Arriverà l’invalsi e parlerà in inglese
Invalsi in Inglese
Il prossimo anno scolastico arriverà il test Invalsi in Inglese per le classi quinte. Si parla di 30/40 domande computer based che testeranno le abilità ricettive (lettura e ascolto) a un livello di competenza B2, mentre nelle seconde classi verrà richiesto il livello B1. I test saranno somministrati durante l’anno scolastico per non sovraccaricare i maturandi, che a quanto pare saranno anche i primi a sperimentare un nuovo esame di maturità, maggiormente centrato sulla esperienza di alternanza scuola lavoro. Nuovo governo permettendo, ovviamente, poiché siamo in clima di elezioni e non sappiamo a oggi se arriveranno altre Buone Scuole a sorprenderci con effetti speciali. Nella mia scuola, un tecnico tecnologico, da anni facciamo dei test per classi parallele al secondo e quarto anno con lo stesso identico scopo, tirare le somme, vedere cosa non va e può essere migliorato, in cosa siamo più bravi e meno bravi, quali indirizzi sono più deboli.
Situazioni diverse
Nelle scuole italiane non esiste però una disciplina più divisiva dell’Inglese, che in alcuni casi arriva persino a diventare discriminante. Pensiamo ai professionali, dove raggiungere in quinto anno un livello B1 è già di per sé un obiettivo poco realistico. Pensiamo a scuole dove non esistono progetti europei, o scambi culturali, dove non si sa neppure cosa sia un eTwinning, dove la lavagna è ancora bella nera e stridente di gesso e il registratore mezzo rotto si blocca proprio mentre stai facendo un test di ascolto. Cosa c’è di realistico nel pensare che tutte le scuole superiori possano prevedere un livello di uscita per l’Inglese al B1 – biennio/ B2 – triennio? I virtuosi del liceo che vantano ancora oggi alunni (forse) più dotati, più motivati o semplicemente più abituati, diranno che quello è stato ed è il loro obiettivo minimo da anni, mentre nei dipartimenti dei tecnici si discute ad ogni riunione su come far combaciare la realtà con quello che viene richiesto dall’alto. Perché ovviamente non basta cambiare il libro di testo. Si sa che i licei sfornano molti studenti con certificazioni FIRST, IELTS (B2) e addirittura ADVANCED (C1) mentre nei tecnici chi esce con il FIRST è una rarità, e nei professionali una utopia.
Microlingue ai tecnici e ai professionali
Non è una faccenda semplice per noi docenti di Inglese. Il ministero poi non l’ha mai messa giù facile. In tre ore settimanali dobbiamo fare il miracolo di portare gli alunni al livello richiesto facendo anche su è giù per le microlingue, diventando esperti di meccanica, estimo, economia, elettronica, grafica, agricoltura, e via dicendo. Se al liceo si procede in via del tutto naturale con quello a cui siamo più abituati, ovvero la letteratura e la storia, nelle scuole tecniche e professionali si fa vero e proprio CLIL, e non per un semplice isolato modulo, ma durante tutto l’anno. Io ad esempio in 25 anni di insegnamento ho imparato come si fa il vino, tutto quello che c’è da sapere sul motore asincrono trifase, come si scrive una lettera commerciale, rudimenti di estimo, i componenti di una fresa, le regolamentazioni del packaging, gli idrocarburi e la legge di OHM, tutte cose su cui non avrei mai posto attenzione, se non ci fossero stati i programmi ministeriali, e che sicuramente non ho studiato per l’abilitazione o per la laurea. A me onestamente piace la letteratura. Laggiù a viale Trastevere questo problema del docente di inglese tuttologo non se lo sono mai posto, perché tanto la lingua è la stessa, e noi la lingua dobbiamo insegnare. Ci sono insegnanti che in quelle specifiche condizioni si limitano a fare comprensione scritta di alcuni testi tecnici, i quali, diciamolo francamente, presentano come unica difficoltà il lessico e non certo la struttura. Un testo di carattere tecnico o scientifico non è di norma di difficile accesso per alunni che quella materia la trattano tutte le mattine in classe o nei laboratori. Ma parlare, leggere, scrivere e ascoltare non è questo. Alcuni docenti lavorano più approfonditamente in raccordo con i colleghi delle aree professionalizzanti creando dei percorsi integrati e facendo lezioni in lingua su questi argomenti, con interazione, ascolto produzione scritta ed orale. Ma la prova della maturità, ovvero la famigerata terza prova, prevede “un testo di 80 parole circa” con qualche quesito, qualche domandina. È in questo modo che gli studenti di un tecnico o professionale hanno finora dimostrato la loro conoscenza della lingua. Di difficile ci sono state solo le griglie di correzione da preparare per valutare queste “rispostine”, un lavoro su cui si sono spesi pomeriggi interi senza mai arrivare a qualcosa di soddisfacente e che il docente esterno di turno ha sempre immancabilmente criticato.
Facciamo le cose per bene (?)
