Rileggere Stanisław Lem 2. Il poliziotto e lo scienziato: L’indagine
Il lettore forse ricorderà che in questo blog alcuni mesi fa è stato pubblicato un mio intervento sullo scrittore polacco Stanisław Lem (Leopoli 1921 – Cracovia 2006) e sul suo romanzo più famoso, Solaris. In quel primo contributo abbiamo cercato di far emergere come l’opera di Lem si colloca in una fase storica, gli anni Cinquanta e Sessanta, di grande fiducia nel progresso scientifico e nella possibilità dell’umanità di dominare e comprendere la realtà per mezzo della scienza. Il genere fantascientifico, sia nella letteratura sia nel cinema, ha dato voce a questo afflato e a questa fiducia, costituendo uno dei principali orizzonti simbolici in cui la civiltà contemporanea si esprimeva. Come ho cercato di mostrare, Lem, nella sua produzione, inserendosi nel panorama richiamato, ha dato anche voce alle angosce e ai limiti interni alla civiltà della scienza. Qui ci occupiamo del romanzo Sledztwo (1959), che precede di due anni Solaris, ma che affronta tematiche del tutto analoghe e complementari. Il presente contributo, quindi, deve essere considerato come un ulteriore tassello del ragionamento iniziato.
Il romanzo giunge in Italia, in una traduzione dall’inglese, negli anni Ottanta con il titolo originale, L’indagine, venendo pubblicato prima da Rusconi (1984), poi da Mondadori nella collana Classici Urania (1989). Bollati Boringhieri edita di nuovo il libro nel 2007, intitolandolo L’indagine del tenente Gregory. Al di là dell’aver impropriamente alterato il titolo (l’indagine non è soltanto del tenente Gregory, come si vedrà), la casa editrice torinese ha il merito di aver pubblicato una nuova traduzione del testo direttamente dal polacco. È quindi quest’ultima edizione che qui si prende a riferimento. Il romanzo, tuttavia, non è stato ristampato e oggi in Italia è rinvenibile soltanto sul mercato dell’usato.
Un libro di fantascienza, si dirà. E invece no: L’indagine ha l’aspetto di un poliziesco. Solo l’aspetto, però. Il tenente Gregory di Scotland Yard riceve l’incarico di indagare sulla scomparsa di alcuni cadaveri dagli obitori della provincia inglese. Il capo della polizia Sheppard chiede a un esperto di statistica, il dottor Sciss, di collaborare all’indagine. Presto si crea una sorta di rivalità tra Gregory, che cerca di trovare qualcuno che abbia trafugato i cadaveri, e Sciss, che interpreta gli eventi come puro fenomeno ed elabora un modello statistico che permetta di prevederne il decorso fino al suo esaurirsi, accettando da subito la possibilità che i morti si siano spostati autonomamente; lo studioso, inoltre, scopre che nell’area in cui gli eventi si sono verificati, il tasso di mortalità per cancro è inferiore alla media e ipotizza un legame tra i due fenomeni. È proprio a partire dal confronto tra questi due personaggi che emergono le tematiche di fondo del romanzo, che riguardano, come in Solaris, la possibilità da parte dell’essere umano di comprendere la realtà. Sciss e Gregory rappresentano in un certo senso due paradigmi epistemologici; due diversi modi di concepire l’indagine sulla realtà.
«Io? Io cerco un colpevole». Così il tenente Gregory esprime il proprio punto di vista sul caso (p. 130). Gregory non vuole derogare al principio per cui deve essere ritrovata una causa che spieghi un fenomeno; inoltre questa causa deve essere ricondotta nell’alveo delle conoscenze umane, che non prevedono che i morti si spostino da soli. Ammettere che i morti possano muoversi significa prendere atto che i capisaldi della conoscenza umana sono errati. Mettere in discussione un principio così basilare significa di fatto ammettere che tutto può accadere, ossia in fondo che la realtà è inconoscibile. Lo scopo dell’indagine è trovare quindi un colpevole, cioè un uomo in carne e ossa che ha spostato i corpi; altra possibilità non è data. Questa prospettiva, tuttavia, non porta l’investigatore a illuminare la realtà, come invece ci si aspetterebbe, ma lo conduce fuori strada, lo spinge nelle tenebre. Egli, mantenendo questo punto di vista, non risulta in grado di interpretare ciò che vede: le impronte sulla neve intorno al cimitero di Pickering (capitolo 3) mostrano chiaramente come il cadavere abbia strisciato a terra senza che nessuno lo trascinasse, ma Gregory si ostina a non voler vedere ed elabora ipotesi inverosimili. Quasi in un delirio, poi, il tenente inizia a sospettare di tutti: di Sciss, di Sheppard stesso. Varrà la pena rammentare brevemente come nel racconto giallo classico le cose stiano esattamente al rovescio: la storia procede sempre in modo da dimostrare che l’assurdo non è possibile e che la soluzione si trova solo se non si deroga a questo principio. Si prenda ad esempio il capostipite dei romanzi polizieschi in cui apparentemente entra in gioco il soprannaturale: Il mastino dei Baskerville di Arthur Conan Doyle (1902). Il romanzo si chiude con la scoperta di un colpevole e con la dimostrazione che non c’è nessuna maledizione e nessun mostro.
