Non è un caso che i primi due libri in classifica per lo Strega siano Le otto montagne di Cognetti e La più amata di Ciabatti. Entrambi danno una risposta a una richiesta del mercato: quella dei buoni sentimenti e della edificazione morale da un lato e quella, opposta, di cattivi sentimenti, della provocazione cinica e della esibizione dell’immoralità dall’altro. Sul primo aspetto qualche giorno fa ha scritto su questo blog parole persuasive Demetrio Paolin. Non è una cosa nuova: i buoni sentimenti, da De Amicis alle serie di prima serata nel Primo Programma della TV, hanno sempre avuto facile corso. E, in misura minore ma sempre più crescente, anche le tendenze che speculano invece sull’orrore e sul male (per esempio, oggi, nei programmi di seconda serata della RAI-TV e nelle serie poliziesche, nelle storie di camorra ecc.). Anzi, mi pare che oggi dilaghino due tipi di retorica, diversi ma anche molto simili, che si stanno diffondendo a scapito di modelli più complessi, più contraddittori e, ha detto giustamente Paolin, più problematici: la retorica di una moralità facile, a buon mercato, che si commuove per i soliti “valori”, e la retorica di una immoralità “provocatoria” che li sbeffeggia ed esibisce tale atteggiamento come trofeo o addirittura come protesta contro la ipocrisia dei cosiddetti benpensanti. Ognuna delle due retoriche ha ovviamente i suoi schemi, i suoi luoghi comuni, i suoi procedimenti più o meno scontati. Entrambe obbediscono e si adeguano a un conformismo: quello dei buoni sentimenti e quello, nichilista, di chi gioca a scandalizzare offendendoli e vituperandoli.
Il successo crescente della seconda retorica si presta a qualche considerazione. Ma intanto bisognerà considerare che l’alternativa moralità/immoralità non ha a che fare con la storia estetica dei prodotti artistici (l’arte, diceva Marcuse, «non crea nessun obbligo» e quindi si pone al di là di questo dilemma), ma con quella del gusto, delle inclinazioni del pubblico e degli interessi della industria culturale che li solletica a scopo di profitto, oltre che, ovviamente, con l’effetto che tutto ciò può avere negli autori. Fra l’altro, nelle letterature dell’età contemporanea, da Céline a Houellebecq sino al Littel di Le benevole, e, da noi, al Siti di Troppi paradisi e oggi di Bruciare tutto (o, su un piano molto più modesto, al romanzo di Teresa Ciabatti) non manca certo una inclinazione all’ostentazione del cinismo e della crudeltà. Ma la letteratura, si sa, non può avere limiti di contenuto: può mostrare le vicende della Germania nazista dal punto di vista di un ufficiale delle SS, come fa Littel, o tentare di sdoganare la pedofilia come in fondo suggerisce Siti in Bruciare tutto (seppure con furbizie, mossette ambigue oscillanti fra desiderio di scandalo e prudenza, note a piè di pagina, dediche a don Milani che un grande scrittore si poteva risparmiare).
In una prospettiva non estetica, dunque, ma sociologica la diffusione di una produzione letteraria, cinematografica e televisiva, di marca cinica o “cattiva” appare oggi un evento abbastanza interessante. Anzitutto perché questa tendenza “tira” molto: sembra che il pubblico abbia sempre più bisogno di storie di perversione, di indifferenza cinica, di malvagità, e gli autori e gli editori da un lato vi si adeguano, dall’altro lo fomentano. Ai più, è stato detto, “piace guardare il male”. D’altronde le pulsioni sadiche di ognuno di noi sono note, almeno dai tempi di Freud. Ma esse possono emergere pubblicamente in dati momenti storici (diventando luoghi comuni, momenti di una “egemonia”) e in altri invece restare in secondo piano, latenti o represse. Oggi sono diventate ormai un fenomeno di massa, politicamente trasversale, che non esita a dichiararsi pubblicamente. In varie interviste e presentazioni giornalistiche del proprio ultimo romanzo Walter Siti, scrittore indubbiamente “di sinistra”, provoca il lettore facendogli capire che don Milani, oggi di nuovo agli onori della cronaca grazie alle iniziative di papa Francesco, poteva nutrire una vocazione pedofila (ovviamente sublimandola, aggiunge subito il furbissimo ma prudente provocatore; ma allora che senso ha evocarla in ipotesi e nella ambigua dedica a Bruciare tutto?), così come in televisione è frequente vedere un deputato della Lega, e dunque “di destra”, prendersela col buonismo e col “politicamente corretto” (altro luogo comune di questo tipo di retorica) per far passare un razzismo sempre più dilagante.