Ora la “Buona Scuola” dice no, basta, facciamo le cose per bene. Arriva l’Invalsi che chiede ai ragazzi di mettere in campo strategie ben diverse, per comprendere testi scritti ed orali di diverse tipologie e scopi, non certo legati alla loro sfera professionalizzante. Da quello che ho capito il test sarà lo stesso per tutte le scuole. Ora sì che diventa una sfida. Sono pienamente d’accordo. Facciamole per bene le cose. A partire dai programmi e dal tempo scuola. Facciamo che tutte le scuole abbiano la LIM e la possibilità di praticare la lingua, facciamo che dove ce n’è più bisogno si mettano più risorse. Ad esempio più ore di Inglese ai professionali e tecnici, dateci pure l’esperto di madrelingua, per favore. I nostri ragazzi possono sorprenderci ed entusiasmarci se presi per il verso giusto. Non sottovalutiamo il fatto che YouTube, Instagram e co. siano arrivati là dove noi non siamo mai riusciti; i ragazzi sono più veloci e più informati, anche più abituati ed interessati all’inglese. Ad esempio l’altra mattina un mio alunno mi ha insegnato la parola dissing e io, che sono ancora (e per forza) una studentessa diligente, l’ho memorizzata per bene. Quella parola lì significa “mancare di rispetto o insultare” ed il mio alunno l’aveva usata in un breve testo che descriveva il lavoro dei docenti. Non aggiungo altro.
E il digitale?
Il digitale è una grande risorsa per l’insegnamento delle lingue, anzi ha tutte le risorse, tutto quel materiale autentico che fa tanto bene all’insegnamento. I tool digitali sono quasi tutti in lingua inglese e sembrano fatti apposta per rendere le nostre lezioni più motivanti ed avvolgenti. I lavori di progetto, le rubric, le stesse metodologie che vanno tanto di moda, i famosi compiti di realtà, sono tutte prestati dalla didattica delle lingue. Noi siamo pionieri, lo siamo sempre stati. In una scuola tutta da reinventare, con millennials che ci sfidano da tutti i punti di vista, ci potremmo imbarcare in tanti percorsi differenti ed arrivare più in là di quanto potremmo immaginare, con molto meno di un semplice libro di testo. Ma ci sono programmi ministeriali e risultati da scodellare, e l’Invalsi sarà il termometro che andrà a misurare le nostre lacune, non i nostri evidenti progressi. Perché ci sono stati, eccome.
Non solo paura, ma criterio
A me, come a tutti i miei colleghi, non spaventa tanto la misurazione, quanto la improponibilità di quel test a quelle condizioni, quel voler livellare quello che non è assolutamente livellabile. Nella mia scuola non va poi tanto male, i miei alunni hanno tantissime opportunità per praticare la lingua con gli Erasmus, gli scambi, l’eTwinning, abbiamo le LIM in ogni classe e siamo aperti ad ogni stimolo, ogni novità, tutto sembra possibile. Vedo persino colleghi di altre materie mettersi sempre più in gioco con l’Inglese, sedersi sui banchi di scuola “per colpa “del CLIL o perché vogliono partecipare agli scambi e alle mobilità. La mia scuola ha davvero tutte le carte in regola per mettersi in pari con la riforma, perché parla e scrive in Inglese molto spesso. Ma le mie due future quinte non sono e non saranno un B2, non posso mentire a me stessa, tranne una esigua manciata di alunni per classe. Perché quando li ho incontrati alcuni di loro non erano neanche un A1, perché le mie non sono classi omogenee per livello, interesse, opportunità. Perché sì, ci stiamo spostando verso il B2, ma non può essere un processo che si può realizzare in 5 anni, ci vuole molto più tempo. Per anni la mia sfida è stata quella di portare i miei alunni a saper rispondere a 3 domandine su un testo di 80 parole, e se nel tempo ho cercato di aumentare la portata dei contenuti, delle attività e degli stimoli, la sfida/non sfida è rimasta sempre la stessa.
Tuttologi, e domani?
Allora penso che allo stesso modo in cui ci hanno chiesto di diventare tuttologi nonostante la laurea in letteratura, ora ci stiano imponendo di fare anche questo miracolo, sempre in 3 ore settimanali e senza toglierci la microlingua, dato che l’Inglese è una competenza trasversale a tutte le materie. Mi sento quindi di fare dei pronostici e azzardare questa ipotesi di uscita dal test di Invalsi: i tecnici saranno somari, i professionali pessimi, i licei ne usciranno con dignità. Forse risparmieremmo dei soldi se ce ne facessimo una ragione.
Fotografia: G. Biscardi, Palermo 2018, lavori in corso.
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Roberto Contu
Editore
G.B. Palumbo Editore
RE: Arriverà l’invalsi e parlerà in inglese
L’invalsi ha l’enorme responsabilità di aver ulteriormente svilito il lavoro dei docenti.
Cfr. http://www.glistatigenerali.com/scuola/prof-e-stanco-non-ce-la-fa-piu/