Due forme di narrativa letteraria: appunti per un’indagine
Pubblichiamo questo intervento di Alberto Casadei, che è parte di un più ampio lavoro, in corso di stampa (in versione inglese), nella rivista “Reti, saperi, linguaggi” (II, 2015, 2). A sua volta, questo contributo sulla narrativa si inserirà in un’indagine complessiva sui fondamenti biologici e storici delle varie forme letterarie.
1. Per procedere a una disamina dei presupposti cognitivi delle forme di narrativa individuabili in testi letterari, occorre innanzitutto porre in evidenza che le narrazioni a intreccio non lineare, multiplo e finalizzato a un esito non prevedibile dal lettore sono soprattutto moderne. Questo tipo di sviluppo interseca vicende di numerosi personaggi, spesso in modo apparentemente casuale, e solo allo scioglimento conclusivo si colgono interamente le cause e gli esiti delle azioni. Ciò è tipico del romanzo successivo alla Rivoluzione francese, e diventa paradigmatico nel genere del romanzo di investigazione (per approfondimenti e bibliografia, si veda Moretti 2001-2003).
Ma sin dalle prime attestazioni di forme narrative letterarie nell’antichità (racconti indiani, storie di Gilgamesh, storie di Sinuhe l’egiziano ecc.), e poi nei racconti fondativi della cultura ebraica e greca (Bibbia, epica omerica ecc.), l’aspetto dell’intreccio era subordinato alla trasmissione di un evento specifico, spesso di argomento bellico o amoroso. Quasi sempre le narrazioni erano costituite dall’accostamento di vicissitudini accadute a uno stesso eroe: le vicende attraverso le quali si arrivava all’episodio saliente costituivano una sorta di antefatto, che poteva essere ridotto a pochi riferimenti. In queste narrazioni, come aveva già notato Michail Bachtin, lo sviluppo storico-diacronico è del tutto generico e in molti casi indefinibile: la temporalità è presupposta ma non è determinante, perché il focus narrativo è incentrato sull’avvenimento principale (cfr., anche per la bibliografia precedente, de Jong 2014). È comunque affermabile che esiste una spinta al narrare che dipende prioritariamente dalla rilevanza assegnata all’informazione da conservare e trasmettere.
Questa modalità, che possiamo definire a nucleo essenziale, è particolarmente chiara nei racconti brevi che sono stati definiti con i vari termini di favola, novella, fiaba, racconto magico ecc. In questi casi, spesso il ‘nucleo essenziale’ era di tipo morale (più esattamente, nell’ambito della phronesis), e poteva essere esplicitamente indicato come un fatto o detto memorabile: così avviene, per esempio, nelle favole di Esopo (VI sec. a.C.; ma i primi esempi sumerici risalirebbero all’incirca al 2500 a.C.). Al di là della evidente schematicità delle vicende, resta il fatto che lo scopo di queste narrazioni è l’acquisizione di una ‘novità’ (da qui il termine novella), magari non sempre imprevedibile e anzi spesso facilmente prevedibile, ma comunque tale da confermare, suscitando interesse, alcune verità sui comportamenti umani e in particolare su alcune questioni morali (dopo i classici studi di Vladimir Propp, si vedano soprattutto gli studi raccolti in Meletinskij 1986).
La narrazione fondata su un nucleo essenziale è però diventata troppo semplice quando si cominciò a comprendere che i comportamenti umani erano molto più complessi e sfaccettati di quanto mostrassero le morali tradizionali. Storicamente, ciò avvenne con lo sviluppo di società non più gerarchicamente fondate, ma almeno in parte mobili e di tipo borghese. Alcuni prodromi si colgono nel Cinque-Seicento (per esempio nell’Orlando furioso o nella Princesse de Clèves), ma la svolta avviene, come si è detto, dopo la Rivoluzione francese, quando le storie dei singoli individui divennero significative perché si era visto storicamente che persino un comune cittadino poteva diventare un Imperatore. Da questo momento infatti inizia indubitabilmente la storia del romanzo moderno, basato su intrecci sempre più complessi, e tuttavia ancora ricchi di elementi o eventi imprevedibili (cfr., anche per la bibliografia precedente, Mazzoni 2011).