Probabilmente oggi, nell’azzeramento di prospettive in cui viviamo, immersi nella generale indifferenza, la perversione, il male, la cattiveria tendono a scolorirsi come problema di rilevanza etica e collettiva e, solleticando il diffuso narcinismo (narcisismo+cinismo) individuale, a diventare mero spettacolo, divertimento. Se ognuno vuole solo affermarsi come singolo e godere della propria volontà di potenza, e ogni meccanismo sociale lo spinge in tal senso, non c’è da stupirsi se le tendenze sadiche (il “risentimento”, l’aggressività, il godimento sadomasochista) vengano alla luce in modi così evidenti. Anche in questo campo, insomma, si assiste alla caduta di ogni mediazione: tra l’io e il mondo “tertium non datur” (dove il “terzo” era, tempo fa, la politica o la religione o comunque un’istanza collettiva o comunitaria).
Nella vita di oggi, così totalmente desacralizzata e desocializzata, non restano che il rimpianto per i “buoni sentimenti” di un tempo o la loro irrisione. Trovano così un lasciapassare la mancanza di pietas e l’odio per i genitori nei romanzi di Siti e di Ciabatti, così come, all’opposto, l’amore per la natura e l’esaltazione di una innocenza o purezza di luoghi e di persone in Le otto montagne di Cognetti. Ma se De Amicis ha fatto il suo tempo, anche “bruciare tutto” è un emblema d’antan, che sa di Marinetti e di riti avanguardistici che oramai hanno un secolo di vita. Con una differenza però: bruciare tutto poteva essere allora il programma di una élite intellettuale, oggi è la tendenza più o meno inconscia di grandi masse. Vellicarne la pancia (gli istinti, le pulsioni e le perversioni) è indubbiamente una tendenza profonda dei “populismi” odierni. Che lo sia anche della letteratura non è un buon segno.
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Editore
G.B. Palumbo Editore
Due conferme
EGNALAZIONE
* Ci trovo due conferme:
– che ho ragione a dire: né coi buonisti né coi cattivisti (sulla questione delle nuove immigrazioni e non solo);
– che la categoria del ‘nichilismo’ (sia per W. Siti che è “di sinistra” e sia per altri che pencolano ” a destra”) è utile a indicare certe zone *off limits*, anche quando stessimo tutti brancolando nel buio e la “nostra storia” fosse soltanto tutta un campo di “rovine”. [E. A.]
[b]Bruciare tutto?[/b]
Scritto da Romano Luperini
(http://www.laletteraturaenoi.it/…/l…/679-bruciare-tutto.html)
Stralci:
1.
mi pare che oggi dilaghino due tipi di retorica, diversi ma anche molto simili, che si stanno diffondendo a scapito di modelli più complessi, più contraddittori e, ha detto giustamente Paolin, più problematici: la retorica di una moralità facile, a buon mercato, che si commuove per i soliti “valori”, e la retorica di una immoralità “provocatoria” che li sbeffeggia ed esibisce tale atteggiamento come trofeo o addirittura come protesta contro la ipocrisia dei cosiddetti benpensanti. Ognuna delle due retoriche ha ovviamente i suoi schemi, i suoi luoghi comuni, i suoi procedimenti più o meno scontati. Entrambe obbediscono e si adeguano a un conformismo: quello dei buoni sentimenti e quello, nichilista, di chi gioca a scandalizzare offendendoli e vituperandoli.
