La letteratura, la storia e il “documento umano”. Il caso di Svetlana Aleksijevič, premio Nobel per la letteratura
Il premio Nobel per la letteratura 2015 è stato assegnato alla scrittrice bielorussa Svetlana Aleksijevič con la seguente motivazione: «per la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nella nostra epoca»
1. Il dolore umano, una disperata e tenace forza morale, la polifonia esperienziale e conoscitiva di chi vive e soffre nella storia: in una parola, complessità. È al racconto di tale complessità del mondo e della vita che punta l’opera di Aleksijevič, suggerendo a questo proposito strumenti narrativi nuovi e particolarmente funzionali alla rappresentazione di una realtà multiforme e di problematica interpretazione com’è quella contemporanea. È la stessa scrittrice a dichiararlo:
al giorno d’oggi la cornice che racchiude il mondo e l’animo umano non dipende più dalle passate leggi dell’arte. Questa cornice è troppo complessa e l’uomo non vuole sparire senza lasciare traccia. È la rivolta delle masse, ognuno si sente in diritto di essere artefice della propria vita. Ma senza documenti non è possibile rappresentare la complessità, il quadro resterebbe incompiuto. Ildocumentoentranell’arteconnuoveregole.2
Quali siano queste «nuove regole» lo si può desumere in modo diretto attraverso la lettura delle opere di Aleksijevič. Il loro nucleo tematico è la storia dell’URSS e gli eventi successivi alla caduta dell’impero sovietico, i quali vengono raccontati dando voce alle persone che quegli eventi hanno vissuto in prima linea. Simile approccio all’oggetto di conoscenza permette di ottenere un telaio narratologico capace di rendere sentimenti e umori di un’epoca attraverso un’immagine sofferta e sconosciuta che unisce storia ed estetica, realtà e artificio, fatti e interpretazioni. La chiave di questa unione è, appunto, l’utilizzo del documento umano. Come afferma Elena Mestrgazi proprio in riferimento all’opera della scrittrice bielorussa, «la realtà del XX secolo è divenuta tale, che dire la verità su di essa è un compito che supera le possibilità degli strumenti narrativi. Utilizzare solo gli usuali strumenti artistici non è più possibile, la maggior parte delle volte viene in aiuto proprio il documento».3 Ed è appunto nella disponibilità ad accogliere e utilizzare narrativamente l’ausilio documentaristico che va individuato il significato più profondo della lezione di Aleksijevič.I suoi eroi sono soggetti semplici, senza pretese, loro malgrado protagonisti di eventi traumatici: le donne che hanno vissuto e combattuto la seconda guerra mondiale di U Vojny ne ženskoe lico, l’opera con cui Aleksijevič inizia la carriera di scrittrice, appena uscita in Italia per la Bompiani con il titolo La guerra non ha un volto femminile (2015); i ragazzi reduci della guerra in Afganistan di Cinkovye Mal’čiki, volume tradotto in italiano per la E/O con il titolo Ragazzi di Zinco (2003); i morti per suicidio dopo la caduta dell´URSS; le vittime del disastro di Černobyl. Ne viene fuori una storia costruita attraverso centinaia di testimonianze dirette, che non perde mai di vista la liricità del racconto e restituisce una visione collettiva, alternativa e realistica degli avvenimenti, lontana dalle grandi imprese e vicina al vissuto comune. Spaccati di un’epoca che il lavoro dello storico può ricostruire nei minimi particolari, ma non far comprendere con la stessa profondità cui può arrivare la grande letteratura. La storia ha vincoli che sono estranei allo statuto letterario, e se è vero che lo scrittore non punta al grado di oggettività proprio dello storico, è anche vero che la letteratura può indagare spazi dell’animo umano che sono per costituzione inaccessibili agli strumenti storici, e l’esplicitazione dei quali comporterebbe necessariamente uno sconfinamento della storia nel campo della letteratura.4
Ora, con i suoi romanzi reportage Svetlana Aleksevič offre un considerevole esempio di «realismo ipermoderno», secondo la convincente formula critica proposta da Raffaele Donnarumma,5 nel quale l’artificio letterario racconta la realtà attraverso il rilevamento antropologico e la successiva rielaborazione narratologica di documenti umani.
