
Scrivere: un antidoto al narcisismo
Ho avuto due maestri di pensiero e di stile saggistico (le due cose sono ovviamente collegate): Fortini e Timpanaro. Diversissimi, sia nel pensiero che nel modo di scrivere.
Fortini era un poeta. La sua scrittura procede per lampi e cesure improvvisi, per accostamenti imprevisti, per metafore e cortocircuiti. Non è facile. Una volta rimproverò Calvino perché quest’ultimo sarebbe stato, invece, troppo facile e consequenziale nella scrittura, e ciò avrebbe dimostrato una condiscendenza eccessiva verso il lettore, un modo per uniformarsi ai suoi punti di vista, quindi una sorta di conformismo. Ma su questo punto non era privo di contraddizioni. Una altra volta sostenne che bisognava imparare il modo di scrivere dai Vangeli, e ai suoi allievi consigliava un tipo di scrittura semplice e razionale. Non era favorevole a forme di scrittura creativa e poetica. Diffidava dei docenti che insegnavano agli studenti a scrivere poesie, e suggeriva piuttosto di leggere don Milani e di insegnare modelli diversi di scrittura e di relativa retorica (la lettera burocratica, commerciale, familiare ecc.).
Timpanaro era un filologo e un critico, e il suo modello di scrittura era Gramsci e, più indietro, De Sanctis. Diffidava del modo di scrivere di Fortini, lo trovava “misticheggiante”. Sosteneva la necessità di uno stile semplice, democratico, “per tutti”, capace di fare appello all’unico universale che unisce la umanità, la razionalità.
Questi due modi di scrittura critica si sono contrapposti per tutto il Novecento, con due maestri: Debenedetti, desanctisiano e democratico, e Contini, raffinato, “difficile” e aristocratico.
Io ammiro il modello Fortini (o Contini) ma sostengo la necessità del modello Timpanaro (o De Sanctis, Gramsci, Debenedetti, anche, ma con qualche riserva, Pasolini). Il primo possono praticarlo e intenderlo pochi, il secondo si mette al servizio di una idea di collettività e di razionalità comune e “diffusa”. È una scelta politica, in fondo. E va da sé che in un blog è preferibile, anzi quasi indispensabile, il secondo.
Il modello Fortini può incoraggiare il soggettivismo più esasperato, mentre quello che rimanda a Timpanaro può accompagnarsi a forme autobiografiche (per esempio, in Debenedetti). Il problema, a mio avviso, non sta tanto nell’uso o meno della prima persona singolare, quanto nel focus del pensiero: le forme autobiografiche possono essere utili per esprimere dei ragionamenti oggettivi come quelle invece impersonali. Ma il focus non va posto narcisisticamente sulla prospettiva dell’io, sulle sue predilezioni, ma sulle dinamiche della dimostrazione razionale. “De gustibus non est disputandum”. Perciò diffido, in un saggio, delle forme liricheggianti, dello stile frammentario che vorrebbe essere “intelligente”, delle affermazioni non dimostrate, dei pezzi di bravura a se stanti. Bisogna essere umili. Porsi al servizio di una intelligenza collettiva che comunque persiste, anche se inficiata dal consumismo e dal merceologismo oggi dominanti.
Non mi stancherò mai di ripetere (e non sono il solo, fortunatamente) che la peste di questi anni (dal postmodernismo a oggi) è il narcisismo.
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