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diretto da Romano Luperini

Cenati 20160603 0118

Il graphic novel prima del graphic novel in Italia

 1. Un parvenu dei bassifondi

L’avvento del graphic novel in Italia, sulla scorta del suo successo internazionale, può essere ricondotto agli albori del secolo ventunesimo. Di lì in avanti, il linguaggio fumettistico si mostra prevalentemente incline alle narrazioni lunghe, articolate, di ambizione realistica, concepite e pubblicate in maniera unitaria. Il racconto a fumetti viene così assumendo sempre più le parvenze di un oggetto editoriale compatto, che presenta formato e fisionomia omologhi a quelli del libro letterario. Come tale si fa riconoscere da tempo nelle librerie, dove si è guadagnato appositi scaffali e convive in contiguità con i libri di fiction o con i libri illustrati, e ultimamente fa capolino nelle competizioni letterarie più blasonate: Gipi e Zerocalcare sono stati annoverati tra i finalisti del Premio Strega nel 2014 e nel 2015, mentre ancora a Zerocalcare compete il merito di insediarsi al vertice delle classifiche dei libri più venduti “di fiction”, anche se ciò paradossalmente avviene con il reportage Kobane calling (2016).

Prima del nuovo secolo, le storie che mescolano disegni e parole avevano ricevuto ospitalità in luoghi di distribuzione diversi, nelle fumetterie o presso la rete capillare delle edicole: dove in nome della periodicità seriale le riviste e gli albi a fumetti potevano e possono trovare collocazione accanto a una varietà di altri prodotti a stampa di tenore giornalistico. Nelle librerie generaliste, viceversa, il fumetto calato nella veste libraria del graphic novel arriva a convivere con i libri letterari pressoché gomito a gomito, esposto agli occhi di possibili acquirenti che perlopiù non hanno messo piede in una fumetteria.

qqqqq  Zerocalcare, Dimentica il mio nome, 2014.

Al 2000 risale in effetti la fondazione della casa editrice bolognese Coconino, che non solo coltiva il graphic novel come cifra precipua del proprio catalogo, ma ne fa una bandiera di poetica, in linea con le posizioni dell’autore-fondatore Igort. Al 2008 data un altro evento importante nel riassetto dell’immaginario a fumetti, vale a dire l’acquisizione dell’editrice specializzata Lizard, nata nel 1993 sotto il patrocinio di Hugo Pratt, da parte del gruppo Rizzoli: ne sarebbe sorto l’altro pilastro editoriale del graphic novel in Italia, la Rizzoli-Lizard appunto, sviluppata sotto la direzione di Simone Romani. Se Coconino asseconda l’evoluzione del fumetto d’autore in consolidata opera di storytelling, Rizzoli-Lizard affianca alle proposte autoriali più ricercate la traduzione-divulgazione dei capisaldi internazionali del graphic novel e la riproposta di alcune opere canoniche in cui ritrovarne precedenti e prototipi, puntando a far valere aspetti di continuità con i modi espressivi anteriori, anche seriali, dell’immaginario fumettistico.

2. La solita americanata?

La denominazione anglosassone, che si viene vieppiù configurando come etichetta apprezzata e à la page tra gli operatori editoriali, attesta come la nuova categoria, critica e insieme merceologica, proceda da genealogia angloamericana. La novità, la moda e l’opportunità, insieme con le consuete incertezze dell’uso linguistico, inducono tuttora molti ad avvalersi dell’etichetta graphic novel per gli oggetti fumettistici più disparati, in sede editoriale e giornalistica. Ciò non toglie che il nome di graphic novel possa ammettere una definizione critica più univoca e soccorrere a individuare un punto di svolta notevole nell’assetto della produzione e nelle prassi di lettura.

La duplicità dell’espressione graphic novel reca in sé la cifra della conformazione ambivalente e della discendenza bastarda dei generi misti: in questo nome sono evocati da un lato il romanzo letterario di orientamento realistico, cioè il filone portante di sviluppo della modernità letteraria, dall’altro lato le arti grafiche, in quanto campo espressivo di vocazione minoritaria e spesso ancillare, connotato già in epoca premoderna da potenzialità di riproduzione tecnica che sarebbero state amplificate dall’industria culturale.