2.
Probabilmente oggi, nell’azzeramento di prospettive in cui viviamo, immersi nella generale indifferenza, la perversione, il male, la cattiveria tendono a scolorirsi come problema di rilevanza etica e collettiva e, solleticando il diffuso narcinismo (narcisismo+cinismo) individuale, a diventare mero spettacolo, divertimento. Se ognuno vuole solo affermarsi come singolo e godere della propria volontà di potenza, e ogni meccanismo sociale lo spinge in tal senso, non c’è da stupirsi se le tendenze sadiche (il “risentimento”, l’aggressività, il godimento sadomasochista) vengano alla luce in modi così evidenti. Anche in questo campo, insomma, si assiste alla caduta di ogni mediazione: tra l’io e il mondo “tertium non datur” (dove il “terzo” era, tempo fa, la politica o la religione o comunque un’istanza collettiva o comunitaria).
Nella vita di oggi, così totalmente desacralizzata e desocializzata, non restano che il rimpianto per i “buoni sentimenti” di un tempo o la loro irrisione. Trovano così un lasciapassare la mancanza di pietas e l’odio per i genitori nei romanzi di Siti e di Ciabatti, così come, all’opposto, l’amore per la natura e l’esaltazione di una innocenza o purezza di luoghi e di persone in Le otto montagne di Cognetti. Ma se De Amicis ha fatto il suo tempo, anche “bruciare tutto” è un emblema d’antan, che sa di Marinetti e di riti avanguardistici che oramai hanno un secolo di vita. Con una differenza però: bruciare tutto poteva essere allora il programma di una élite intellettuale, oggi è la tendenza più o meno inconscia di grandi masse. Vellicarne la pancia (gli istinti, le pulsioni e le perversioni) è indubbiamente una tendenza profonda dei “populismi” odierni. Che lo sia anche della letteratura non è un buon segno.
Qualcosa dovrà rimanere
In effetti è vero: o nichilisti o buonisti.
E’ una tendenza non delle migliori, certo, ma se non altro abbastanza resistente a non portare squilibri e prevaricazioni dell’una o dell’altra parte. Perché sarebbe un brutto scenario quello in cui uno dei due gruppi predomina.
Troppi nichilisti sarebbero osceni, pesanti, violenti, e la letteratura stessa soffrirebbe, sprofonderebbe nella terra; così al lettore toccherebbe l’insano compito di dissotterrarla. E chi aiuterebbe mai una letteratura “del male”?
Ma al tempo stesso troppi buonisti sarebbero disgustosi, dolciastri, patetici e impotenti, e la letteratura stessa si anestetizzerebbe, fino a diventare un corpo morto, o meglio vegetale. Chi la sveglierebbe allora dal suo torpore, ammesso che sia ancora viva?
Insomma, la letteratura del male e del bene sono ottime per il mercato, perché dividono pubblico e popolo sul gusto.
Certo, non c’è più mediazione così, e a sua volta non c’è modo di misurare lo stile: o sei provocatore cinico e diabolico, o sei un santerello buonista e infantile. Tanto nessuno dei due è critico come dovrebbe essere.
Se “rompi le palle”, fai scontento l’editore, fai innervosire il pubblico e il tuo libro si ritrova nel delirio della polemica mediatica. E cosa c’è di meglio di “rompere” con una critica di alto livello, serrata, senza pietà e scrupoli?
Manca la critica, quella di mettere in scena un ambiente serio, reale, concreto, e poi, tra personaggi o tra eventi, mettere in luce ciò che non funziona, il problema, e di metterlo chiaro e tondo, senza sfumature crudelmente compiaciute o bonariamente dipinte.
