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Fiction 2.0 di Giulio Mozzi: dall’io possibile alla realtà possibile, una nuova generazione di lettori è nell’aria

 Laurana ha da poco pubblicato una nuova edizione della raccolta di racconti di Giulio Mozzi Fiction 2.0, uscita nel 2001 per Einaudi. Parliamo dell’autore che sin dagli esordi (1993) ha (ri)lanciato, in Italia, il genere dell’autofiction: ricordo ancora lo scandalo che provocò con Il male naturale (Mondadori, 1998, Laurana 2011) nell’ambiente letterario, del tutto impreparato a questa novità; la convergenza di autore e personaggio, la sua parresìa – celebre l’incipit di un racconto: «Mi chiamo Giulio e sono un alcolista» –, avevano prodotto quella tipica riattivazione degli atti linguistici che confonde il piano di realtà del lettore e quindi il suo ordine morale. Se è vero infatti che il romanziere moderno e contemporaneo, per evitare carcere e censura ha fatto di tutto per disattivarli – tanto che la più diffusa avvertenza romanzesca è sempre stata “ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale” –, dalla fine degli anni novanta in poi si è accresciuto in tutta Europa (L’avversario di Emmanuel Carrère è del 2000, I soldati di Salamina di Javier Cercas nel 2001) l’interesse per narrazioni che prendono ispirazione proprio da fatti realmente accaduti o da persone esistenti, compresa la pelle dell’autore; diventerà esemplare l’incipit di Troppi paradisi (2006, l’anno di Gomorra): «Mi chiamo Walter Siti, come tutti. Campione di mediocrità.»

Dopo l’uscita nel 1998, fatalmente un deputato leghista accusò Il male naturale di pedopornografia, fece un’interrogazione parlamentare e minacciò denunce: il testo sparì subito dalla circolazione, perfino dal sito della Mondadori che vi aveva pubblicato, con la complicità di Giuseppe Genna, il racconto “Amore” all’origine delle accuse. A parte le acquisizioni più recenti della critica – L’io possibile. L’autofiction come paradosso del romanzo contemporaneo di Lorenzo Marchese è del 2014 –, la vicenda non ha purtroppo aiutato il testo a trovare sin dall’inizio la giusta prospettiva genealogica.

Nel frattempo, tuttavia, la costruzione dell’io possibile lasciava spazio, con Fiction 2.0, alla costruzione della realtà possibile: questa tendenza raggiungerà il suo culmine nell’avvertenza contenuta nel libro d’esordio di Paolo Sortino, Elisabeth (2011, lo stesso anno in cui esce Il demone a Beslan di Andrea Tarabbia): «Sebbene la maggior parte dei personaggi, dei luoghi e delle vicende narrate siano reali, questo romanzo va inteso come opera di fantasia in ogni suo più piccolo dettaglio. I riferimenti onomastici, topografici e storici che coincidono con la realtà rispondono all’esigenza di costruire intorno al drammatico fatto di cronaca dal quale ho preso ispirazione uno schema utile a raccontare esperienze universali. Tra possibilità e scelta si muove ondivaga la totale libertà della mia Elisabeth e degli altri personaggi, per i quali ho inventato una vita che non vuole essere né migliore né peggiore di quella reale, ma solo possibile. Ecco perché, nonostante sia diffusa all’interno del romanzo una certa aderenza al reale svolgimento dei fatti, la presente opera non possiede alcun valore documentario.»

Bandella della nuova edizione di Fiction 2.0: «L’autore dichiara guerra al desiderio di credere che vive in ogni lettore e si diverte, con crudele agilità, a mostrarci come le narrazioni non siano altro, piaccia o non piaccia, che dei gran mucchi di bugie. Salvo colpirci al cuore, da dentro i dedali finzionali, con una freccia emotiva e sentimentale della cui verità no, non si può dubitare.»

Per ricapitolare, Mozzi ha anticipato, sin dai tempi (1993) di Questo è il giardino – dove il racconto di autofiction “Per la pubblicazione del mio primo libro” dialoga da vicino con l’aurorale racconto “Pier a gennaio” di Pier Vittorio Tondelli (1987 su rivista e poi in L’abbandono, 1993) –, l’apparire di un primo filone che si sarebbe imposto, anche commercialmente, una decina d’anni dopo (Gomorra e Troppi paradisi sono del 2006); Fiction 2.0 (2001) compare dieci anni prima del secondo filone (2011): anche per riattivare la valenza politica, in senso sistemico, degli atti linguistici, si è passati dall’io possibile alla realtà possibile nell’arco di cinque anni (2006-2011). Al di là dei risultati formali o commerciali, stiamo dunque parlando di un precursore assoluto: la scrittura di Mozzi reagisce come il pennino di un sismografo molto sofisticato.

Per quanto tempo proseguirà lo sciame sismico, che ha già prodotto un premio Strega e un secondo classificato (Teresa Ciabatti) ancora quest’anno? Prevedo, con buona approssimazione, che il filone dell’autofiction si esaurirà tra il 2026 e il 2031. L’altro, quello della realtà possibile, non ha ancora avuto un campione come Siti che possa storicizzare la data d’avvio e fornire il modello perfetto, ma potrei citare Conforme alla gloria di Demetrio Paolin come un ottimo precedente: se questo libro fosse stato pubblicato con una major avrebbe avuto un diverso piazzamento anche allo Strega. Come faccio a essere così sicuro? Perché Franco Moretti, in “La letteratura vista da lontano”, ha studiato questo fenomeno, statistiche alla mano, e ha scoperto che un avvicendamento così regolare delle forme romanzesche deriva dal succedersi delle generazioni di lettori. Un determinato filone non si esaurisce “per inflazione”, ma perché la generazione di lettori che lo sosteneva non esiste più, è stata sostituita da una nuova. Le grandi case editrici, come d’altra parte le medie e le piccole, in questo senso hanno un deficit di partenza: anche quando fanno ricerca, si limitano a recepire l’esistente e a rilanciare sempre gli stessi temi, gli stessi generi; questa tendenza del mercato all’omologazione, e quella parallela dell’autore all’epigonalità – ossia la tendenza a lavorare su modelli preesistenti –, convergono e producono un’influenza che dura in media 25/30 anni: finché un vecchio filone non si è esaurito e uno nuovo ha preso piede. Insomma, non si può fare la storia delle forme romanzesche e delle generazioni di lettori a loro supporto senza implicare un discorso sulla struttura editoriale: però è vero che se la grande editoria ancora snobba questo secondo filone è perché altri filoni sono ancora troppo forti per dargli spazio.

In ogni caso, la svolta generazionale è nell’aria.

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