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Ritratto di Alessandro Manzoni by Francesco Hayez

Manzoni e i Millennials. Una modesta proposta per attirare la Generazione Y alla lettura di un bigotto milanese morto quasi 150 anni fa

 Ha ancora senso nell’era del digitale proporre a scuola e nelle università la lettura, indubbiamente estenuante e faticosa, di un testo come I promessi sposi? Certamente non per Matteo Renzi che nel recente Marzo 2015, ultimo di una lunga serie di speculatori sull’argomento, si affrettava a dichiarare sulle maggiori testate nazionali di volerlo «abolire per legge»[1].  Non ci si addentrerà qui sulle reali conoscenze in campo manzoniano dell’ex premier né sulla sua apparente buona fede nell’affermare con vigore che, eliminato dai programmi scolastici, il romanzo manzoniano avrebbe “riacquisito fascino” (sic!); sorvoleremo anche sul polverone sollevato da coloro (pochi, a dir la verità) che tali dichiarazioni le presero sul serio. Vale però la pena chiedersi se davvero risulti ancora necessario immettere nel bagaglio culturale  della cosiddetta “Generazione Y”[2] un testo così datato e inviso alla maggior parte degli studenti delle ultime cinque generazioni di italiani o se il vero problema non risieda invece nel metodo utilizzato per presentare il romanzo agli studenti. Chi scrive ha tentato lo scorso semestre, con le matricole di un corso di laurea triennale, un approccio certamente sui generis, ma che pare aver dato i suoi frutti.

Prima di esporre il “come”, però, si ritiene inevitabile indagare sui “perché”: non che un autore di siffatta grandezza necessiti di apologia alcuna, né tantomeno una tale apologia sarebbe da affidare alle cure di chi scrive, esistono per fortuna a tale scopo ben altre penne,  ma «intorno a questo personaggio bisogna assolutamente che noi spendiamo quattro parole: chi non si curasse di sentirle, e avesse però voglia d’andare avanti nella storia, salti addirittura al capitolo seguente»[3].

Perché leggere ancora I promessi sposi.

Perché fa ancora discutere. Indubbiamente la motivazione più valida appare anche la più ovvia: se a distanza di quasi centocinquant’anni dalla morte dell’autore si discute ancora sulla validità scolastica del testo costatogli vent’anni di elaborazione, è evidente che risulta necessario, per non dire obbligatorio, conoscere a fondo ciò che si va a contestare, o a difendere, all’interno dei programmi ministeriali per l’insegnamento della letteratura italiana. Ai Promessi sposi, infatti, «è toccata una sorte, non nova nel suo genere, ma sempre curiosa e notabile; quella, cioè, d’esser citato da molti, e non letto quasi da nessuno, […] quantunque importante, non solo per l’altissima fama del suo autore, ma perché fu ed è citato come quello che sciolga un’imbarazzata e imbarazzante questione, stabilendo e dimostrando quale sia la lingua italiana»[4]. È lo stesso Manzoni, quindi, che, pur ragionando qui su Dante Alighieri, ci introduce immediatamente alla seconda motivazione.

Perché insegna l’italiano. La “Questione della lingua” che tanto appassionò l’autore, al punto da accettare l’incarico di Presidente della Commissione Parlamentare sulla Lingua indetta dal ministro Broglio nel 1862 è più che mai attuale in un Paese come l’Italia, in cui l’analfabetismo funzionale tocca livelli molto al di sopra della soglia di guardia[5]. Riuscire a sviscerare e comprendere un testo scritto in una lingua pressoché perfetta, e dunque incomprensibile per la maggior parte della popolazione, è la base per poter successivamente riuscire a leggere, comprendere e metabolizzare anche un semplice articolo di giornale e riuscire a distinguere una notizia reale da una delle migliaia di fake news che quotidianamente invadono il web. Solo in questo modo si potrà ottenere una generazione di pensatori autonomi, capaci non solo di comprendere ciò che leggono ma anche di confrontare dati e punti di vista in modo da rielaborare idee personali e motivate anche su questioni inerenti agli attuali problemi del Paese, senza lasciarsi distrarre o accattivare da titolazioni sensazionali o informazioni palesemente manipolate. Perché, oggi come allora, ce n’è ancora di “cervelli balzani” che «quando vogliono imbrogliare un povero figliuolo, che non abbia studiato […] buttan dentro nel discorso qualche parola in latino, per fargli perdere il filo, per confondergli la testa»[6].

