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diretto da Romano Luperini

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Media del 6 e ammissione all’Esame di Stato. Che cosa è davvero in gioco?

Sì, ma che cambia?

Lo confesso: in un primo momento non mi sono appassionato affatto alla polemica molto internettiana sui nuovi criteri di calcolo della media per l’ammissione all’Esame di Stato, previsti da una delle deleghe alla legge 107. Non mi entusiasmava il derby tra “di questo passo dove andremo a finire?” e “basta con la solita mastrocolite”. Non basta una legge per aprire gli abissi infernali e, d’altra parte, diffido per principio delle accuse di conservatorismo. Soprattutto, liquidavo istintivamente la questione come irrilevante nominalismo.

Pensavo: che cosa cambia nella sostanza ammettere alla maturità con la sufficienza in ciascuna materia o con la media matematica del 6 fra tutte le materie? Il Consiglio di classe può già ora decidere di alzare uno o più 5 al voto più alto, per far tornare i conti. Arrivati alla fine di un intero percorso scolastico, prima di decidere di non lasciare a uno studente nemmeno la possibilità di tentare l’esame, ci si pensa bene.

Ma poi mi è capitato di leggere, su Facebook, il post di un ex-collega di matematica:

Ho ipotizzato, per l’allieva Rossi Mariolina, la seguente plausibile dettatura dei voti allo scrutinio finale: Italiano 4; Storia 6; Inglese 5; Diritto 6; Matematica 4; Scienze 5; Educazione fisica 8; Voto di condotta 10; Media dei voti 6,00. Rossi Mariolina è ammessa!

Meditando queste parole e approfondendo la questione, ho cominciato a ricredermi sulla sua irrilevanza.

Qualcosa forse cambia davvero

Noi insegnanti sappiamo che, con gli attuali criteri, l’ammissione di Mariolina non sarebbe garantita e, considerato il quadro dei suoi voti, non senza buone ragioni. Volendo invece ammetterla, si dovrebbero adeguare i voti verso l’alto: e sarebbe un’azione pedagogicamente magnanima.

Con i criteri proposti nella delega, al contrario, non potendo che calcolare la media effettiva, non solo si abbasserebbe la soglia della sufficienza, ma soprattutto si introdurrebbe una rigidità che prima non c’era: esclusa per principio la discrezionalità (no: libertà) del Consiglio di classe, l’ammissione sarebbe decisa per forza di legge. (Naturalmente a meno di non voler ritoccare i voti effettivi verso il basso, prima di calcolare la media, cosa che equivarrebbe a un falso in atti pubblici).

Quello che comunemente chiamiamo “voto di Consiglio” (in modo ambiguo, perché in effetti tutti i voti sono “di Consiglio”) è infatti di norma usato dai docenti per “ammorbidire” la rigidità di una valutazione basata su medie matematiche, per non condannare la realtà dello studente alle forche caudine della forma burocratica. Non è un male che ai docenti sia riconosciuta questa libertà.

Qualcosa cambia davvero, ma non da oggi (e in che direzione?)

Ma anche queste mie deduzioni sono troppo semplicistiche, parziali. Proviamo allora ad allargare l’orizzonte.

L’ammissione con la sufficienza in tutte le materie è stata introdotta, in effetti, solo nella esame del 2009/10 da Mariastella Gelmini. Con questa riforma si tornerebbe, quindi, allo stato precedente.

Lo scopo della Gelmini era di reintrodurre severità nella valutazione (o serietà, a seconda dei punti di vista politici); ma, come sappiamo, tale rigore è stato abbondantemente reso ineffettuale dalla discrezionalità (o libertà, a seconda dei punti di vista politici) dei docenti e dei Consigli di classe di emendare le insufficienze.

Dopo le polemiche sui nuovi criteri di ammissione, la responsabile della scuola del PD, Francesca Puglisi, ha scritto al Corriere della sera in loro difesa. L’argomento usato è interessante, perché va oltre il tema dell’ipocrisia dei voti artatamente portati alla sufficienza e introduce un ulteriore elemento, il criterio dell’equità:

È una scelta di buon senso non far perdere l’anno ad un ragazzo che ha un’insufficienza ma che va bene in tutte le altre discipline, ma un’ingiustizia vera per quei compagni di classe che quel 6 se lo erano meritato, invece di vederselo attribuire dal consiglio di classe. Cosa cambia con la nuova maturità? La pagella riporterà con chiarezza l’eventuale insufficienza, il credito sarà dato dalla media dei voti e peserà di più sul voto finale. Un criterio dunque senz’altro più trasparente per certificare conoscenze, abilità e competenze dei ragazzi.