Nella denominazione di graphic novel è accennato un complesso di inferiorità del fumetto rispetto a forme compositive dotate di maggior lustro estetico e confortate da più diffuso apprezzamento. Mediante l’innesto nella tradizione romanzesca e la rivendicazione della razionalità funzionale propria del design, il fumetto ostenta di volersi affrancare dai vincoli di minorità infantilistica e di gratuità estrosa che lo hanno contraddistinto nel corso del Novecento. Non sono tagliati i ponti con un inventario di motivi e di forme che hanno alimentato l’immaginario fumettistico nel secolo precedente, tuttavia la strada intrapresa dal graphic novel allarga decisamente gli orizzonti espressivi propri del fumetto.

È avviato insomma un’ulteriore, decisiva fase nel processo di legittimazione culturale che proietta il fumetto da strumento di svago per lettori subalterni, adulti semicolti o appassionati dilettanti in età puberale, a più rispettabile vettore di esperienza estetica per un pubblico educato alla lettura letteraria. L’esaltazione del fattore grafico-visuale nel quadro di una narrazione in senso lato romanzesca sospinge i lettori di formazione umanistica verso un processo di fruizione più serrato, dai tempi più rapidi e scorciati in confronto con quelli imposti da opere esclusivamente testuali: è ciò che meglio consente alla narrativa supportata dal medium librario di sostenere il confronto con le sirene molteplici dell’universo audiovisivo e multimediale.

D’altro canto, l’accresciuta complessità di orditura intervenuta con la metamorfosi del fumetto in graphic novel attesta un percorso di romanzizzazione del fumetto che la dice lunga sulle capacità del romanzo di orientare a tutt’oggi le dinamiche evolutive di forme e generi circonvicini. Siamo certamente oltre le occasioni di adattamento fumettistico dei classici della letteratura romanzesca, che pure hanno segnato tappe essenziali nelle relazioni tra i due codici espressivi, da Dino Battaglia a Mino Milani. Con il graphic novel il fumetto si accosta più risolutamente alle prospettive della narrazione letteraria e, in pari tempo, la parola romanzesca si amplifica negli spazi dell’immaginazione visuale. Ad ogni modo il racconto fatto di parole e immagini non finisce così per snaturarsi in quanto fumetto, non accusa una dipendenza mortificante dal mondo delle lettere, anzi trae spunto da una simile dinamica per rivisitare la propria giovane tradizione e arricchire la propria peculiare strumentazione stilistica.

3. Sulle tracce dell’Ur-romanzo italiano a fumetti

Se il nome di graphic novel presenta margini di ambiguità definitoria tuttora significativi, ne possiamo desumere nondimeno sollecitazione a rintracciare la “cosa” così denominata risalendo le correnti di sviluppo del linguaggio fumettistico, muovendo dall’ipotesi che questa “cosa” possa presentare manifestazioni di rilievo senz’altro precedenti alla codifica della nuova categoria critica, precedenti alla conformazione libraria in cui è venuta da ultimo assestandosi. Narrazioni a fumetti di ampio respiro, atte alla rappresentazione verosimile e problematica delle insorgenze psicosociali più urgenti o più diffuse, beninteso si sono potute affacciare nel ventesimo secolo anche secondo le articolazioni discontinue delle pubblicazioni seriali o periodiche, anche in territorio non anglofono, laddove una cultura fumettistica abbia comunque posto solide radici: e senz’altro ciò è avvenuto in Italia. Qui a seguire è dunque tentata una disamina di alcune insorgenze del proto-graphic novel italiano, senza pretesa di fissare gli auctores di un canone, ma per verificare quanto fluido e diffuso nella storia del linguaggio fumettistico possa essere il processo di evoluzione delle forme e dei generi, prima che si pervenga a cristallizzarne la codifica entro categorie critiche o standard editoriali riconosciuti.

In simili fumetti si delineano trame complesse, articolati sistemi di personaggi, psicologie sfaccettate; il mondo vero vi si affaccia con una concretezza e una crudezza mai viste, anche se le robuste istanze di ordine realistico possono apparirvi inscritte, non di rado, entro i tratti compositivi propri dei generi narrativi a denominazione tematica (storico, avventuroso, bellico, poliziesco, noir, fantascientifico, di formazione). La stilizzazione fumettistica, di norma altamente convenzionale o soggettiva, qui opera in modo congruo con una rappresentazione in prevalenza attendibile delle vicende; produce semplificazione ma non semplicismo, consegue effetti di immediatezza icastica, ma senza cedere alla spontaneità irriflessa.

