La gemella H di Giorgio Falco. Storia della mia copertina /7
Nel 2009, all’inizio dell’estate, non sapevo bene quale direzione prendere dopo aver scritto L’ubicazione del bene, uscito un paio di mesi prima per Einaudi. Se vivo una condizione di immobilità narrativa, la soluzione migliore è, per me, fotografare. Beh, fotografare: portavo soprattutto il cavalletto e il banco ottico di Sabrina Ragucci. Eravamo a Merano, interessati alle costruzioni di epoca fascista in Alto Adige. Alloggiavamo nel camping adiacente all’ippodromo, non distante dal Passirio, il torrente che taglia in due la cittadina. Il Passirio ha la caratteristica di essere troppo piccolo per definirsi un fiume, ma è abbastanza grande per essere qualcosa di più di un torrente: quando lo guardo oscillo tra un senso di tranquillità e di minaccia.
Durante un pomeriggio afoso – stanchi dopo una mattinata di lavoro a Sinigo, la frazione abitata per lo più da residenti di madrelingua italiana – dormivo all’ombra di un grande albero. Mi ha svegliato un rumore molto forte ma, assonnato com’ero, non ho potuto focalizzare subito l’origine di quel frastuono. Poi, sopra di me, ho visto un elicottero, volteggiava insistentemente alla ricerca di qualcosa, o di qualcuno. Mi sono riaddormentato con il rumore che ritornava a folate e svaniva.
Il mattino dopo, ho letto sul giornale locale un trafiletto di cronaca. Una donna di sessantaquattro anni era uscita per portare a spasso il cane. Il cane, forse molto assetato, si era sporto sull’argine del Passirio per bere, ma era precipitato in acqua senza riuscire a risalire; allora la donna si era tuffata per salvarlo, e tuttavia, nonostante l’acqua non fosse profonda, era annegata.
Due giorni dopo la morte della donna, sono andato al mercatino alimentare, dove gli agricoltori della zona vendono i prodotti delle loro terre. Un agricoltore mi stava passando un sacchetto di mele quando ho sentito la voce di un uomo, la voce di un pensionato che, tra una bancarella e l’altra, sostava alla mia sinistra in compagnia del proprio cagnolino e di due conoscenti. Io ho visto tutto, ha detto ai due conoscenti. Ero lì con lui, ha detto indicando il cagnolino. La donna si è lanciata in acqua, il suo cane si è tuffato per salvarla. L’uomo, due giorni prima, era stato vicino al punto in cui la donna, non si sa se intenzionalmente, era caduta in acqua. Il pensionato alludeva a un suicidio? Forse. Di certo, l’uomo ha ribaltato la dinamica di ciò che tutti presumevano. I suoi conoscenti lo hanno guardato come se fosse impazzito. Il testimone non poteva negare la versione ufficiale, quella certificata dall’articolo del quotidiano, che esaltava la generosità della donna ed evidenziava la sbadataggine dell’animale.
Ero circondato da esseri umani vestiti con abiti contemporanei, esseri umani che portavano zainetti colorati, marsupi, sacchetti della spesa; e tuttavia, gli edifici risalenti ai secoli scorsi, la visione di uno spicchio di montagna intatta, il castello in lontananza di proprietà della figlia di Ezra Pound, e i volti di riprovazione dei conoscenti del testimone, mi hanno proiettato in un’epoca diversa: all’improvviso mi sono sentito negli anni Trenta del Novecento.
L’uomo è sparito insieme al cagnolino nell’affollamento del mercatino. Dovevo intromettermi subito, chiedergli qualcosa di più: ma non era già abbastanza quanto aveva detto? Sabrina stava acquistando la verdura in un’altra bancarella. Le ho raccontato subito la storia, temevo che, con il passare dei minuti, la testimonianza del pensionato diventasse una cosa accaduta soltanto nella mia testa.