L’originale metodo di scrittura alekseviciano si costruisce attraverso l’osservazione diretta nelle strade, e, afferma l’autrice, dando voce «a persone reali che narrano gli avvenimenti del nostro tempo – la guerra, il crollo dell’impero socialista, Černobyl – e che insieme raccontano la storia del paese, una storia comune. Vecchia e nuova».6La sua arte è documento che vive secondo le regole dell’arte, come ha scritto il critico Vjaceslav Krylov, perché sa rendere la realtà attraverso una scrittura che trasforma l’orrore in un racconto corale nato dall’impasto di innumerevoli voci differenti.7 Estremamente significativa l’esplicitazione di tale processo creativo nella testimonianza diretta della scrittrice:
ho passato molto tempo a cercare un genere che mi permettesse di avvicinarmi con il massimo possibile di approssimazione alla realtà. Afferrare la verità. Ecco cosa volevo. Alla fine ho deciso di riportare le cose ascoltate dalle persone e dalle loro confessioni. Mi sono tormentata, ho avanzato ipotesi. Afferrare la verità dei fatti, ecco cosa volevo. E questo genere, il genere delle voci umane, delle confessioni, delle testimonianze, dei documenti dell’animo umano l’ho sviluppato all’improvviso. In questo modo vedo e ascolto il mondo attraverso le voci, attraverso i dettagli delle vite. In questo modo sono fatti il mio sentire e il mio vedere. E tutto quello che avevo imparato, tutto è divenuto necessario perché era necessario allo stesso tempo essere scrittore, giornalista, sociologo, predicatore. Da migliaia di voci, frammenti delle nostre vite e esistenze, di parole e di ciò che è tra le parole, dietro le parole io costruisco non la realtà, ma un’immagine. Un’immagine del nostro tempo, come lo vediamo e come lo rappresentiamo. L’attendibilità del racconto nasce da una moltitudine di strati. Io compongo un’immagine del mio paese, delle persone che vivono il mio tempo. Vorrei che i miei libri divenissero una cronaca, un’enciclopedia delle generazioni che ho incontrato e insieme alle quali procedo. Come hanno vissuto? In cosa hanno creduto? Come sono stati uccisi e come hanno ucciso? Come volevano e non sono stati capaci di essere felici?8
Figlia della guerra, come lei stessa si definisce, da bambina Aleksevič divorava libri dedicati alle imprese belliche, ma si rese ben presto conto che la percezione di quella guerra, nelle versioni ufficiali circondata da un’insopportabile retorica celebrativa, era diversa nei racconti dei soggetti che l’avevano vissuta: nei ricordi di questi non vi erano imprese, ma terribili sofferenze. Da qui nasce l’idea della sua prima fatica letteraria, una contro-storia narrata dalle donne che avevano combattuto nel secondo conflitto mondiale, perché «la guerra delle donne ha i suoi colori, i suoi odori, la sua luce, un proprio spazio per i sentimenti e una sua parola. Non c’è posto né per gli eroi né per le imprese eccezionali, ci sono soprattutto le persone, che compiono azioni disumane».9 In un paese che per decenni aveva proposto un’immagine puramente elogiativa del secondo conflitto mondiale, marcandone solo gli aspetti straordinari, l’uscita di quel libro fu dirompente. E non meno dirompenti saranno i libri successivi. Nessuno storico per esempio è riuscito a raccontare, come fa Svetlana Aleksevič in Incantati dalla Morte, la tragedia che fu per il semplice uomo sovietico il crollo dell’URSS: in pochi si sono interrogati sui morti suicidi, uccisi dai fantasmi della grande illusione sulla quale essi avevano costruito la propria esistenza, ma anche dalle distorsioni che quella stessa illusione aveva creato. Strazianti per il loro realismo estremo sono invece i racconti contenuti in Ragazzi di Zinco, opera realizzata per commemorare i giovani, giovanissimi soldati morti per un’assurda guerra durata «quasi il doppio della grande guerra patriottica»10, e tornati mutilati o impazziti o peggio cadaveri in una bara di zinco. Un libro che colpisce, emoziona, arriva al cuore per denunciare l’assurdità di ogni guerra, ma anche per cercare una risposta – che non c’è e che pure non bisogna mai smettere di cercare – al maggiore interrogativo posto dalla scrittrice: perché l’uomo non impara dalle sofferenze e continua a ripetere sempre gli stessi errori? Tuttavia i libri di Svetlana Aleksevič possono offrire la risposta a un’altra domanda, quella che nasce dalla crisi e dalla successiva necessità di rielaborazione del rapporto tra narrazione e realtà, nonché della responsabilità dello scrittore rispetto alla società. Si tratta di una risposta metodologica: la letteratura reportage, appunto, che nelle prove di Aleksevič raggiunge esiti davvero rilevanti, mostrando tutto il suo potenziale estetico ed etico.
____________
NOTE
1 «For her polyphonic writings, a monument to suffering and courage in our time», http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/literature/laureates/2015/press.html.
2 Алексиевич С. Время секонд хэнд. – М.: Время, 2013. – p: 41.
3 E Mestrgazi, Г. Документальное начало в литературе // Теоретико-литературные итоги XX века. – Т.1. – М.: Наука, 2003. – С. 134 – 160. [3: 138]).
4 Cfr. D Cohn, Indicazioni di finzionalità. Una prospettiva narratologica, «Allegoria», 60, 2014, pp. 42-72.
5 Cfr. R. Donnarumma, Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea, Il Mulino, Bologna 2014.
6 S. Aleksevič, Sito personale http://alexievich.info/index.html
7 Cfr Krylov Дokument dolžen žit’ po zakonam iskusstva” (Il documento deve vivere secondo le regole dell’arte), in PHILOLOGY AND CULTURE. 2014, Kazan’, p.250
8 S. Aleksevič, Sito personale http://alexievich.info/index.html
9 S. Aleksevič, Sito personale http://alexievich.info/index.html
10 S. Aleksevič, Sito personale http://alexievich.info/index.html
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