A pregiudicare la sicura corrispondenza con quanto oggigiorno si viene definendo come graphic novel sarà talora la mancanza di una piena organicità e continuità di sviluppo narrativo. Ma se pensiamo quanto lo stesso novel letterario, specie in età di sperimentalismo novecentesco, da Svevo a Gadda a Calvino, abbia rimesso in discussione, tra gli altri, proprio tali fattori di strutturazione omogenea e lineare, a favore di principi di costruzione romanzesca frastagliata o stratificata o combinatoria, allora non dovrà applicarsi in modo troppo stringente al fumetto, neppure quando elabora atmosfere di rappresentazione realistica, l’aspettativa di trovare soddisfatti quei medesimi criteri costruttivi in termini di ordine, ampiezza e continuità. Tanto più che gli standard di produzione del fumetto novecentesco sono orientati complessivamente alla serialità e alla periodicità, favorendo l’articolazione della serie in episodi autoconclusi e i meccanismi di reiterazione imperniati sull’identità persistente dei protagonisti.

4. Quel filibustiere di Corto Maltese

Nel ruolo di capostipite occorre riconoscere Hugo Pratt, che con Una ballata del mare salato, concepita nel 1967 grazie al sodalizio con l’editore genovese Florenzo Ivaldi, si cimenta tra i primi in assoluto nella narrazione lunga, di portata davvero romanzesca. Si tratta di una storia corale, ambientata nei Mari del Sud in prossimità della Grande Guerra: fortemente vi riecheggia la fascinazione per il romanzo esotizzante e avventuroso di Otto-Novecento, ma in pari tempo vi si delinea uno scrupolo innovativo di ricostruzione storica puntuale. Il mito del pirata qui appare ricondotto a motivazioni socio-economiche assai poco romantiche, sullo scacchiere della Realpolitik esercitata dalle grandi potenze europee. Corto Maltese, che avrebbe lungamente abitato le tavole di Pratt (tutte le sue storie sono state oggetto di una edizione monumentale ad opera di Rizzoli Lizard, dal 2007 in poi), fa la sua prima comparsa attenendosi a una parte antieroica non troppo ingombrante, come perdente di successo: compromesso in qualche misura con le cupe forze storiche che sovrintendono alle vicende dei singoli, ma sempre capace di rifarsi una verginità morale salvaguardando in extremis un elementare codice d’onore umano. Le combinazioni pirotecniche dell’intrigo, dal retrogusto appendicistico, rinviano a un fondamentale eurocentrismo, ma non impediscono di retrodatare utopicamente i motivi della decolonizzazione antimperialista, correnti negli anni Sessanta. wwww Hugo Pratt, Una ballata del mare salato, 1967.

5. Le Mele Verdi diventano grandi

Grazia Nidasio pubblica le storie di Valentina Mela Verde dapprima sul «Corriere dei Piccoli» quindi sul «Corriere dei Ragazzi», tra 1969 e 1976, con cadenza settimanale, in forma di episodi che misurano tra le due e le sei tavole ciascuno: ed è forse proprio la regolare brevità di ciascun episodio a suggerire la lettura protratta e trasversale della serie, attraverso la quale si scandiscono i tempi di un percorso formativo genuino ma strutturato (Tutte le storie di Valentina sono state raccolte in quattro volumi da Coniglio e Comicout pochi anni orsono, 2009-2013). Agli antipodi degli omaccioni audaci, superdotati ed errabondi che predilige gran parte del pubblico fumettistico maschile, Valentina sa calare nel mondo della narrazione iconico-verbale il punto di vista femminile e adolescente di una giovane liceale del ceto medio milanese, alle prese con ordinarie contese domestiche e molti grandi temi della società e del costume contemporanei. Lavoro minorile, diritti civili, consumismo, mobilità motorizzata, stupefacenti, emarginazione economica, emancipazione di genere, questione ecologica, antagonismo generazionale e cultura giovanile sono alcune delle attualissime questioni che si affacciano tra le esperienze di Valentina, con grande garbo, concretezza e ironia. Le figure flessuose, le strisce vaporose, colorate e floreali di Nidasio garantiscono ospitalità a problematiche ardue, senza mai smarrire i contorni di una leggibilità morbida e civile.

eeeeee

Grazia Nidasio, Un lontano Natale, 1974.

