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diretto da Romano Luperini

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Sospesi tra la norma sociale e Miyazaki. Su Tiziano Scarpa, La penultima magia

 “Se risalgo in superficie il rametto schizzerà via e incanterà di nuovo tutto quanto. Tutti gli abitanti se ne andranno e io perderò la mia piccola Agata”. Questo pensiero le diede slancio. Piegò il ramoscello con tutte le forze che le restavano, a poco a poco lo curvò a forma di anello. Le due estremità si respingevano come poli di calamite potentissime. Fata Renata strinse i denti. “Agata!” pensò, “Agata!”, come se stesse invocando un essere più forte di qualsiasi fata o mago o spirito del cielo e dell’abisso, perché quel pensiero era la sorgente delle sue energie. Il rametto dorato cedette, si fletté, le sue estremità si toccarono formando un piccolo cerchio.

In fondo al pozzo ci fu una specie di esplosione subacquea, attutita e compressa dal peso dell’acqua. Fata Renata si sentì morire (p. 51).

Magia o devianza?

L’ultima opera di Tiziano Scarpa si inserisce nella tradizione fiabesca italiana, già molto nota al grande pubblico grazie al monumentale lavoro di redazione affrontato da Calvino per Einaudi. Di Calvino e di Rodari Scarpa raccoglie l’eredità, restituendo linfa a una linea di ricerca di cui la casa editrice torinese si è fatta portavoce nel corso dei decenni. In quest’epoca di forte ibridazione del romanzo, la scelta dell’ambientazione fiabesca ha una forte valenza etica che si esplica gradualmente, con lo svolgersi della trama e con l’emergere dei suoi temi principali.

La vicenda è ambientata nell’epoca a noi contemporanea in una località di fantasia, Solinga, il cui nome evoca la solitudine, l’isolamento. Si tratta di una cittadina che appare come soggetta a un incantesimo, dove gli arredi urbani sono dotati di una vita propria e interagiscono con gli umani occupandosi direttamente dei compiti per cui sono stati creati. La scena si apre su due lampioni che dialogano mentre illuminano le strade di notte, finché non appare la protagonista, Fata Renata, che troviamo impegnata ad accogliere la sua nipotina Agata. La bambina le è stata affidata dall’orfanotrofio in cui si trovava dopo aver perso entrambi i genitori, cioè la figlia e il genero di Renata. Alla radice del legame fortissimo con la bambina c’è quindi in primo luogo un lutto, una perdita enorme che sembra venir elaborata attraverso l’acquisizione di poteri magici. Si tratta di una storia tutt’altro che leggera fin dalle premesse, nonostante il registro lieve trasporti il lettore in un’atmosfera fantastica. In realtà, il lutto di Fata Renata non viene mai spiegato, non si fa menzione di come la sua nipotina sia finita in un istituto per orfani. Dietro questa situazione iniziale è concesso immaginarsi qualsiasi disgrazia, visto che delle circostanze della morte di entrambi i genitori non vengono forniti dettagli: si tratta forse di un incidente automobilistico, o è lecito immaginarsi una violenza? Rimane il non detto che attraversa il racconto e rende la vicenda molto più cupa di quanto lo stile vivace di Scarpa non lasci trasparire.

La condizione per cui Fata Renata può tenere con sé la bambina è che rinunci alla magia e che liberi l’intera cittadina dall’incantesimo con cui l’aveva stregata: i servizi sociali le richiedono di vivere una vita strutturata, per garantire alla bambina una quotidianità normale, che le permetta di integrarsi correttamente nella società e divenire un’adulta sana. Troviamo qui la rappresentazione della vita come concepita dai dispositivi dello Stato, e costituita dal reddito adeguato, dalla qualità dell’abitazione e dell’educazione che si impartisce ai figli, elementi prosaici di grigiore quotidiano che non prevedono alcuna deviazione dalla norma. Fata Renata è quindi il soggetto deviante la cui natura non può che essere sovversiva, un individuo a cui non verrebbe mai nella nostra realtà affidato un bambino da educare. Già nella scelta dello scenario e della tematica principale si avverte la critica che Tiziano Scarpa opera nei confronti di un sistema avverso alla devianza, e in cui nella relazione educativa non è previsto alcun elemento che fuoriesca dal reticolo di indicazioni autoritarie in cui si inserisce l’educazione del bambino. Nel suo racconto, Scarpa fa quindi sprofondare il rapporto fra nonna e nipote nella mediocrità, spogliandolo di qualsiasi potenziale magico, creativo. Renata diventa una nonna normale, che percepisce una pensione, fa quadrare i conti, apprende da zero come si gestisce una casa, non ricordando più come si usano gli oggetti che prima della sua rinuncia alla magia agivano autonomamente. Impara a cucinare un pasto, ad accudire la bambina, a fare la spesa, sempre preoccupata che i servizi sociali le portino via l’adorata nipote.

