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Chiedi chi erano i Beatles: divagazione su scuola e memoria

 Domenica mattina, durante un’intervista a SkyTg24, il presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli ha sviluppato un ragionamento così riassumibile: nell’apprendimento la motivazione è essenziale, solo ciò che interessa lo studente è motivante, i contenuti non interessanti e non motivanti possono essere sostituiti da altri, l’obiettivo infatti è sviluppare una competenza, non l’apprendimento di quel contenuto; perciò, se l’obiettivo è, poniamo, sviluppare la comprensione del testo, un Dante da sbadiglio potrà essere sostituito da una canzone dei Beatles. Non si può dire che si tratti di un ragionamento che abbia in sé la forza dirompente della novità. Siamo allo standard riformistico medio, ripetuto anche un po’ macchinalmente e schematicamente: competenza, cultura pop, motivazione, apprendimento centrato sullo studente, tra i buoni; conoscenze, cultura letteraria, noia, apprendimento centrato sui contenuti, tra i cattivi. E allora perché mai ripetere qui questo ragionamento? Il fatto è che per me le parole di Giannelli sono state addirittura rievocative: mai sottovalutare la Potenza Proustiana della Parola del Presidente di ANP.

Monumenta aere perennia?

Il 6 maggio 2012 sulla Domenica del Sole24ore lessi un articolo di Carlo Ossola (ora leggibile qui), ordinario di letteratura prima a Torino poi al Collège de France. Lo ricordo molto bene, compreso il giorno in cui fu pubblicato, perché intorno a quell’articolo scrissi un appunto personale datato. Ossola affermava, con la sicurezza antimaterialistica garantitagli dal suo platonismo cristiano, che «la letteratura non è spiegata dalla storia, al contrario la raccoglie, la rappresenta, la restituisce all’universo». La storia umana, da sola e di per sé, è solo «un grande fiume di oblio»: «a che varrebbe conservare gli scontrini di acquisto dei tanti calzini usati, i biglietti dei tram, i ritagli della cronaca, già dimenticati la settimana dopo?». Ma la rasura dalle pagine del tempo riguarda artefatti ben più maestosi delle dimenticabili tracce della nostra cronaca quotidiana: «che rimane dei singoli segni del progresso: dove la prima ruota, il primo carattere di piombo che con l’invenzione della stampa fece avanzare conoscenza e uguaglianza, ove la prima spoletta meccanica per i moderni telai, la prima mongolfiera?». A preservare la memoria e a garantire la perpetuità del Senso, per Ossola, c’è la letteratura:

Nulla ci rimane di quei mitici oggetti: ma qui, eccola vivace e autentica, l’ode Al signor di Montgolfier, il «volator naviglio» di Vincenzo Monti. E come parlerete ai vostri figli degli idoli musicali delle vostre serate in discoteca, se in vent’anni sono spariti prima i dischi, poi le cassette, e tra poco i cd? Fortunata quella generazione che avrà letto Vittorio Sereni e – quando nulla tornerà più di quelle musiche – potrà ancora leggere Giovanna e i Beatles: «Nel mutismo domestico nella quiete / pensandosi inascoltata e sola / ridà fiato a quei redivivi. / Lungo una striscia di polvere lasciando / dietro sé schegge di suono / tra pareti stupefatte se ne vanno / in uno sfrigolio / i beneamati Scarafaggi».

 

Il mio appunto di allora vibrava di un certo stupore, per non dire fastidio, per l’effetto involontario di ridicolo prodotto dell’evocare quale esempio di monumentum aere perennius Vincenzo Monti, poeta ormai scivolato tra le conoscenze di pochi eruditi di letteratura e ignoto al rimanente dei nostri concittadini – e sia chiaro che non me ne compiaccio: poeta evanescente lui stesso al Senso, altro che capace di perpetuare il ricordo di Montgolfier. Ossola non aveva dubbi: la scuola non può venir meno al compito di tramandare la memoria dei libri e della letteratura, perché questa, a sua volta, è l’unica forma di memoria non labile delle «opere e i giorni» degli uomini.

