Grazie maestro. Tullio De Mauro per la scuola
La perdita di un Maestro
La mattina del 5 gennaio 2017 moriva Tullio De Mauro.
La mia commozione, profonda, è stata quella, immediata, di tantissimi altri. Quando un Maestro ci lascia, ci si sente più soli, presi dal dubbio di riuscire a camminare nella direzione giusta, a spiegare accadimenti nella maniera illuminante con cui il Maestro ci aveva aiutato a fare.
La lettura dei tantissimi messaggi che nei social hanno dato voce allo sgomento, al dolore di tanti (sembra che i Grandi non debbano mai sparire), ha trovato in queste parole la sintesi perfetta di quello che Tullio De Mauro è stato: «Un democratico, autentico». «Autentico» è l’aggettivo che segna la linea di demarcazione tra chi parla di democrazia, di comportamenti democratici, e chi, come De Mauro, lucidamente ha indicato la strada perché la democrazia, la giovane democrazia italiana, potesse trovare alimento attivo, riflessivo, partecipativo nei suoi cittadini: l’educazione linguistica democratica.
De Mauro e l’educazione linguistica democratica
Erano i primi anni Settanta e da circa 10 anni la riforma della scuola media – la scuola media unificata – che elevava l’obbligo scolastico a 14 anni, aveva portato nelle aule un numero crescente di studenti, ai quali tutti insegnare, ugualmente, a «leggere, scrivere e far di conto». I primi risultati nazionali volti a misurare gli esiti della riforma furono quelli dell’indagine IEA degli anni 1970 e 1971, analizzati nei due anni successivi; fecero emergere dati preoccupanti sia tra gli alunni di 10 anni, che dei quattordicenni e dell’ultimo anno delle superiori. In particolare era la «Comprensione della lettura» che faceva registrare indici percentuali positivi molto bassi, e questo preoccupò particolarmente politici e studiosi del tempo.
Quanto intanto si dibatteva all’interno della SLI, nata nel 1967, e che ebbe tra i padri fondatori Tullio De Mauro che in quegli anni ne era il Presidente, e poi del Giscel, nato nel 1973 con primo Presidente ancora Tullio De Mauro, e tra i fondatori – e tra questi anche Tullio de Mauro – del primo nucleo del CIDI, nato a Roma nel 1972, metteva al centro l’educazione linguistica da insegnare, la linguistica da esplorare e conoscere, facendo incontrare il “vecchio continente” con i suoi teorici del funzionalismo, e i post strutturalisti del “continente nuovo”, dopo decenni di lontananza della cultura italiana dalle analisi della filosofia del linguaggio.
De Mauro e le Dieci Tesi per l’Educazione linguistica
Questo affascinante momento storico ebbe nelle Dieci Tesi per l’Educazione linguistica redatte da Tullio De Mauro1 nel 1975, l’espressione più alta, epistemologica, didattica e politica insieme. La questione di fondo riguardava infatti il δεμοσ: come rendere ogni cittadino sovrano e non suddito, capace di accedere da solo alla conoscenza, di muoversi agilmente nei meandri della vita quotidiana che lo pone dinanzi, mille volte, alla necessità di comprendere e produrre atti comunicativi. Perché «è solo la lingua che fa eguali» 2. Occorreva per questo rifondare l’insegnamento del sistema lingua, se si voleva fondare la democrazia autentica; occorreva essere docenti capaci di ascoltare i propri allievi mentre parlavano, leggevano, scrivevano, senza essere ingabbiati dentro assetti teorici sovrastrutturali, se si voleva che la giovane Italia repubblicana, democratica, coltivasse quello che oggi si chiamerebbe ‘capitale sociale’ e che altri non è che una società sana, vivace, saggiamente competitiva in una prospettiva di crescita civile, culturale, umana. Potrebbe sembrare esagerato pensare che l’educazione linguistica democratica possa essere responsabile di questo, ma lo è, perché
lo sviluppo delle capacità linguistiche affonda le sue radici nello sviluppo di tutt’intero l’essere umano, dall’età infantile all’età adulta, e cioè nelle possibilità di crescita psicomotoria e di socializzazione, nell’equilibrio dei rapporti affettivi, nell’accendersi e maturarsi di interessi intellettuali e di partecipazione alla vita di una cultura e comunità 3.
