
Misurare o valutare? Il dibattito su Invalsi e voti del Sud e del Nord
Il MIUR ha fatto sapere che le Regioni con il maggior numero di ‘super bravi’ all’Esame di Stato conclusivo degli studi sono Puglia (934 lodi), Campania (713), Sicilia (500). Tutta l’estate è stata occupata dal solito dibattito pubblico alimentato dal sospetto che ci sia qualcosa che non va in questa scandalosa differenza di risultati. I governatori del Nord urlano allo scandalo perché il rigore delle scuole nordiste penalizzerebbe gli studenti nell’accesso alle Università, mentre il Sud sarebbe avvantaggiato da criteri di valutazione di manica più larga. E si aggiunge che l’inattendibilità delle valutazioni del Meridione sarebbe confermata dal rovesciamento di risultati sancito invece dalle prove Invalsi, dove gli studenti del Sud invece risulterebbero nettamente più scarsi. Fin qui la chiacchiera pedagogico-mediatica.
C’è bisogno a mio parere di fare qualche passo in avanti nella riflessione, che pare inquinata da alcuni apriori indiscutibili. E che vanno invece discussi.
Il primo apriori è quello che la valutazione deve essere “oggettiva”. Vera chimera, per fortuna. Se le valutazioni scolastiche fossero oggettive, potremmo mandare a casa i docenti e affidarci, visto che ormai è di moda, ai famosi algoritmi che dicono “la cosa com’è”. Il secondo apriori riguarda la differenza tra Nord e Sud. Non è possibile che il Sud superi il Nord (e comunque per inciso ciò non è dimostrato dalla mera maggiore quantità di lodi). Il terzo apriori, collegato al secondo, è che la verità stia nei risultati delle prove Invalsi.
Primo apriori. Misurare e valutare sono due cose diverse. Un tavolo di due metri per due è altra cosa da un “buon” tavolo. Sono piani diversi. Bisogna intendersi, a scuola, su cosa bisogna rilevare agli Esami di Stato. Se si vuole soltanto dire che il tavolo é due metri per due, bisogna abolire le parole “bravo”, “eccellente”, “meritevole“, “lode”, perché sono parole “valutative” e possono essere usate soltanto quando si guarda in faccia l’allievo, si conosce la sua storia, il contesto in cui ha studiato. Valutare è contestualizzare, interpretare, assegnare il merito. Il merito è frutto di un ragionamento non di un calcolo numerico.
Secondo apriori. Al Nord gli studenti sarebbero più bravi che al Sud. E’ vero, perché al Nord, generalmente, le scuole funzionano meglio. Ma questo non significa che sono più bravi. Significa che hanno più opportunità e riescono a disporre di condizioni di contesto che agevolano lo studio e l’apprendimento. La bravura di risultato è altra cosa dalla bravura di merito. La prima discende da mere constatazioni quantitative di prodotto. L’altra invece proviene da più complesse considerazioni attinenti ai processi attivati a partire dalle condizioni di partenza. Quindi nessuno è più bravo di nessuno. Anzi, nessuno è “più” di nessuno. A realtà diverse si adattano criteri di valutazione diversi.
Terzo apriori. Invalsi è un dispositivo che rileva in modo oggettivo e perfettamente (si fa per dire) misurato alcune abilità degli alunni. Se pertanto Invalsi la dice in un modo e la ex-maturità la dice in un altro modo ci sarebbe contraddizione. E se c’è contraddizione deve avere ragione Invalsi. Ma Invalsi, a dispetto del suo acronimo, non valuta. E non valuta perché Invalsi non guarda in faccia gli studenti che testa, mentre i commissari valutatori li guardano. Certo, ai commissari occorrono anche evidenze, informazioni, argomentazioni. Ma di per sé non bastano per dire se un alunno è bravo, o quanto è bravo. Le evidenze attendono una lettura, una chiave interpretativa. E questa lettura possono produrla soltanto umani in carne e ossa. Fallibili quanto vogliamo, ma molto più capaci di evitare di far parti uguali tra disuguali.
Discussi gli apriori, occorre aggiungere qualcosa.
Le prove Invalsi vengono somministrate quando i ragazzi hanno quindici anni, cioè in seconda. I risultati di cui qui si parla riguardano la maturità. Come dire che a quindici anni comincia una gara di corsa in cui una parte dei concorrenti parte in posizione parecchio più arretrata. E non certo perché quei concorrenti sono meno dotati dei colleghi più fortunati. Ma semplicemente perché la Costituzione, a dispetto dell’art. 3, non ha rimosso un bel niente. Alla fine della corsa avviene ovviamente che la parte che ha goduto il vantaggio di partire più avanti (dispari opportunità) arriva al traguardo, mentre la restante parte non arriva al traguardo ma nello stesso tempo previsto compie un percorso più lungo della prima. Qualcuno vorrebbe negare che chi ha compiuto un percorso più lungo sia da considerare “bravo” e “lodevole”? Oppure dovremmo mettere il notaio Invalsi anche agli Esami di Stato per sentirci raccontare l’ovvio: cioè che al traguardo è arrivata una parte e non l’altra?
Fuor di metafora, se al Nord l’edilizia scolastica, lo status economico delle famiglie, l’efficienza degli enti locali sono superiori, i risultati devono essere superiori. E Invalsi fotografa proprio questo. I commissari invece, per fortuna, non fotografano ma valutano. Perché la scuola è un luogo formativo, non una catena di montaggio produttiva. I commissari considerano. Contestualizzano. A meno che non si voglia dire che i commissari meridionali sono tutti corrotti e collusi con non si sa chi. E nessuno osa dirlo. Se dunque un alunno al Sud è stato ritenuto, sulla base di quel che gli è stato richiesto di far vedere, meritevole, bravo, lodevole, deve avere il voto alto e amen. E a quel giudizio deve essere riservato lo stesso rispetto che si riserva al giudizio dei commissari del Nord.
Fotografia: G. Biscardi, Palermo 2016, due + uno
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