Perché è attuale. Su questo punto, probabilmente, non varrebbe neanche la pena spendere più di qualche rigo. Il lettore avrà già notato da se come in ogni ambito sopra descritto si possa inserire, integralmente o quasi, una citazione dal Nostro senza risultare inattuali o inappropriati. Se ciò non bastasse, si pensi solo a quante espressioni manzoniane sono passate in proverbio o nel lessico quotidiano della lingua italiana e vengono ad oggi ancora utilizzate: da “Azzeccagarbugli” a “Carneade/i” a “Perpetua” (diventato addirittura un nome comune) e al suo “parere” divenuto proverbiale o ancora al “latinorum“, solo per citarne qualche esempio. Questo perché, nella stesura del romanzo «un grande studio, una grand’arte, di gran parole, metteva quel signore […]; ma produceva poi anche effetti corrispondenti»[7].

Perché è bello. I promessi sposi, quand’anche fosse un testo totalmente inutile dal punto di vista sociale, linguistico e culturale (e abbiamo avuto modo di scoprire che così non è, qualora la cosa non fosse già ovvia), è un testo bello sotto diversi punti di vista. È bello al punto che Emilio Isgrò ne ha fatto un’opera d’arte[8], al punto che i più grandi fumettisti del Novecento, da Alan Ford a Paolo Piffarerio, passando per Walt Disney e Bernasconi, hanno avvertito la necessità di disegnarlo e personalizzarlo; è bello perché la semplice lettura, svincolata da canoni scolastici, analisi testuali, e studi specializzati e affidata ad un professionista della recitazione è godibile anche solo come espressione di art pour l’art. La narrazione de I promessi sposi è una storia che, insomma, «in quanto storia, può essere che al lettore ne paia altrimenti, ma a me era parsa bella, come dico; molto bella»[9].    

Perché senza conoscere il modello manzoniano non è possibile comprendere veramente la letteratura del Novecento. Che dalla stesura della Ventisettana in poi, ogni scrittore abbia dovuto confrontarsi col modello manzoniano è un dato di fatto;  che in molti lo abbiano stimato, apprezzato e spesse volte citato all’interno di opere di grande valore letterario è storia nota. Le riprese manzoniane nei grandi autori dell’ Otto-Novecento italiano non sfuggono spesso neanche ai lettori meno accorti. Verga, Pirandello, Sciascia, De Roberto, Vassalli, Bufalino, Calvino, Camilleri… : l’ elenco di scrittori contemporanei che ricalcano stralci dei Promessi Sposi è pressoché interminabile e giunge ad inglobare anche autori che appaiono lontanissimi dal panorama manzoniano come Elsa Morante o Giancarlo De Cataldo. Risulta dunque imprescindibile un’approfondita lettura del modello se si vuole comprendere realmente il pensiero degli autori contemporanei. Il più delle volte la citazione è volontaria, ma accade non di rado, per dirla con Primo Levi, che «la spinta alla citazione è così forte che alcuni scrittori citano inconsciamente, allo stesso modo come camminano i sonnambuli»[10]. Non sempre, inoltre, è facile discernere una citazione volontaria da una inconsciamente introdottasi nel pensiero di un autore contemporaneo, allo stesso modo in cui: «chi, vedendo in un campo mal coltivato, un’erbaccia, per esempio un bel lapazio, volesse proprio sapere se sia venuto da un seme maturato nel campo stesso, o portatovi dal vento, o lasciatovi cader da un uccello, per quanto ci pensasse, non ne verrebbe mai a una conclusione»[11]. Certamente, però, è impossibile identificare le sfumature più lievi e sottili di tali riprese senza conoscere a dovere il modello di riferimento.

Una modesta proposta per attirare la Generazione Y alla lettura di un bigotto milanese morto quasi 150 anni fa.

Partendo dai punti sopra elencati, come si accennava in precedenza, chi scrive ha voluto tentare un esperimento sui generis con delle matricole durante un corso triennale di Letteratura Italiana Contemporanea inserendo brani musicali moderni e contemporanei, che seguissero idealmente il ritmo della narrazione in sottofondo alla lettura di alcuni passaggi del testo. Ovviamente la scelta dei brani è stata del tutto arbitraria e soggettiva, essa è nata dalle suggestioni personali che determinati passaggi manzoniani evocavano abbinati ai singoli brani selezionati.