Sulla base di questi riferimenti, sia pure schematici, possono essere indicati alcuni punti significativi. In primo luogo, le forme di narrazione non sono sempre state legate a uno sviluppo temporale evidente; in altri termini, il fatto che tra una situazione di partenza (A) e una di arrivo (B) intercorra un certo lasso di tempo non è di per sé un dato essenziale in ogni narrazione, perché questo aspetto può essere ridotto a un semplice presupposto. Invece, anche nei romanzi moderni a intreccio complesso può essere riconosciuto un momento saliente: si può trattare di un evento ma anche di una semplice intuizione o un pensiero o un sentimento di un personaggio (come accade nella Recherche di Proust). In questa prospettiva, la narrazione resta in primo luogo finalizzata alla trasmissione di un nucleo essenziale di senso, anche quando viene molto meglio rappresentato lo sviluppo diacronico delle singole esistenze e delle società umane. È vero che, secondo molti critici (si veda ancora Mazzoni 2011, 288 ss.), la rappresentazione impersonale delle vicende comporterebbe la sostanziale uguaglianza e in fondo la vanità delle vite narrate, come nel perfetto modello costituito dall’Education sentimentale di Flaubert; paradossalmente però, proprio la percezione esatta di quella vanità costituisce un nucleo di senso importante.
In secondo luogo, il riconoscimento del nucleo non è determinabile soltanto sulla base di schemata e scripts, dato che esso può essere veicolato anche attraverso descrizioni, figure retoriche, in particolare simboli e allegorie, immagini ricorrenti, dettagli a volte in apparenza privi di valore, ecc. Per questo l’analisi delle strutture profonde (come avveniva nella narratologia classica) oppure quella dei processi mentali coinvolti (come avviene in numerose narratologie postclassiche) non sono sufficienti a garantire una corretta individuazione degli elementi decisivi di un racconto. La narrazione letteraria, infatti, applica molte modalità diverse per sottolineare i suoi nuclei essenziali, ed esistono numerosi tipi di questa narrazione, su cui torneremo più avanti e che potrebbero essere ordinati secondo una scalarità cognitiva. Lo scopo ultimo sarebbe quello di giungere a individuare alcuni fondamenti della narratività in relazione alla letteratura e a partire da ‘enunciati narrativi minimi’, comuni alle forme di narrazione letteraria che si sono realizzate storicamente (cfr. Giovannetti 2012, 19-39).
In terzo luogo, si conferma che la narrazione letteraria necessita di un’integrazione interpretativa da parte del lettore, in analogia a quanto avviene per le opere artistiche in genere e, soprattutto, per quelle più recenti, spesso ideate come interattive: in particolare, sono ormai numerose le opere letterarie intermediali, che vengono modificate anche in base alle reazioni dei fruitori. Le analisi che presuppongono questi tipi di interazione (su cui cfr. § 2.1) devono però essere integrate con una nuova teoria critico-estetica, che unisca i paradigmi cognitivi e quelli fenomenologici (cfr. Consoli 2015).
2.1. Gli elementi da approfondire sarebbero molti, ma ci interessa sottolinearne uno ormai evidente: le analisi sui rapporti fra narrativa e fondamenti biologico-cognitivi non possono fondarsi sulla moderna narrativa a ‘intreccio finalizzato’, ossia con un intreccio complesso che a poco a poco consente di scoprire notizie e eventi inizialmente ignoti. Bisogna invece tener conto delle modalità narrative a ‘nucleo di senso’, ossia con un’informazione essenziale da condividere, a volte semplice (l’evento eccezionale, la risposta arguta ecc.), a volte molto difficile da comprendere (il significato profondo di un’azione, un sentimento indefinibile ecc.).
Questa seconda modalità può coincidere in parte con quella della Eventfulness basata su eventi del tutto sorprendenti (dopo gli studi di Jurij Lotman in proposito, si veda da ultimo Hühn 2011). Si tratta di una categoria di eventi che escono dal piano dello sviluppo logico di un racconto e che devono essere accettati come plausibili persino quando non lo sono affatto, come la metamorfosi di Gregor Samsa in scarafaggio nel celebre racconto di Kafka: in ogni caso, attorno a quell’evento si crea un mondo possibile che la narrazione letteraria può giustificare o meno, ossia verosimile oppure no, senza che ciò impedisca la narrazione. Tuttavia i ‘nuclei di senso’ possono anche non coincidere con eventi specifici, e anzi a volte risultano ricavabili solo grazie a un’interpretazione complessa (per esempio allegorica o simbolica, come nel caso di Dante ma anche di Joyce o Borges).
Le due modalità narrative sopra individuate andranno comunque inquadrate in una scalarità molto più raffinata, sufficientemente formalizzata nonché storicamente plausibile. Si potrà partire da una narratività con un prototipo riassumibile nella frase: “è successo questo”, che dovrebbe indicare il nucleo di senso minimo, rinvenibile sia in eventi reali che in stati psichici (cfr. Fludernik 1996, Alber & Fludernik 2010). Si attraverseranno diversi tipi di narrazione a nucleo e/o a intreccio, già riscontrabili (dall’epica e dalla favola sino ai più recenti romanzi polizieschi o fantascientifici), oppure in via di realizzazione, come avviene nelle sempre più frequenti forme di narrazione mista, con ibridazioni tra generi o tra media (in questo ampio territorio le ricerche sono in continuo aumento: cfr. Wolf 2002, Korthals 2003, Hühn & Kiefer 2005, Ryan 2006, Walsh 2010, Hogan 2011, Herman 2013a ecc.).