Le cose si sono complicate. Proviamo a ricapitolare. La decisione di cancellare la norma della Gelmini sembra consistere nella semplice rimozione di un apparato barocco di stucchi che si è rivelato sia inutile (i 5 diventano comunque 6) che iniquo (gli studenti con il 5 portato a 6 sono indistinguibili da quelli che al 6 ci sono arrivati da soli, anche nel senso molto concreto che il loro credito scolastico è lo stesso). Tuttavia in questa operazione si corre anche il rischio, come spero di aver mostrato, di togliere uno strumento di flessibilità e di libertà dalle mani dei docenti. Soprattutto, non si tratta affatto di una norma di semplice buon senso, di una presa d’atto della realtà, ma di una norma che cambia passo, che nasce da un’altra logica della valutazione.

Non è un caso che la questione posta dalla presenza di insufficienze allo scrutinio venga di solito risolta ipotizzando il caso di uno studente che non ne abbia più di una o due (come facevo io prima di prendere sul serio la questione e come fa Puglisi: «È una scelta di buon senso non far perdere l’anno ad un ragazzo che ha un’insufficienza ma che va bene in tutte le altre discipline»): ma Mariolina, che viene promossa solo perché gli insegnanti di educazione fisica tipicamente ricorrono solo alla parte alta della tastiera dei voti e perché nella media si calcola anche il voto di condotta, che è sempre fuori scala?i

Non parliamo poi del fatto che sembra tutt’altro che pacifica l’interpretazione di che cosa si debba intendere per “equo”: per qualcuno promuovere Mariolina potrebbe non esserlo, proprio per la ragione che è ingiusto nei confronti di chi ha raggiunto la sufficienza. Di solito si obietta a questa considerazione che ogni studente deve essere valutato per se stesso e che il Consiglio di classe non fa paragoni. Ma in effetti, quando noi docenti valutiamo, cerchiamo di trovare il giusto equilibrio tra valutazione del caso singolo e irripetibile e valutazione equa all’interno del gruppo. Ed è una delle cose più difficili: applichiamo, a spanne, a volte un criterio a volte l’altro. Iniquo? Umano.

Insomma, se il dibattito è stato tra permissivismo e severità, bisognerà ammettere che discriminare tra criteri di ammissioni giusti o ingiusti, progressisti o conservatori, trasparenti o ipocriti, buonisti o rigorosi, non è così facileii.

Un nuovo paradigma della valutazione

Ma il nocciolo della questione non sta nemmeno qui, giace ancora più a fondo: nella nuova logica della valutazione che ho già richiamato. Le contraddizioni in cui si cade difendendo questa o quella posizione dipendono dal fatto che ci troviamo su quello che l’epistemologia kuhniana chiamerebbe «bilico di paradigma», ovvero una fase di transizione tra due paradigmi diversi. Tipico di questa fase è il fiorire di spiegazioni ad hoc per dare ragione di un numero sempre maggiore di incongruenze del paradigma di riferimento, incongruenze che il nuovo paradigma interpretativo risolve. Nel caso della scuola, siamo in bilico tra un paradigma “della selezione” e un paradigma “della certificazione”.

La lettera della Puglisi è un buon documento di questo stato di cose. Anche solo per ragioni di efficacia dell’argomentazione, essa tiene ad attestarsi dentro il vecchio paradigma (la scuola discrimina chi raggiunge gli obiettivi e chi no), cercando di dimostrare che la nuova norma è non solo più giusta, ma anche più rigorosa, essendo appunto in grado valorizzare chi ha raggiunto la sufficienza. Ma accanto a questi argomenti, in quella lettera si usano anche parole e concetti del nuovo paradigma, come «certificare conoscenze, abilità e competenze dei ragazzi».