L’ esperimento, d’altronde, non è poi neanche così innovativo se si pensa che già Goethe associava la musicalità del Cinque Maggio alla III Sinfonia di Beethoven. La novità, semmai, è stata quella di tentare un approccio alla prosa con basi musicali, apparentemente incongruenti al testo, che fossero tutt’altro che di sottofondo ma anzi che fungessero da parte integrante al ritmo narrativo e alla scena che in quel momento si stava presentando agli studenti. Lo scopo finale era insomma riuscire a coinvolgerli il più possibile: a farli entrare al lazzaretto insieme a Renzo e Fra Cristoforo, nel palazzotto del fratello dell’ucciso durante la scena del pane del perdono, a far loro incontrare la madre di Cecilia e il suo dolore per le vie di Milano.

Così, giusto per riportare qualche esempio, la lettura della lunga notte dell’Innominato ha potuto godere come base musicale della Mandolina Theme di Ennio Morricone e Nino Rota: nient’altro che la famosissima colonna sonora de Il padrino. L’ingresso di Lodovico, appena rinato in Cristoforo al palazzotto del fratello dell’ucciso tra «un rimescolarsi di gran cappe, d’alte penne, di durlindane pendenti, un moversi librato di gorgiere inamidate e crespe, uno strascico intralciato di rabescate zimarre»[12], è stato letto sulla base della Serenissima, dal Rondò veneziano. Ancora, la Wiegenlied op. 49 n. 4 di Brahms (ovvero la sua famosa Ninna Nanna) ha accompagnato i passi dell’anonima madre di Cecilia, strappando anche qualche lacrima tra gli ascoltatori. Il tradimento del Griso, invece, è stato letto sulla base della Danza dei cavalieri (Prokifiev, Romeo e Giulietta) e l’ Addio ai monti proprio su quel Beethoven che aveva già ispirato Goethe, ma stavolta le note scelte sono state quelle di Per Elisa

Il successo è stato immediato, tanto quanto inaspettato: la maggior parte degli studenti del corso (per lo più, lo ricordiamo, matricole), aveva lasciato da poco l’estenuante analisi scolastica del testo manzoniano; molti di loro infatti partivano da una condizione di pregiudizio assolutamente negativo nei confronti dei Promessi Sposi, salvo poi ricredersi dopo l’esperimento di lettura alternativa.

Alcuni studenti, addirittura, volendo ritentare la prova in lettura silenziosa a casa, hanno chiesto la “playlist musicale”, ovvero l’elenco delle basi utilizzate durante la lezione. Questo è probabilmente il risultato più eclatante, poiché implica una personale e privata rilettura del romanzo al di fuori di quella obbligatoria della lezione.

Insomma, l’obiettivo iniziale di chi scrive, di fronte a circa duecento Millennials era chiaro e semplice: “se riesco a convincere almeno un decimo di voi a rileggere spontaneamente a casa I promessi sposi perché è un romanzo attuale, che fa discutere, che insegna l’italiano, che ci fa comprendere il Novecento, ma soprattutto perché è bello, ho vinto io”.

«Questa conclusione, benché trovata da povera gente, […] abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.»[13]

[1] Tra gli altri, riportano la notizia:  Il giornale, 23 marzo 2015; Il fatto quotidiano, 23 marzo 2015; Il tempo, 24 marzo 2015; La stampa, 25 marzo 2015; Repubblica, 23 marzo 2015.

[2] È d’obbligo, a questo punto specificare cosa si intende in questa sede per Millennials (o Generazione Y). Il termine, notoriamente utilizzato a livello internazionale per i nati tra gli anni Ottanta e il Duemila, ovvero la Net generation,  cioè quella generazione che ha confidenza innata col mondo della tecnologia, del web e dei social network, viene qui utilizzato nell’accezione giornalistica propriamente italiana per definire il sottogruppo dei nati a cavallo dell’anno 2000 ovvero coloro che attualmente studiano negli istituti secondari di II grado o si avviano all’istruzione universitaria.

[3] Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Conclusione, a cura di F. De Cristofaro, G. Alfano, M. Palumbo, M. Viscardi, Milano, BUR, 2015, p. 663.

[4] Alessandro Manzoni, Lettera a Ruggero Bonghi intorno al libro “De vulgari eloquio” di Dante Alighieri, 1868.

[5] Da recenti statistiche l’Italia risulta abitata dal 47% da analfabeti funzionali, quasi la metà dell’intera popolazione nazionale.

[6] A. Manzoni, Promessi Sposi, cit., pp. 474 – 475.

[7] Ivi, p. 602.

[8] Emilio Isgrò, I Promessi Sposi, 2016.

[9] A. Manzoni, cit., Introduzione, p. 83.

[10] Primo Levi, Sic!, in Racconti e saggi, Torino, La stampa, 1986, p. 101.

[11] A. Manzoni, cit., p. 589.

[12] Ivi, p. 183.

[13] Ivi., Conclusione, p. 1117.

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