Sarebbe l’ideale una letteratura in cui ritorna l’atto critico (tanto rivendicata dal Ferroni di “Scritture a perdere”). Per me non cambia se sia fatta con violenza o meno: la moderazione funziona poco, secondo me; meglio essere diretti, anche brutali. Deve essere però costruttiva, senza andare a finire nelle ormai classiche conclusioni apocalittiche: almeno un minimo di speranza dovrebbe essere accettabile, o quantomeno una soluzione temporanea, o un consiglio.
Da questo punto di vista, contrariamente a quanto afferma l’autore dell’articolo, io credo che Siti, con tutti i limiti possibili, possa dare qualcosa di più. Nel senso che un appiglio critico lo può fare, ed essere ben al di sopra del panorama nostrale.
Premetto che di Siti ho provato a leggere “Troppi Paradisi”. Ho provato, perché se da una parte il contenuto è geniale (trash della TV, underground della borgata, il sesso mercificato e la sensibilità distrutta dalla mediocrità per citare alcuni temi), dall’altra la scrittura è asettica, anzi secca, ma non di quell’asciutto emotivo, violento, forte: è buttata al vento, senza resistenza e robustezza. In pratica ha rovinato un’ottima idea esprimendola male.
“Bruciare tutto” si avvicina alla buona espressione, e il contenuto è ancora più potente, anche se terribile. Mentre tutti parlano di fuffa, o si limitano a questioni di nicchia o abbastanza ristrette, Siti gioca contro l’argomento mediatico di grande presa di pubblico, come la pedofilia negli ambienti ecclesiastici, e mette in scena una “possibilità” (benché esasperata in alcuni punti, come il desiderio sessuale voluto più dal bimbo che dal prete, quasi richiamando la Lolita di Nabokov). Questa possibilità ha un esito mostruoso, e da questo finale sembra immediata l’intenzione dell’autore (o forse l’intenzione letta dal lettore nella sequela degli eventi): se tra la morte e la pedofilia si potesse scegliere, cosa si preferirebbe?
E’ una condizione impossibile, una sfida totale alla morale.
E’ dei nichilisti provocatori questa tecnica. Ma io credo che sia dello scrittore serio, perché il nichilista non valuta i valori alla fine: li distrugge e basta. Quello serio li valuta, ma come un buon analista, sa come metterli in relazione e in reazione col resto. Lo scrittore in questo caso ha messo in gioco la morale, e l’ha fatta scontrare ad un esperimento sociologico.
Tra l’altro già visto. Non era forse la stessa violenza della domanda fatta negli anni Novanta da Busi, in televisione, sul fatto se sia riprovevole che un adulto masturbi un bambino di 13 anni?
E’ una possibilità, un modo di pensare diverso. L’andamento è nichilista, e cinico, ma l’idea non è sbagliata: con un argomento mediatico del genere mette davanti l’audience aggressiva, gli opinionisti dei casi mediatici e la moralità benpensante (come tale, che pensa bene, ma solo al bene, mai ad altro). Gioca sulla morale e sull’argomento critico del momento, e mette tutti in delirio, perché non si può rispondere, perché è una situazione oscena.
Per quanto possa essere maligna, la domanda va sempre fatta, e se non c’è risposta forse va bene così: non è necessario rispondere subito. Ma il problema va affrontato.
Lo svantaggio di Siti, come l’autore ha notato, è la tendenza cinica, di irrisione, non costruttiva. Già.,. Anche riprendendo la mia considerazione sulla buona letteratura, è facile notare come Siti, per la sua conclusione apocalittica, non ci rientri. Ma infatti ho detto che può dare qualcosa di più. Il finale è terribile, lascia presagire il peggio. Ma per la situazione generale lui, solo dando risalto a questi argomenti, è ben al di sopra di tanti altri. Basta solo che tenda al costruttivo, che abbandoni la deriva distruttiva. Così come i nichilisti: se abbandonassero questa tendenza, sarebbero i migliori scrittori in circolazione. Perché personalmente i buonisti sono già “andati”; nessuno li potrà salvare. Forse un miracolo li potrà salvare. Ammesso che esistano.