Il critico citava la poesia di Sereni, la cui protagonista è la figlia Giovanna che riascolta un disco dei Beatles (i «beneamati Scarafaggi»). I greci si domandavano: chi è superiore, Achille che compie gesta eroiche o Omero, che ne eterna con la parola le gesta? Per Ossola non c’erano dubbi: il nostro presente di canzonette – fossero almeno gesta eroiche – svanisce in una striscia di polvere, in schegge di suono, in uno sfrigolio. Resterà solo Sereni, se sapremo conservarlo.

Confesso che non ero molto convinto, né lo sono ora, dell’interpretazione di Ossola. Così infatti continua la poesia di Sereni:

Passato col loro il suo momento già?

 

Più volte agli incroci agli scambi della vita

risalito dal niente sotto specie di musica

a sorpresa rispunta un diavolo sottile

un infiltrato portatore di brividi

– e riavvampa di verde una collina

si movimenta un mare –

seduttore immancabile sin quando

non lo sopraffanno e noi con lui altre musiche.

Non mi pare che il destino di cancellazione o annientamento riguardi solo la musica di quei redivivi: la memoria che assale come musica o la musica che assale come memoria rispuntano a sorpresa, ma dal niente, per poi tornarci, sopraffatte, noi con loro, da altre musiche. Quante poesie di Sereni sono ossessionate dalle «toppe d’inesistenza»: che, certamente, tornano a visitarci e parlarci, ma che non sono affatto un sicuro e perpetuo possesso. Sereni non mi pare qui un campione della continuità della memoria, bensì delle sue intermittenze e del suo fragilissimo essere quasi nulla. Forzandolo un po’ agli scopi del mio ragionamento: penso che egli fosse consapevole di poter essere cancellato dalla storia né più né meno dei Beatles.

Ossola sbaglia, mi accanivo a scrivere nel mio appunto: dà per scontata una continuità umanistica che non è affatto certa, considera tritume la cultura di massa, non ammette che, se anche i Beatles saranno inghiottiti dall’oblio, Sereni e tutta la poesia che l’ha preceduto non siano meno a rischio, finge di non vedere che ad avere più chance presso i posteri siano piuttosto i quattro di Liverpool che non il solitario di Luino.

Mode e polvere

Sereni, i Beatles e la memoria. Sarà un caso che proprio dell’evanescenza della memoria storica parli anche Chiedi chi erano i Beatles degli Stadio?

Se vuoi toccare sulla fronte il tempo che passa volando

in un marzo di polvere di fuoco

e come il nonno di oggi sia stato il ragazzo di ieri

 

Se vuoi ascoltare non solo per gioco il passo di mille pensieri

chiedi chi erano i Beatles, chiedi chi erano i Beatles…

[…]

Chiedilo ad una ragazza di 15 anni di età

Chiedi chi erano i Beatles e lei ti risponderà…

la ragazzina bellina col suo naso garbato, gli occhiali e con la vocina

ma chi erano mai questi Beatles? Lei ti risponderà

Gli Stadio danno ragione a Ossola. Una ragazzina di 15 anni nel 1984 (l’anno della canzone), già ignorava chi fossero i Beatles: era passata a malapena una generazione e gli scarafaggi erano già stati ridotti in polvere. Altri idoli, non meno perituri, li avevano sostituiti: presumibilmente Simon Le Bon e i Duran Duran, al massimo gli Spandau Ballet. (Per pura precauzione, non mi attenterei a chiedere a quella ragazzina chi fosse Sereni…).

