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diretto da Romano Luperini

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L’economia del gratis. Su Pagare o non pagare di Walter Siti

 Il saggio di uno scrittore si distingue da quello di uno scienziato “puro” per la quota di soggettività che è capace di incorporare nell’analisi “oggettiva” del reale. E anche per la tendenza a trasformare la contraddizione in valore. L’ultimo libro di Siti (Pagare o non pagare. L’evaporazione del denaro, Nottetempo, € 12) sulla «evaporazione del denaro» non fa eccezione, perché associa alla lucida analisi socio-economica di questo frangente storico un’impietosa disamina delle contraddizioni di un “io” che risponde al nome di Walter Siti.

Pagare o non pagare si occupa di un cambiamento di paradigma totale, maturato negli ultimi vent’anni, e che investe l’economia, la società e la cultura del mondo odierno. Si tratta dell’affermarsi dell’«economia del gratis», in un quadro in cui una certa idea novecentesca di lavoro, caratterizzata dai punti cardine del salario e dei diritti, è messa in gravissima crisi. Scrive Siti: «La catena socialmente consapevole che cinquant’anni fa appariva infrangibile (lavorare → essere pagati → pagare → comprare) è evaporata in una nebbia di delusioni e speranze in cui sembra che il denaro abbia perso la propria funzione di perno, in quanto collegato al lavoro». È da notare qui l’uso del sostantivo «catena»: chiaro sintomo linguistico di una concezione del lavoro come duplicità fra abbrutimento e libertà, dura necessità ed emancipazione – le catene prima o poi vengono spezzate. Se si è in grado di vederle.

 

Il paese di Cuccagna. E invece Balzac

Secondo Siti, il paese di Cuccagna, in cui tante merci e tanti servizi appaiono a portata di mano, disponibili e gratuiti, mentre il denaro comincia a svanire nel nulla, ha una data di nascita precisa, quasi una sorta di peccato originale. Nel 1999, sotto la presidenza Clinton, negli Stati Uniti d’America si abolisce per legge la distinzione fra banche tradizionali e banche d’investimento. Si innesca una spirale pericolosa, i cui effetti si ripercuoteranno in tutto il mondo. Le banche vengono spinte a prestare sempre più soldi e i prestiti vengono cartolarizzati, assumendo la forma di derivati finanziari. Si arriva alla «follia dei mutui immobiliari americani» e quindi alla durissima crisi del 2008. Le persone sono convinte che il prezzo delle loro case crescerà e quindi sono indotte a chiedere nuovi prestiti, dando in garanzia una casa che non è ancora di loro proprietà. Si passa dalla tradizionale folla dei risparmiatori a quella degli indebitati. Balzac, già negli anni Trenta dell’Ottocento, aveva capito molte cose del capitalismo del suo tempo. Aveva in un certo senso previsto, o almeno intuito, l’essenziale. Ecco il «sistema inglese» spiegato da Balzac nel romanzo  La pelle di zigrino (1831). Il giovane e bizzarro protagonista, talentuoso ma povero, quindi socialmente frustrato, si affida all’amico Rastignac, e ai suoi consigli: «Egli voleva assolutamente aprirmi un credito e farmi fare dei prestiti, pretendendo che i prestiti potessero garantire il credito. Secondo lui, di tutti i capitali del mondo l’avvenire era il più cospicuo e più solido». Questo «sistema inglese» sembra davvero anticipare, ovviamente in modo naif e ancora del tutto embrionale, i futuri meccanismi del capitalismo finanziario che oggi stanno affamando milioni di persone e stritolando l’economia mondiale. Coloro che hanno trasformato il futuro in una merce totalmente assoggettata alle leggi della domanda e dell’offerta dominano il pianeta. «Ma i giovani», scrive Siti, «non possono farne a meno, del futuro».

I vecchi e i giovani

Uno dei temi centrali del libro è la dialettica fra giovani e vecchi. Il punto di vista dell’anziano è apertamente rivendicato dall’autore. Non solo perché permette al discorso di svilupparsi secondo il binario, sempre caro a Siti, dell’autobiografia, e quindi di uscire dalle secche di una presunta oggettività, che non sempre si dimostra adatta all’analisi dei sentimenti – anzi. Ma anche per motivi concreti, culturali e sociologici. Siti lo spiega molto bene: «Dopotutto, non sono gli anziani della classe media che ora appaiono decisivi nel determinare la tinta della falsa coscienza in Italia, non è per loro che si “moderano” e si modellano le leggi? Può l’autobiografia funzionare anche come autoanalisi di un ceto?». La risposta è: certamente sì. Una delle falsificazioni più in uso ai tempi d’oggi non è infatti l’idea per cui i giovani si trovano economicamente in difficoltà perché gli attuali anziani nel passato hanno dilapidato e sprecato? Perché chi c’era prima ha vissuto “al di sopra delle proprie possibilità”? Ed è quasi inutile suggerire che i motivi reali stanno altrove. E che la significativa contrazione del welfare state, in atto da decenni in tutto l’Occidente liberista, è originata piuttosto da una nuova fase del capitalismo finanziario, duramente competitiva, in cui si scatena la corsa alla messa a valore di sempre più corpose fette di ricchezza e risorse. La conseguenza più immediata di questa falsificazione – la «tinta» indelebile – è che viene alimentato il senso di colpa dei vecchi verso i giovani, e il risentimento, più o meno strisciante, di quest’ultimi verso i primi. Non solo la guerra fra i poveri, ma anche la conflittualità fra le generazioni mina alla base la coesione sociale.