Il livello terminale della costruzione scalare qui ipotizzata potrà essere costituito una narrazione priva di nuclei di senso, e proprio per questo difficilmente interpretabile e spesso percepita come disincarnata (disembodied). Non si tratta di una mera ipotesi, perché in questa direzione sono già andati gli scrittori del cosiddetto Nouveau Roman francese degli anni Sessanta, e in seguito molte narrative sperimentali (cfr. Herman 2013b). Risulta peraltro notevole la constatazione che questi tipi di narrazione non sono riusciti a farsi accettare da un ampio gruppo di lettori: non tutte le possibilità narrative sono ugualmente adatte a una reale condivisione e comunicazione, in particolare se viene appunto azzerata o depotenziata la spinta alla ricerca di un elemento attrattore significativo. Ciò spingerebbe a ipotizzare che le forme di narrazione interessino per la loro finalizzazione, indipendentemente dalla loro forma superficiale.
2.2. Su questa base di narratologia storica o diacronica, è più evidente il tipo di rapporto che si può instaurare tra la narratività rintracciabile in opere letterarie e le propensioni biologico-cognitive. In prima istanza, la narrazione a nucleo di senso, che risulta essere precedente rispetto a quella a intreccio finalizzato, risponde a una precisa tendenza individuata già in bambini di pochi anni: essi tendono a riferire solo avvenimenti singolari o pensieri strani occorsi durante una giornata, anziché complesse sequenze di eventi (cfr. Bruner 2002, 37). La preservazione di questi fatti eccezionali risulta importante a livello sia biologico che storico, soprattutto per riconoscere eventuali pericoli (o anche fattori positivi) per la sopravvivenza. Si possono inoltre ricordare gli esperimenti condotti su infanti di poche settimane, che reagiscono già a stimoli fonici nuovi, smorzando progressivamente l’attenzione quando un fonema viene ripetuto, ma rialzandola non appena ne viene introdotto per la prima volta un altro (cfr. Golinkoff-Hirsh Pasek 1999, 80 ss.): persino a questo livello, insomma, fondamentale risulta il riconoscimento (e poi la riproduzione-comunicazione) di un nucleo nuovo e potenzialmente significativo.
Senza dubbio aspetti come questi costituiscono le basi per la formazione di quel core self indicato da Antonio Damasio (1999, 169; 2010, 220 ss.) come preliminare nella costituzione di ogni coscienza individuale, e che solo dopo una complessa evoluzione si sviluppa in un autobiographical self. Questa distinzione è particolarmente importante anche in rapporto alle teorizzazioni riguardanti la costituzione di un’identità personale e di un sé su base narrativa (oltre che ai classici studi di Jerome Bruner e Paul Ricoeur, si rinvia, per la bibliografia più recente, a Cohn 1999, Hutto 2007, Dancygier 2012, Grishakova 2014). In effetti, la narrazione generica di un’esistenza può non essere affatto sufficiente a definire un sé, mentre sono gli eventi salienti (o quelli considerati tali) a rendere riconoscibile un’identità, ritagliata dallo sfondo delle caratteristiche biologiche. In altri termini, il nucleo di senso che può costituire la spinta alla narrazione (ovvero il fondamento della narratività) è in primo luogo puntuale, ossia un punctum (secondo la definizione riscontrabile in Barthes 1980) che va preservato e comunicato. Solo in seguito, sulla base di un’evoluzione storica e culturale, diventa importante conoscere pure i fattori che hanno portato all’individuazione di quel nucleo, soprattutto per poter giustificare la sua rilevanza ed eventualmente per conoscere la sequenza di cause ed effetti che l’ha generato.
Com’è ovvio, anche la ‘narrazione a nucleo’ rientra in una dimensione storica e culturale, almeno per come noi la conosciamo in base ai testi letterari pervenutici: essa appartiene cioè a una dimensione diversa da quella evolutiva naturale, ma ne può riproporre alcuni tratti essenziali, così come avviene per l’evoluzione storica e ontogenetica del linguaggio, secondo le prospettive di Michael Tomasello (cfr. Tomasello 1999). La narrazione letteraria peraltro potenzierebbe alcune componenti linguistiche e culturali (come la divisione fra eventi, stati e attori), ma permetterebbe pure di cogliere alcune propensioni profonde che gli schemata tendono a rendere standard: ecco perché in un’opera letteraria possono essere sperimentate narrazioni del tutto innaturali, nelle quali l’individuazione di un nucleo di senso può diventare complessa, toccando strati prerazionali e inconsci, ma rimanendo comunicativa (ciò vale, su un altro piano, anche per la poesia ‘oscura’).
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