara, limpida, a tratti poetica, nonché per i suoi attacchi folgoranti, a partire dal celebre incipit del Sergente che, come ha ben detto anche Massimo Recalcati, resta scolpito nel cuore del lettore: «Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato».
Anche le chiuse di Rigoni non sono però da meno: l’ho sperimentato leggendo assieme ai miei studenti alcuni suoi testi brevi. Dalla conclusione epigrammatica con cui termina il racconto Incontro in Polonia – «al mondo siamo tutti paesani» – alla pagina finale di Quota Albania, dove si descrive un bagno rigeneratore che forse riecheggia I fiumi di Ungaretti, i giovani restano affascinati dalla forza e, insieme, dalla poesia che promanano dallo stile di Rigoni. E come dimenticare le conclusioni che richiamano la neve, il silenzio, l’inverno che sta per arrivare e che si fa custode di memorie e di sentimenti?
Molto è dunque il lavoro da fare, nelle scuole e fuori, per riscoprire un grande narratore e un grande uomo. Che l’occasione del Centenario possa contribuire a farlo conoscere ed apprezzare è l’auspicio e insieme l’impegno comune. A lui, che fino all’ultimo ha incontrato studenti di ogni età, che sapeva catturare l’attenzione anche delle classi più vivaci e parlare con la pacatezza ma, insieme, con l’autorevolezza che solo i grandi hanno, farebbe senz’altro piacere sapere di avere ancora qualcosa da dire ai giovani, a quei giovani che, quand’era davanti a loro, gli infondevano fiducia e speranza.
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