Quale che sia il giudizio su questa trasformazione, la logica profonda della valutazione ormai è avviata su questa strada. Con la riforma dei criteri di ammissione siamo di fronte a un episodio dello sforzo – in atto da tempo e rispetto a cui la Gelmini rappresenta quindi una parentesi – di trasformare la scuola da sistema che seleziona a sistema che include, da sistema che sancisce (cioè distingue) a sistema che certifica (cioè constata), da sistema che dichiara adulti e “maturi” a sistema che si limita a certificare le competenze in uscita (con il correlato necessario – prossimo? – dell’abolizione delle bocciature e del valore legale del titolo di studio), da sistema centrato su valutazione formativa e sommativa a sistema che ricorre esclusivamente alla prima, salvo però introdurre un forte controllo esterno degli apprendimenti con le rilevazioni Invalsi.

Questioni enormi, che non affronterò. Però questa è la reale posta in gioco. Per scoprire chi sia stato il primo a lanciarla, bisognerebbe risalire fino al nome di Luigi Berlinguer, che infatti è intervenuto a dare il proprio sostegno alle deleghe con un’intervista. (Più che quest’ultima però, chi volesse approfondire può leggere alcune sue dichiarazioni del 2012, assai più eloquentiiii).

Rasoterra

Ma anche se tra qualche anno ci limiteremo a certificare le competenze degli allievi, il problema della valutazione, qui al rasoterra della nostra quotidianità, non cambierà poi molto.

Il voto infatti è un vero e proprio dispositivo sociale dai molteplici strati, perché agisce sullo studente in quanto persona (aumentandone o diminuendone autostima ed autoefficacia, fornendogli una descrizione di sé e delle proprie capacità, …), sullo studente in quanto soggetto sociale (tramite il voto si sancisce se l’acculturazione è avvenuta in modo completo e se lo studente è pronto per la società e il mondo del lavoro), sul rapporto tra studente e docente (il voto è una sanzione del raggiungimento degli obiettivi che il docente ha stabilito, dunque è uno strumento di potere, nel senso neutro del termine; è un feedback che l’insegnante dà allo studente per migliorarsi, dunque ha valore formativo; è un premio e uno stimolo, dunque è uno strumento di motivazione).

Già oggi, anche se di fatto il voto è per legge uno strumento di sanzione e selezione (promuoviamo e bocciamo), ne facciamo un uso che è pure orientativo, formativo, constatativo (a beneficio interno però, degli studenti stessi e delle loro famiglie: la certificazione vera e propria cambierebbe radicalmente questo stato di cose). Così domani, anche se “certificheremo le competenze”, la valutazione continuerà ad essere uno strumento che noi adulti usiamo per pungolare, motivare, premiare, punire, facendoci carico del peso umano della relazione educativa, della sua contraddittorietà, della sua asimmetria, della sua, se necessario, durezza: tutte cose che nessuna logica della mera “constatazione” o “certificazione” degli apprendimenti potrà mai cancellare. Noi insegnanti, ieri oggi domani, non siamo né mai saremo una variabile esterna e algida della valutazione.

 

NOTE

i L’impasse potrebbe essere risolta solo: 1) tornando a scorporare la condotta dalla media (altra decisione non solo sterile, ma controproducente rispetto ai propri stessi fini, della Gelmini: voleva mettere su il muso duro con gli studenti, ha finito per far loro un favore); 2) facendo sì che tutti gli insegnanti, anche i colleghi di educazione fisica, arte, … comincino a ricorrere all’intera gamma dei voti (ma come si scalfiscono le abitudini consolidate?). Così Mariolina sarebbe bocciata. Il punto in discussione però è proprio questo: ma la scuola deve davvero bocciare Mariolina?

ii A complicare il quadro, chi volesse potrebbe leggere questa analisi del 2007 (al Ministero c’era Fioroni). La Gelmini ancora era di là da venire, ma i conflitti di interpretazione sulle modalità di ammissione previste dalla legge vertevano già su questo problema: i voti insufficienti devono essere lasciati in pagella o portati a 6?

iii Andrà anche ricordato che nella sua riforma, che ha introdotto l’“Esame di Stato”, l’ammissione all’esame era vincolata alla sola frequenza dell’ultimo anno, senza scrutinio del Consiglio di classe (art. 2 della Legge n. 289 del 12-12-1997).

 


Immagine: Alessandro Piangiamore, La cera di Roma #5 (again), 2012-2014; La cera di Roma #12 , 2014. 

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