Il personaggio di Sciss rappresenta, in primo luogo, la scienza separata dalla vita: egli non ha alcuna esitazione ad ammettere che i morti camminino e in questo senso risulta essere il più lucido di tutti; non è però interessato a confrontarsi con il problema di come questa novità faccia crollare tutte le certezze umane. Sciss è infastidito dal modo di pensare di Gregory, che considera un troglodita, e tratta il senso comune, la coscienza dell’essere umano medio, dall’alto del suo intellettualismo. È una tipologia di personaggio che ritroviamo spesso nei romanzi di Lem: come Sartorius di Solaris o Thurber in Ritorno dall’universo, Sciss è uno scienziato tutto chiuso in se stesso, sterile e disumano, lontano dalla vita e incapace finanche di percepirla. Lontano anche da se stesso e (proprio come Sartorius e Thurber) misero sul piano umano. Il quadro che Gregory si fa di Sciss come uomo è desolante: un vecchio che vive con la sorella, cerca di adescare un’adolescente, conserva in casa fotografie a sfondo sadico; un disperato, insomma.
Ma il punto sta nella specialità di Sciss: egli è uno statistico. Nell’incontro finale tra Gregory e Sheppard (capitolo 7) emerge la visione che Lem ha della statistica come scienza della pura descrizione: Gregory, in un momento di sincerità, si dichiara sconfitto e ammette di essersi reso conto che il mondo non può essere compreso, che l’essere umano non è in grado di individuare i nessi causali che presiedono agli eventi; davanti a noi si delinea soltanto una serie di fatti il cui legame ci resta sconosciuto. La visione del mondo che l’essere umano ha elaborato, e sulla base della quale crede di dominare la realtà, è una semplificazione, che non tiene conto della complessità reale. Di fronte a questa visione non resta che il fenomeno in sé, il puro e semplice fenomeno inconoscibile, che non può essere compreso ma solo descritto. La statistica, nella visione che Lem ne dà nel romanzo, svolge questa funzione: se nulla può essere previsto, se, date certe premesse, non siamo in grado di dire con certezza quali conseguenze otterremo, allora non potremo fare altro che calcolare la probabilità con la quale un fenomeno avviene. Ecco l’amara riflessione di Gregory:
Se il mondo non fosse un rompicapo da risolvere, ma solo un calderone in cui nuotano alla rinfusa pezzi sparsi che, di tanto in tanto, per puro caso, si aggregano in un insieme? Se tutto ciò che esiste è frammentario, incompleto e abortito, gli eventi possono anche essere la fine di qualcosa senza il suo inizio, o la sua parte centrale, o solo il suo principio, o solo la sua fine… mentre noi continuiamo a suddividerli, selezionarli e ricostruirli finché ci pare di aver messo insieme un amore completo, un tradimento completo o una sconfitta completa… mentre in realtà siamo solo frammenti casuali. […] Di vero non c’è che la statistica. L’uomo razionale è l’uomo statistico. Prendiamo un bambino: sarà bello o brutto? Gli piacerà la musica? Si ammalerà di cancro? Tutto viene deciso da un lancio di dadi. […] La statistica non esclude nulla, la statistica rende tutto possibile, tutt’al più si tratterà di cose più o meno probabili. (pp. 166-167)
Questo, in ultima istanza, il tema del romanzo, basato, di fondo, sullo scontro tra Gregory e Sciss, anzi sull’accanimento di Gregory contro Sciss. Gregory si accanisce sullo statistico perché sente che il punto di vista di Sciss è completamente antitetico al suo: egli cerca un colpevole, Sciss afferma che non è suo compito, cioè non è compito della statistica, spiegare un fenomeno; altri tenteranno di spiegarlo, lui si limita a verificarne le probabilità e a metterlo in relazione con altri fenomeni. Così si esprime lo statistico:
È evidente che c’è ancora un sacco di lavoro per i biochimici, i fisiologi e i biologi, ma non per la polizia. Il che non esclude che le indagini si protrarranno senza dare alcun risultato per altri cinquant’anni, esattamente come accade per le ricerche sul cancro. Gli unici risultati sicuri possono provenire solo dal mio campo, la statistica. Esattamente come per il cancro. Salteranno fuori le ipotesi più contrastanti, alcune delle quali particolarmente ghiotte per il pubblico e capaci di far salire alle stelle le tirature dei giornali. Si attribuirà il fenomeno ai dischi volanti, agli astri o a chissà quali altre diavolerie. Tutte cose che non mi riguardano. (pp. 101-102)
La statistica ci viene presentata ne L’indagine come una prospettiva aperta a qualsiasi manifestazione, anche la più assurda (come quella di un dio che esiste in modo intermittente, immaginata da Sheppard a p. 167), proprio in quanto scienza priva di una determinata visione del mondo. In questo senso, però, la statistica, il pensiero debole, che esclude i grandi modelli, risulta vincente, più adeguata alla realtà, proprio perché fondamentalmente aliena da paradigmi interpretativi. L’autore è contento di questo? Sembrerebbe proprio di no. Il romanzo non si chiude comunicando al lettore l’idea che Gregory sia uno sciocco e Sciss sia migliore di lui. Anzi l’autore di fatto ci suggerisce che la realtà, la natura, è qualcosa di talmente diverso dall’essere umano, talmente lontana da ciò che le persone provano e desiderano, che se ne può avere una visione lucida soltanto rinunciando alla propria umanità, come in fondo ha fatto Sciss. L’autore sembra dirci che l’autentica oggettività è disumana.
Nell’ultimo capitolo del romanzo il tenente Gregory e il capo della polizia Sheppard hanno l’opportunità di ascoltare la voce di una persona comune, il poliziotto Williams, che faceva la ronda al cimitero di Pickering e che ha assistito direttamente al fenomeno. A questo punto i due dovranno fare una scelta. Gli esseri umani sono in grado di sostenere questa verità (gli esseri umani veri, non gli scienziati come Sciss)? Come reagiranno di fronte all’idea che i cadaveri si muovono? Che non c’è nulla di certo? Ma qui mi fermo, lasciando al lettore, che ha avuto la pazienza di seguirmi fin qui e che soprattutto avrà la pazienza di procurarsi il libro (cosa in Italia non facile), il gusto di scoprire il finale.
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