Inchiesta sul lavoro di editor/5: Andrea Gentile (Il Saggiatore)
A cura di Morena Marsilio e Emanuele Zinato
Con l’intervista di oggi continua l’inchiesta – che ha cadenza quindicinale – sulla professione dell’editor. Nel corso del Novecento questo “mestiere” è stato svolto da scrittori come Calvino, Vittorini, Sereni che fungevano da mediatori tra società letteraria, case editrici e pubblico; oggi il mondo dell’editoria è stato investito da grandi trasformazioni che sembrano aver dissolto la figura dell’intellettuale-editore e modificato in profondità il lavoro editoriale. Questa indagine mira a sondare come sia mutata, tra dissolvenze e persistenze, la funzione dell’editor all’interno della filiera del libro, coinvolgendo sia case editrici indipendenti sia l’editoria maggiore. Sono state già pubblicate le interviste a Fabio Stassi, Laura Bosio, Gerardo Masuccio e Riccardo Trani.
1. Editing e condizioni materiali del lavoro intellettuale. Qual è il suo rapporto lavorativo e quanti libri è chiamato a editare in un anno?
Il Saggiatore pubblica circa 110 libri l’anno, che fa circa 11 libri al mese, se consideriamo che nell’editoria italiana agosto e dicembre sono mesi in cui, tendenzialmente, i libri non escono. E’ una macchina piuttosto vasta, se consideriamo che da anni abbiamo chiuso, a seguito di una lunga meditazione e di una scommessa vinta, la collana dei Tascabili e quindi tutto è novità. Se intendiamo l’editing come un lavoro tecnico sul testo, io, nella fattispecie, lavoro a zero libri, e non saprei dire a quanti libri lavori un editor del Saggiatore, poiché ho impostato una struttura piuttosto flessibile, che verteva verso il tentativo di de-personalizzare l’editing, e quindi diverse persone seguono un testo, naturalmente in maniera organizzata e non caotica. Esiste un linguaggio, nell’editoria, per cui ho sempre nutrito sospetto. “Quello è un mio libro”, “quello è un suo libro”. All’interno delle organizzazioni è plausibile che nascano territori privati, impulsi di “proprietà”. “Questa è la mia collana!”, “questo è un mio progetto!”. Talvolta è sacrosanto, talvolta è molto rischioso. Il catalogo di una casa editrice deve essere concepito da tutti su tutti gli aspetti, al di là delle proprie competenze. Se l’idea è quella di costruire un progetto di lunga durata, è fondamentale l’appartenenza: se io ho appartenenza, che so, solo per la collana di economia o, peggio, solo su questo mio progetto, perché mi occupo di quella e mi disinteresso del resto della casa editrice, non sto facendo bene il mio lavoro. Naturalmente dipende molto dalle dimensioni della casa editrice e questo discorso va rimodulato a seconda delle organizzazioni. Ma una casa editrice è fatta di persone, e se c’è l’appartenenza si può costruire qualcosa di lunga durata. È quello che accade con tutte le squadre.
Per rispondere alla sua domanda, allora, getto la luce su un lavoro fondamentale dell’editore, che se si vuole, si può comunque chiamare “editing”. Quel lavoro cioè che è distante dal lavoro tecnico, scrivere commenti, correggere, suggerire modifiche, ripensare etc. ma che considero altrettanto fondamentale. Si tratta del dialogo con l’autore, non solo sul libro, ma sul suo percorso: è parte integrante del mio lavoro. L’editore non deve parlare solo del libro, ma dell’autore, del suo percorso: mettere in luce anche ciò che lui non sa di volere. In qualche modo spingerlo a cercare l’autenticità e a dimenticare il lettore. La domanda, per esempio, può non essere “Cosa mi conviene scrivere, con il prossimo libro?” ma è “Cosa veramente senti dentro di te” e quel che senti, talvolta, corrisponde con il prossimo libro. Talvolta proporre di scrivere libri, ma sempre con questo criterio: non è che ciò che ti sto dicendo lo senti davvero, ma non lo sapevi?
E’ uno slittamento semantico del lavoro editoriale, che spesso viene considerato puramente tecnico. Nel mio caso, è il lavoro principale.
2. Su che basi si imposta il dialogo tra l’editor e lo scrittore. Come viene “associato” un autore a un editor (per affinità tematiche, di generi letterari…); quanto del lavoro di editor può rientrare in queste categorie: semplice revisione (ruolo tecnico), interpretazione (ruolo di critico); riscrittura (ruolo creativo). Quanto e come queste tre funzioni si traducono in un dialogo con l’autore?