I Beatles, la cultura giovanile, le competenze. Giannelli ha scelto male il proprio esempio. Intendeva invitare la scuola ad aggiornarsi, ma ha citato una band della sua giovinezza, o la prima cosa pop che gli sia venuta in mente. Solo che anche quella pulvis est. Anzi è semmai vero che la cultura pop invecchia assai più velocemente di quella “alta”. Per cui se vogliamo motivare i nostri studenti, occorrerà pensare a corsi di aggiornamento sulla loro cultura a cadenza almeno bimestrale, per tenere il passo accelerato dei tempi. Ma la verità è che i Beatles erano un nome come un altro: il contenuto, si ricorderà, è solo un strumento. Pigliate pure il testo che volete, ci dirà probabilmente Giannelli: c’è perfetta equivalenza, intercambiabilità, sovrana indifferenza.

L’indifferenza ai contenuti, ai valori collettivi che veicolano, alle tradizioni culturali, alla loro funzione sociale, al sapere inteso come tessuto organico di significati dispiegato nel tempo, è l’unico esito immaginabile dell’idea di scuola del presidente di ANP. E di molti altri.

Il problema non è alto o basso, ma vuoto o pieno

Per Ossola e la cultura (vera) di cui egli è incarnazione, il precipitare dei tempi nell’oblio ci impone di trovare antidoti per preservare una qualche forma di eternità. Per Giannelli e la cultura (del vuoto pneumatico) di cui egli è incarnazione, il precipitare dei tempi nell’oblio è un tema che nemmeno si arriva a concettualizzare. Lo studente sviluppa competenze di comprensione del testo in un presente eterno ma solo nel senso di astratto, vuoto, un simulacro di tempo reale, in cui non resta che il funzionalismo spiccio. Ma paradossalmente considerare i testi semplici mezzi per lo sviluppo di una competenza, e così schematicamente intesa, rende quei testi fini a se stessi, come se leggessimo un testo per leggere un testo. Quale senso esprime, invece? Perché questo senso e non quello? Perché quindi questo testo e non quell’altro? La protagonista adolescente della canzone degli Stadio cerca un senso concreto, storicamente situato:

I Beatles non li conosco, neanche il mondo conosco,

sì, sì conosco Hiroshima, ma del resto ne so molto poco.

Ha detto mio padre l’Europa bruciava nel fuoco,

dobbiamo ancora imparare, noi siamo nati ieri, siamo nati ieri

 

Dopo le ferie d’agosto non mi ricordo più il mare,

non mi ricordo la musica e fatico a spiegarmi le cose.

Per restare tranquilla

scatto a mia nonna le ultime pose,

ma chi erano mai questi Beatles, chi erano mai questi Beatles?

 

Voi che li avete girati nei giradischi e gridati

voi che li avete aspettati e ascoltati, bruciati e poi scordati,

voi dovete insegnarci con tutte le cose non solo a parole

chi erano mai questi Beatles, ma chi erano mai questi Beatles?

Sapere molto poco del mondo, essere nati ieri, sentire qualcuno, un padre, che parla del passato; realizzare la labilità della propria stessa memoria, aver già scordato le esperienze dell’estate, così intense allora da sembrare probabilmente indimenticabili (l’oblio della storia è anche l’oblio di noi stessi, e viceversa). Questa ragazzina di 15 anni vuole conoscere il passato e perché lo si dimentichi così facilmente: il suo, quello del padre, quello della nonna, da fissare in una foto prima che scompaia, e lo vuole sapere da chi l’ha consumato prima di lei, da noi che l’abbiamo preceduta.

La tradizione non è altro che questo e lo studio non serve ad altro che a rinnovare la domanda su chi fossero i Beatles di generazione in generazione. Vale la pena continuare a chiederselo, come vale la pena continuare a chiedersi chi fossero Dante e Sereni.

Senza quel disco dei Beatles rimesso sul piatto dalla figlia, Sereni non avrebbe scritto la sua poesia. “Alto” e “basso” si sono chiamati l’un l’altro in ciò che hanno di comune: l’essere memoria contro l’oblio, nonostante chi li contrappone in un senso o nell’altro. Anche perché, lo dico per i posteri e per chi l’ha dimenticato, il testo di una hit pop come Chiedi chi erano i Beatles è – guarda un po’ – di un altro poeta, Roberto Roversi.

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