 6. Niente giustizieri per gli anni di piombo

Una componente didascalica ancora più marcata emerge nelle storie del Commissario Spada di Gianni De Luca e Gianluigi Gonano, apparse sul «Giornalino» tra 1970 e 1982 (sono state raccolte in quattro volumi da Edizioni BD-Black Velvet, nel periodo 2004-2006). La preoccupazione pedagogica congeniale alla più longeva rivista d’ispirazione cattolica non impedisce agli autori di privilegiare un modello narrativo di genere poliziesco, che tuttavia viene declinato secondo un’ambientazione metropolitana e attualizzante, di nuovo milanese, atta a romanzare le questioni e i fatti di cronaca più crudi e urgenti degli anni di piombo. La modulazione per episodi di misura medio-breve si combina con un assortimento e un’evoluzione dei rapporti tra personaggi ricorrenti, fra i quali il Commissario Spada è il meglio modellato ma insieme il più tetragono: uomo d’ordine ligio alla propria missione di polizia, vedovo, accusa qualche senso di inadeguatezza nella sua relazione con il figlio Mario, anche se non è disposto a dimettere i suoi abiti paterni di dura autorevolezza. Tanto esente dal macchiarsi di violenza sul campo di lavoro investigativo, quanto irrimediabilmente incapace di ascolto e tenerezza sul fronte familiare, il Commissario Spada è il tramite per affrontare di petto il problema dell’antagonismo armato. Racconto di genere e sceneggiatura della cronaca politico-giudiziaria si combinano a produrre esiti di originale realismo. È quanto avviene particolarmente nell’arco di tre episodi di ampia modulazione, disposti in continuità a realizzare un intreccio di respiro romanzesco: I terroristi, La grande confusione, La scelta (1979). Composta a ridosso dei fatti più controversi della vicenda repubblicana, l’opera non è priva di qualche forzatura ideologica; ad ogni modo l’impegno a dibattere le opzioni politico-giuridiche più controverse della lotta al terrorismo appare notevole. Altrettanto e più notevole è d’altronde la ricerca espressiva che scaturisce dalla matita di De Luca, all’insegna di una nitida impostazione della tavola e delle fisionomie, di una meticolosa resa dei dettagli ambientali, di effetti dinamici giocati sulla reiterazione-proiezione della singola vignetta a misura della tavola intera.

rrrrr Gianni De Luca, Gianluigi Gonano, I terroristi, 1979.

7. L’autopsia del poliziesco secondo Alack Sinner

Ancora dal genere giallistico procedono José Muñoz e Carlos Sampayo per dare vita alla serie protratta e discontinua di Alack Sinner, che fa la sua comparsa nel 1975 su «AlterLinus», sotto il patrocinio di Oreste del Buono, e snoderà le sue vicende al di là di ogni cadenza seriale fino al 2006, ospite di varie testate, da «Alter Alter» a «Corto maltese», nonché di volumi monografici allestiti già negli anni Settanta da Milano Libri (le edizioni Nuages hanno ripreso e raccolto queste storie in più volumi, tra 2007 e 2013). Gli autori, espatriati argentini, foggiano il loro antieroe secondo il modello dell’investigatore hard-boiled rotto a ogni esperienza, stagionato in disillusa solitudine, incline a esibire parvenze di durezza cinica in realtà poi stemperate nello struggimento lirico, che rasenta il compiacimento della disperazione. Il modello narrativo poliziesco viene attraversato e rovesciato in maniera non dissimile da come andava verificandosi nella letteratura di Sciascia o Dürrenmatt, salvo ricondurre i motivi del cortocircuito narrativo di genere non tanto alle aporie metafisiche della giustizia, quanto a una più corporale e dolente sociologia urbana.