De Mauro e la scuola dell’uguaglianza
La pubblicazione delle Dieci Tesi non rese più possibile pensare che la parola, usata bene e compresa bene, potesse solo essere appannaggio di pochi. Tullio de Mauro e quanti con lui cominciarono a ragionare su queste questioni nelle scuole, nelle Università, nelle Associazioni caricarono di grande responsabilità etica chi della formazione dei cittadini doveva farsi carico, ad ogni livello, dall’insegnante al Dicastero preposto.
I programmi del 1979 che riguardarono la scuola media e che per la prima volta coniugarono formazione e istruzione, così come i programmi del 1985 della scuola elementare, assorbirono moltissimo dell’impostazione delle Dieci Tesi, o, di più, del presupposto storico, rivoluzionario da cui avevano preso le mosse cioè dal considerare che le parole, tutte, si riferiscono ad: affezioni dell’anima che sono le stesse per tutti e costituiscono immagini di oggetti che sono gli stessi per tutti (Aristotele, Logica). Pertanto solo un «Aristotele assai mal capito»4 poteva generare la convinzione di scardinare questa uguaglianza consustanziale alla natura umana, dalla quale discende che parimenti tutti possono e devono essere condotti a potere esercitare con consapevolezza comunicativa la propria cittadinanza.
La lezione di De Mauro
Questa è la grande lezione del Maestro Tullio De Mauro, che ha continuato nei decenni a tenere viva attraverso i suoi studi scientifici, la sua umanità, il suo mettersi al servizio delle Istituzioni; con la sua preoccupazione espressa in ogni dove circa l’analfabetismo di ritorno, quello per cui solo circa il 30% degli italiani adulti è in grado di leggere e comprendere testi di vario tipo, epifenomeno che sta segnando la nostra società italiana da circa un ventennio a questa parte. E anche in questo caso non sembri esagerato collegarlo al fatto che le politiche scolastiche, in Italia, non hanno più garantito che le scuole siano presidio di democrazia, agendo con riforme, interventi, mosse in avanti e contromosse, che, se in qualche caso hanno mostrato e mostrano aspetti apprezzabili, non sono assolutamente riusciti a garantire la ragione per la quale ha senso che ogni scuola esista, cioè la formazione del civis, capace di esercitare diritti e doveri e di partecipare alla vita delle comunità democratiche dentro la società.
E per tali ragioni penso che non per caso Tullio De Mauro, con un po’ di tristezza che si poteva cogliere nel suo sguardo, al Convegno Nazionale del Cidi del 2016, dichiarava che un’indagine recente operata dal GISCEL aveva messo in luce che solo il 20% dei docenti di mezza età intervistati ricorda le Dieci Tesi e che tra loro solo il 12% era in grado di citare esperienze didattiche ad esse ispirate5. Un dato, questo, che preoccupa chi scrive, per il timore che con l’educazione linguistica democratica dimenticata, ci si dimentichi completamente che «la società è in noi con la sua cultura, le sue leggi, il suo linguaggio, i suoi costumi»6 . Non avere la possibilità di ascoltarla, di leggerla, di alimentarla, ci porterà nella condizione di non poterne essere né padri, né figli. Solo sopravvissuti. L’intera vita di Tullio De Mauro ci indica di resistere e di credere che una via di fuga è possibile. Grazie Maestro.
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Il testo originale è pubblicato in T. De Mauro, M. Lodi, Lingua e dialetti, Roma, Editori Riuniti 1993.
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In Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 2016.
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In “Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica”, capo II
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In “Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica”, capo VII, D,c
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Convegno Nazionale del CIDI, Napoli, 20 febbraio 2016 “Una sfida ancora aperta. A quarant’anni dalla pubblicazione delle Dieci Tesi per una Educazione linguistica democratica”, Report di Rosanna Angelelli, Gloria Calì, Agata Gueli in http://www.insegnareonline.com/rivista/oltre-lavagna/sfida-aperta
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E. Morin, Sette lezioni sul pensiero globale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016.
Fotografia: G. Biscardi, Palermo 2006, scolaro
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