La magia come fuga

Ritroviamo nella rappresentazione di questa drammatica quotidianità della nonna un elemento molto comune fra chi riceve bambini in affido o in adozione, cioè la necessità di dimostrare sempre alle autorità di essere in grado di provvedere, di educare, uno sforzo che ai genitori biologici non viene richiesto. Vi è nel continuo essere messi sotto esame di chi adotta una sproporzione rispetto alla genitorialità biologica, della quale di solito non si occupa nessuno, a volte neppure davanti a palesi elementi di sofferenza e disagio del bambino, anche quando essi vengono segnalati ai servizi sociali. Dietro la magia di Renata traspare l’elemento della dissociazione causata dal lutto, per cui la donna rifiuta la realtà rifugiandosi in un mondo in cui non è costretta a prendersi cura delle cose, perché sono le cose a prendersi cura di lei. Ciò che le viene richiesto dai servizi sociali è quindi uno sforzo estremo, quello di tornare in sé stessa, di recuperare il proprio rapporto con la realtà, che una volta ripristinato cala le due protagoniste in una ripetizione di gesti ordinari, in un ambiente modesto di una qualsiasi cittadina della provincia italiana.

La vicenda si infittisce quando Renata scopre che anche Agata ha degli strani poteri, e in particolare evoca il nome di una donna, forse una bambina. Renata fa delle ricerche, anche presso l’ufficio anagrafe, per capire se esistesse un sorellina di Agata la cui identità le fosse rimasta ignota, ma questo personaggio femminile, Barbara, rimane un mistero. Così le due protagoniste, come in una sceneggiatura di Hayao Miyazaki, si avventurano in un viaggio in autobus che le porta in uno strano capolinea, dove apparentemente si trova un campo nomadi.  In realtà questa è la base dei Riparatori. Ecco che emerge il tema fondamentale del racconto di Scarpa: l’ambientalismo radicale che affascinerà Agata e darà una direzione alla sua vita.

Magia, follia, ambientalismo

L’atmosfera creata da Scarpa ricorda molto quella delle produzioni dello Studio Ghibli, il leggendario studio giapponese di film di animazione, le cui vicende si collocano al limite fra il fantastico e la realtà storica, e sono dotate di uno sfondo ambientalista e antimilitarista. Grazie a un vaticinio avvenuto al campo dei Riparatori, nonna e nipote si avventurano in un rischioso viaggio in sidecar alla ricerca della sorellina di Agata. Raggiungono il monte Macigno, inseguite dagli elicotteri delle autorità di Solinga. Ma in cima al monte scopriranno una base di ambientalisti militanti sotto le spoglie di un pastore e di una ragazza selvatica e di altre creature fra cui una sirena, la più miyazakiana fra le invenzioni di Scarpa.

Catturate dalle autorità, a Renata verrà sottratta la bambina. Tuttavia, attraverso lo stesso pozzo nel cortile in cui Renata aveva depositato la bacchetta magica di cui aveva dovuto liberarsi per ottenere la custodia della nipotina, emergerà la stessa sirena del monte Macigno, che spargendo la sua nebbia farà tornare la magia a Solinga. Renata potrà così tenere Agata, che come apprendiamo dall’epilogo si unirà al gruppo di ambientalisti militanti.

Tramite il recupero della dimensione fiabesca Scarpa crea un mondo in cui vengono trattate diverse tematiche importanti nel percorso educativo: questa qualità rende la sua opera un testo di narrativa ideale per le classi medie e per il biennio. Pienamente inserito nell’immaginario contemporaneo, affronta la tematica dell’ambientalismo radicale fondendo l’interesse per un argomento che è divenuto centrale nella scuola e nella società nel corso dell’ultimo anno al tema più classico e intramontabile della follia. Dietro la magia della protagonista si nasconde un meccanismo per far fronte al dolore della perdita e al grigiore della burocrazia, che impedisce alle persone di vivere pienamente il proprio desiderio.

La fuga liberatoria delle due protagoniste verso il luogo oscuro e innominabile assume quindi i tratti di una avventura fantastica, e attraverso l’incontro con creature selvatiche e magiche si ripristina il necessario equilibrio con il mondo al di fuori delle regole. Un testo, quindi, che può ispirare riflessioni profonde nell’ambito della classe, in un’epoca come la nostra in cui si riconosce ormai apertamente che il mondo è funestato e irrimediabilmente danneggiato da un sistema produttivo di cui l’essere umano non è che un ingranaggio.

Letto al di fuori della classe, La penultima magia di Tiziano Scarpa è un’opera dotata di grande sapienza stilistica: la dote che più distacca l’autore veneziano dalla produzione letteraria italiana contemporanea è la sua capacità di produrre immagini durature, nella prosa quanto nella sua produzione poetica.

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