In una New York onnipresente e mai nominata, Alack Sinner è un poliziotto che getta alle ortiche la divisa nel momento in cui comprende che corruzione e razzismo hanno divorato le forze dell’ordine istituzionali. Neppure quando tenta di riconvertirsi come investigatore privato le cose gli vanno meglio; tant’è che una sorta di riconciliazione con la sua città gli risulta praticabile soltanto in veste di tassista. Non si può restaurare un ordine legale violato, se le cause di prevaricazione e disragione sono così intrinseche ai corpi istituzionali come diffuse nel corpo sociale stesso che dovrebbe essere rimesso in sesto. Ciò non toglie che larghi strati della cittadinanza, i più tribolati, meritino uno sguardo curioso e solidale, perché attraverso di essi, scontornate dalla violenza e dalla ribalderia, si distinguono manifestazioni preziose di autenticità. Nella città oscura di Sinner il nero dilaga, le ombre compatte e i notturni decadenti ingoiano ogni candore; le membra si dilatano e si scontorcono grottescamente; le fattezze appaiono solcate da tratteggi fitti di rughe; la multiformità pervasiva della folla confina spesso Sinner a ruoli liminari di testimone o di mediatore, mentre per suo tramite sono le macchie dello sfondo, i casi insignificanti, le ordinarie abnormità che finalmente si distinguono e vengono accresciute sulle tavole, sorrette da urgenza espressionista di rappresentazione.

 tttttttttJosé Muñoz, Carlos Sampayo, Il caso Fillmore, 1975.

8. Meglio non parlare allo Sconosciuto

In modo non dissimile da quanto realizzato in Alack Sinner, anche Magnus sviluppa con Lo Sconosciuto un progetto di commistione tra narrativa di genere, stavolta un noir dalle forti venature bellico-spionistiche, e un impegno volto al realismo storico-sociale, che solleciti una lettura quanto mai adulta e consapevole. Reduce dal sodalizio con Max Bunker, Magnus riprende importanti tratti compositivi dal suo successo più popolare, il comico-farsesco «Alan Ford», orientando però le atmosfere del racconto verso una serietà tragica, intrisa di economia criminale e di violenza politica. Ne deriva un paradossale equilibrio tra marcata stilizzazione, ai limiti del caricaturale, e racconto d’inchiesta, documentariamente motivato. Le storie dello Sconosciuto hanno una vita editoriale non lineare lungo gli anni 1975-1996, inizialmente presso la Edifumetto di Enzo Barbieri, poi sulle pagine della rivista «Orient Express» per i tipi dell’Isola Trovata, quindi sul supplemento «Strisce e Musica» del «Resto del Carlino», infine sulla rivista «Comix» delle edizioni Panini (Rizzoli Lizard nel 2012 e nel 2013 ha approntato un paio di volumi in cui sono raccolte sistematicamente).

Il rischio e l’esperienza lasciano cicatrici profonde sia nel corpo sia nell’animo di Unknow: anche se ciascun episodio risulta esaurito in sé stesso, la parabola esistenziale che egli disegna da una tappa all’altra della sua carriera appare univoca, avvalorata da reminiscenze e agganci reciproci tra gli intrecci. Al contrario di Alack Sinner, l’antieroe di Magnus è un mercenario spregevole che, pur gravato da fantasmi di colpa, presta i suoi servigi a organizzazioni clandestine di levatura internazionale, tanto più spregevoli di lui. Analogamente ad Alack Sinner, la collocazione defilata del personaggio di riferimento coadiuva l’esplorazione di nessi sociopolitici estesi e ramificati. Nella prospettiva del pesce piccolo, qual è Unknow, è possibile accedere in maniera relativamente distaccata a una panoramica del vasto mare dove sguazzano i pesci grossi. L’apertura planetaria degli intrighi permette di delineare con verisimiglianza i biechi interessi che ruotano intorno a traffici di varia sorta, insieme con gli effetti collaterali prodotti dalla guerra fredda e dai processi di riassetto postcoloniale. In tal senso la vicenda di più ambiziosa stratificazione romanzesca allestita da Magnus, tra ricostruzione storica e reinvenzione nera, appare L’uomo che uccise Ernesto Che Guevara (1986).

fotofoto Magnus, La fata dell’improvviso risveglio, 1983.