Ogni editor è una persona, con le sue caratteristiche, e quindi associare un autore a un editor è un esercizio delicato: coinvolge capacità tecniche, sì, ma anche e soprattutto questioni che riguardano la personalità, sia dell’autore, sia dell’editor. Un tema centrale è la sensibilità. Ogni editor ha un certo tipo di sensibilità per il testo e, naturalmente, un certo tipo di sensibilità umana. Le funzioni dell’editor o redattore poi variano sempre a seconda del caso. Ogni caso è diverso e sono innumerevoli le variabili. L’editor perfetto è quello che sa spaziare dal ghostwriting al dettaglio più minuscolo.
3. La sua specifica formazione da editor.
Lavoro al Saggiatore dal 2009 e ho iniziato a collaborarvi nel 2007, lavorando, da “editor-ricercatore”, a Patria 1978-2008 di Enrico Deaglio. Da quel momento in poi ho fatto molti lavori, dal tirocinante in redazione in poi. I primi lavori erano principalmente legati alla saggistica italiana. Chiesi subito all’editore di aprire la casella email delle proposte spontanee, che all’epoca la casa editrice non aveva. Ne venne fuori il libro di Emilio D’Alessandro, l’autista di Stanley Kubrick, una bellissima storia che fu venduta in molti paesi.
4. Tradizionalmente si considera l’editor un agente dell’editoria che tende a formattare il prodotto letterario per favorirne la vendita. Quanto questa immagine oggi corrisponde al lavoro reale di editor?
Poco. Esistono realtà in cui questo può accadere, ma in molte case editrici la domanda è un’altra: come far emergere il meglio di questo libro e di questo autore. Apparentemente, si tratta di un meccanismo contrario alla vendita. Da quel che posso dire dalla mia esperienza, però, mi sembra un po’ semplicistico. Quando abbiamo creato un nuovo Saggiatore, in particolare dal 2014, ci siamo dati alcuni obiettivi. Uno era puntare a libri profondi, che potevano avere una lunga vita. Abolire uno dei motti che era molto in voga da alcuni decenni, in alcune case editrici: semplificare. Abbiamo costruito un catalogo che sembrava fuori dal tempo, i librai dicevano che guardavamo troppo al passato o che guardavamo troppo al futuro. Poi però dal 2014 al 2020 è stato conseguito un aumento del fatturato pari al 96%. Ciò che sto cercando di dire è: non si può dimenticare quale sia il tuo lavoro, e cioè che i libri hanno un codice a barre – ho seguito un master in management, proprio per questo, perché mi sono reso conto che amavo libri ma che mi serviva conoscere anche un po’ i numeri – ma non esistono scorciatoie: devi capire chi è il tuo pubblico.
Nella mia attività di scrittore, naturalmente, faccio tutt’altro. Dimenticare che esiste un codice a barre. In questo senso si può dire che lavoro da editore con la mente di uno scrittore, e da scrittore dimenticando di essere editore.
In casa editrice uso questa formula: inventare il lettore, che se ricordo bene fu coniata da Giorgio Vasta, in relazione al catalogo contemporaneo saggiatoriano.
Generare cioè un immaginario editoriale e poetico che possa creare una comunità di lettori che, prima che quella modalità esistesse, non sapevano di essere tali: erano lettori, sì, ma non di quella casa editrice. Per questo, è come se fossero stati inventati, fatti emergere dal buio. Questo discorso sull’identità, naturalmente, è lunghissimo, e forse è anche fuori tema. Ma ho colto l’occasione.
5. Come lavora allo scouting? Quali modalità di “reclutamento” e selezione predilige? Quali canali utilizza?
Rispondo sinteticamente: tutti. Un editore deve guardare il mondo con voracità. Che un autore emerga da una cena, dal gelataio, su Tik Tok o da un Ted Talk, questo è il cuore del suo lavoro: avere sempre la mente presente. Si è editori, come si è scrittori, 24 ore al giorno.
6. Quale rapporto ideale (dissolvenza, rimozione, assunzione di eredità) gli editor odierni intrattengono con le figure editoriali ‘leggendarie’ del novecento (da Vittorini a Sereni)?
Mi sembrano molto citati Vittorini e Calvino, molto meno Sereni che mi pare invece un grande modello: da una parte scriveva Gli strumenti umani, dall’altra lavorava, all’avanguardia, alla nascita degli Oscar, agli Audiolibri, e alla collana il Tornasole, dove cercava di costruire un parco autori più moderno per la casa editrice. Uscirono Zanzotto, Pagliarani, Eco, Chiara e tanti altri, ma tutto finì: il commerciale sembrava non capire che per costruire un autore e una collana c’è bisogno di tempo: è un investimento, e come tale va misurato in diversi anni, non in un giorno.
7. Casi di studio: può fare uno o più esempi di testi esemplari con si è confrontato?
Dal 2014 abbiamo immaginato il catalogo come un unico grande testo. Direi allora che la risposta è proprio questa: il catalogo editoriale come immaginario.
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