Colpa e debito

Il diavolo, si sa, si annida nei dettagli. L’ultima riga e l’ultima parola – non a caso «io»  – del saggio rimanda il lettore a una piccola nota che chiude in effetti il libro. Vi si narra un breve aneddoto personale. L’autore sta facendo una sosta su una panchina per riposarsi. Gli si avvicina d’un tratto una ragazza che gli dà un bacio sulla guancia. Poco prima gli aveva confessato di aver perso una scommessa con gli amici e di dover dunque «per penitenza» baciare un vecchio. Il nesso fra colpa e debito – in tedesco un’unica parola, Shulde – si rifrange metaforicamente su entrambe le figure, quasi si trasmettesse dall’una all’altra per reciproco contagio. La penitenza della ragazza; le colpe, vere o supposte, del vecchio.

Ma quali sono queste colpe? In un’intervista del 2009 Siti recitava un sincero mea culpa: «In questi vent’anni la cultura umanistica è completamente crollata e noi che insegnavamo alle facoltà di lettere non ce ne siamo occupati. E penso che questa sia stata la colpa più grave della nostra generazione. Io credo che fare gli storici dei sentimenti, cioè capire che cosa ne è stato dei sentimenti in questi anni televisivi, mediatici, sia un lavoro fondamentale» (corsivo mio). Siti dichiara apertamente come l’amore-odio per il denaro, uno dei temi cruciali del saggio, sia «certamente» un sentimento. Il saggio è anche un modo per tacitare un senso di colpa. Trapela infatti la frustrazione, comprensibile, di un intellettuale di sinistra sconfitto e costretto a consegnare ai posteri un mondo in cui il capitalismo ha stravinto, e tutte le conquiste sociali dei movimenti dei lavoratori vengono derubricate a mero “costo” o peggio “lusso” che non possiamo più permetterci. Il lavoro e i suoi diritti diventano uno strano anacronismo, un oggetto di  mera contrattazione mercantile. Ma il sentimento di colpa sembra mettere radici ancora più in profondità, lambire l’inconscio e riverberarsi su quel «piacere di pagare» rivendicato dallo scrittore con orgoglio. Emerge in queste pagine con chiarezza la passata adesione, convinta e compiaciuta, a modelli di vita consumistici. Il nesso fra desiderio, denaro e valore di scambio diventa un nodo inscindibile, che si stringe attorno al valore d’uso, soffocandolo. Siti dichiara che per lui gli oggetti e i piaceri procacciati col denaro «non valevano soltanto per l’uso che potevo farne ma più e soprattutto per il loro valore di scambio: uno scambio di me con me stesso, del figlio di operai che si trasvalutava comprando quel che lui credeva fosse desiderato dalle classi superiori». Il Marx dei Manoscritti economico-filosofici, secondo il quale il denaro è portatore di una potenza sovvertitrice capace di stravolgere le individualità, potrebbe chiosare: «Ma se presupponi l’uomo come uomo e il suo rapporto con il mondo come un rapporto umano, puoi scambiare amore soltanto con amore, fiducia solo con fiducia». D’altronde, l’idea di possedere la realtà per mezzo del denaro è mefistofelica. Siti cita proprio quel noto passo del Faust di Goethe che lo stesso Marx riprenderà proprio nei Manoscritti: «Se io posso pagare [zahlen] sei stalloni le loro forze non diventano forse le mie?» (corsivo mio). Pagare dunque, o non pagare?

La pigrizia di Lafargue

«Da vecchio, rimuovo psicologicamente i prezzi come rimuovo il morire». Se pagare, e essere pagati, equivale a morire forse è meglio non pagare. Ecco dunque un altro punto d’involontaria, contraddittoria tangenza fra i giovani, che non sembrano più conoscere il reale valore del denaro e che non pagano beni e servizi, perché a loro volta non sono pagati per il lavoro prestato, e il vecchio che rimuove i prezzi delle cose. Paul Lafargue, il genero di Marx, si suicidò a settant’anni, ricorda l’autore, per «sottrarsi all’impietosa vecchiaia». Anche in Siti c’è un moto di rifiuto della vecchiaia. Lafargue è stato un incorreggibile “giovane”, che rivendicava ante litteram un «diritto alla pigrizia». Per lui, già nel 1880, il capitalismo era perfettamente in grado di produrre tutto ciò che serve agli uomini. E sarebbero state sufficienti tre ore al giorno di lavoro, ovviamente a parità di salario, per sopperire alle necessità di tutti. D’altronde, la battaglia sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione non è sempre stata una bandiera della sinistra? Ma il problema affrontato da Siti è un altro. Nella società del virtuale e dei social media, dello strapotere di colossi come Facebook e Google, ci vengono accordati dei servizi “gratis”, perché in realtà siamo noi a lavorare per loro, fornendo alle multinazionali preziose informazioni sulla nostra identità, che verranno usate per motivi commerciali. «La merce sei tu» si intitola infatti un ottimo articolo di John Lanchester, pubblicato lo scorso settembre sulla rivista «Internazionale», e dedicato appunto allo strapotere di Facebook, e alla sua reale “missione sociale”, al di là di tutte le mistificazioni.

In una fase in cui il progresso tecnologico fa sparire migliaia di posti di lavoro e al contempo viene messo a valore proprio il tempo libero delle persone, il loro stesso tempo di vita, il libro di Siti ci costringe a riflettere di nuovo, in modo stimolante e originale, su questioni cardinali della nostra società, da tempo cadute in un colpevole oblio: lavoro, denaro, salario, possesso, merce, costi sociali dell’economia del gratis. Mentre il vecchio mondo sembra evaporare e svanire. E, ancora con Marx, «tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria». 

Fotografia: Palermo 2016, Aeroporto Falcone Borsellino.

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