9. Il coatto fotostatico può perdere l’aura che non ha mai avuto?

Con le norme di genere si cimentano di nuovo Stefano Tamburini e Tanino Liberatore, dando vita al personaggio più emblematico dell’avanguardia fumettistica aggregatasi presso le redazioni di «Cannibale» e di «Frigidaire»: Ranxerox, il coatto sintetico, che viene rianimato in molteplici avventure sparse tra il 1978 e il 1992 (la collezione completa ne viene fornita sotto il titolo Ranx da Comicon Edizioni, 2012). È la fantascienza a offrire le coordinate compositive entro cui inscrivere un’allegoria androide del fumetto nell’epoca della sua riproducibilità fotostatica. Il genere che meglio può esaltare l’inventività estrosa delle nuvole underground è anche quello che più si presta alle manipolazioni metafumettistiche operate sulla norma di genere stessa. Ecco allora un racconto a fumetti pieno di violenza gratuita e didascalie d’appendice, dove il protagonista robotico è un energumeno assatanato che scorrazza in una Roma multilivello, guidato dalla monomania erotica, dalla brama di sostanze psicotrope, ma soprattutto dalla melensa subalternità sadomasochista nei confronti della sua padroncina Lubna. Cazzi, mazzi, mazzate e bestemmie sono coattamente sintetici, coatto è il canovaccio di smarrimento-ritrovamento-frustrazione secondo cui si snoda ripetutamente il rapporto tra Ranx e Lubna, ma tanto più coatta si mostra la vera umanità, degradata e adulterata, che attornia l’inane protagonista: in un ribaltamento provocatorio dei pregiudizi di scemenza bambocciona, di dozzinalità ripetitiva addossati al racconto misto di parole e disegni.

uuuuuu Stefano Tamburini, Tanino Liberatore, Ranxerox, 1980.

11. Il tempo delle pere

È a un compagno di strada di Tamburini e Liberatore che spetta il compito di traghettare il fumetto dal circo psichedelico dell’underground verso la meditazione lirica e l’esasperazione autobiografica del riflusso: questo il compito assolto da Andrea Pazienza attraverso Gli ultimi giorni di Pompeo, pubblicato nel 1987 presso gli Editori del Grifo (e variamente riproposto, di recente sotto l’etichetta Fandango Libri nel 2011). Della produzione pazientesca anteriore non vengono meno le fisionomie caricaturali, le sagome dinoccolate, le incursioni spiazzanti dei propri fantasmi pupazzettati o dei fumetti serial-popolari. L’armamentario figurativo di Apaz, la sua iconografia demistificatoria, l’egolatria antifrastica sono qui tuttavia resi funzionali a una dominante intimistico-cronachistica, che ripercorre quanto mai prima gli anfratti psicologici del quotidiano e si insinua in una vertiginosa via crucis di consunzione. Il dramma terminale del drogato Pompeo, che tende ad avvitarsi sulle ostensioni autofumettistiche, sulle fantasmagorie nichilistiche dell’io, rinvia ad ogni modo a una storia di tutti, nella misura in cui l’involuzione del protagonista offre l’exemplum catastrofico di intere generazioni. La tavola mima l’immediatezza del carnet di bozzetti e della pagina di diario; vi è disconosciuto il paradigma di una costante gabbia grafica, a favore della libertà di composizione a tutto campo, dove spesso la vignetta singola si espande alle proporzioni della tavola autonoma. Le parole si allargano a occupare gran parte della pagina, al di fuori di ogni necessità mimetica di dialogo; il resoconto verbale schietto si alterna al soggettivismo poetico abbandonato e tracimante, abnorme rispetto a qualunque grammatica. Il volto patibolare del protagonista si rispecchia da una pagina all’altra, ossessivamente mutevole, senza ridursi a illustrazione ma affiancando e urtando le parole secondo modalità di racconto davvero promiscuo e dilacerato.

iiiiiiiiAndrea Pazienza, Gli ultimi giorni di Pompeo, 1987.

Le inclinazioni stilistico-compositive emerse nelle opere a fumetti sin qui prese in esame sono le più diverse; diversi sono gli strappi e le aderenze di ciascuna di esse nei riguardi delle inflessioni narrative brevi, antirealistiche e iterative privilegiate da tanta produzione fumettistica del Novecento. Le differenze e le coloriture peculiari di ognuna ribadiscono tuttavia la comune esigenza del pubblico novecentesco maturo, adulto e meno adulto, di trovare rappresentati con l’immediatezza propria del racconto disegnato-e-scritto gli elementi della propria esperienza corrente, della propria sensibilità storico-esistenziale, come sarebbe accaduto con il graphic novel: associando legittime istanze di ricreazione fantastica, quali sono sempre sostenute dai personaggi di carta e inchiostro, alla mimesi necessitata del mondo di carne e ossa, delle sue asprezze e delle sue ambiguità. 

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NOTA

 

Fotografia di G. Biscardi,  Teatro Mediterraneo Occupato, Palermo 2016.

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