Arrivati in campeggio, abbiamo scelto tre delle mele acquistate, le abbiamo conservate e, ritornati a casa dopo alcuni giorni, le abbiamo disposte in un angolo del tavolo. Sabrina le ha fotografate alla fine dell’estate. La stampa dell’immagine ha evidenziato ancora di più la reazione differente delle tre mele. La prima era ormai marcia; la seconda aveva un paio di segni sulla buccia, come fossero occhi; la terza era identica al primo giorno, anzi, ancora più lucida, sembrava una di quelle mele di plastica utilizzate dai mobilifici, al centro dei tavoli in vendita.
Non siamo poi tanto diversi da queste mele, ho pensato, reagiamo al tempo che passa, agli avvenimenti storici in modo diverso: alcuni sono devastati dalla Storia, altri la attraversano quasi incolumi. Guardavo la stampa delle tre mele e ripensavo alla donna morta nel Passirio. Si era davvero suicidata? E il cane, tuffatosi per salvarla, era morto con lei o era sopravvissuto?
Nell’aprile 2010, ho iniziato a scrivere la storia di una donna tedesca che viveva in Italia da molti anni. La donna, ormai ottantenne, abitava a Milano. È uscita in una mattina di inizio estate assieme al proprio cane, un tranquillo pastore tedesco di nome Blondi. Giunta in prossimità della sponda del Naviglio Grande, la donna metteva in pratica ciò che aveva ipotizzato per sessantacinque anni: si lasciava cadere in acqua e annegava, nonostante il generoso tentativo di Blondi, tuffatasi per salvarla.
Da questa morte sono andato a ritroso, ho iniziato a scrivere il romanzo che sarebbe diventato La gemella H, uscito per Einaudi nel 2014. La parte scritta nell’aprile del 2010 è inserita più o meno a metà del libro, nel capitolo intitolato Intermezzo.
Per motivi grafici, la fotografia originale è stata tagliata. In un primo tempo era stata tagliata anche la parte destra, quella con i due segni nel tavolo, in modo da privilegiare la centralità delle tre mele. Ma senza le incisioni nel legno, si sarebbe perso il senso della fotografia. Le mele, infatti, erano ritratte leggermente fuori fuoco, il fuoco cadeva proprio in corrispondenza delle due tracce, che partivano da un medesimo punto, collimante con il bordo destro; le due tracce si dividevano dopo pochi centimetri, per proseguire in parallelo, fino al termine del tavolo, dove c’era il muro bianco, la pagina bianca da scrivere, il romanzo. È questo che dava profondità all’immagine, il precipizio dei due segni gemelli uniti dalla medesima origine e poi disuniti. Ho chiesto e ottenuto di non tagliare quella parte fondamentale della fotografia e, di conseguenza, del romanzo.
Le tre mele sono diventate i tre personaggi del libro. La mela a sinistra, quella più grande ma ormai immangiabile, rappresentava Hans Hinner, ex nazista, padre delle gemelle Hilde e Helga; la mela posizionata in mezzo, con gli occhietti, era la testimone, Hilde; e infine, la mela plastificata, incolume, sulla destra, rappresentava Helga, che non a caso sopravviveva a tutti. Era proprio Helga, nel finale del libro, a occuparsi del cane della gemella morta. Quando ho pubblicato La gemella H eravamo alla sesta generazione di Blondi, il cane che si riproduce sempre con lo stesso nome. Adesso l’ultima Blondi del romanzo avrebbe dieci anni. Potrebbe anche essere morta. Ma da qualche parte, c’è un nuovo esemplare di Blondi, che a nostra insaputa vive in mezzo a noi.
Insomma, molto spesso a uno scrittore è chiesto il modo in cui è nato un libro, e allora lo scrittore cita riferimenti, romanzi, saggi, film, quadri, opere musicali. Beh, diffido di chi espone troppa materia, come se dovesse giustificare il risultato finale: il risultato finale è solo il testo, e ciò che sta dietro dovrebbe innervare il testo silenziosamente. Le opere, per fortuna, nascono anche e soprattutto da un innesco quotidiano casuale, e credo che un senso di mistero sia indispensabile, proprio come quando stringiamo un sacchetto di mele al mercato, o alzando gli occhi assonnati, mentre volteggia sulle nostre teste un elicottero, pensiamo: chissà cosa ne sarà di noi.
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