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Perché non ho firmato l’appello di Catozzella per De Luca

Lo scrittore Giuseppe Catozzella fa girare un appello in difesa di un altro scrittore, Erri De Luca, che rischia una condanna a otto mesi di carcere perché ha invitato al sabotaggio della TAV. Vorrei spiegare perché non ho firmato questo appello anche se mi auguro che De Luca venga assolto, sono a favore della libertà di pensiero e mi sento solidale con chi lotta contro la TAV.

Trovo intollerabile la retorica. Anche quella di Catozzella. Trovo insopportabile che si scriva «La parola è libera – e quindi potente – oppure non è», oppure «Riconosco il peso terribile della parola che soltanto ha il potere di farci liberi», oppure «Quando uno scrittore nomina l’abisso – ovvero fa il suo lavoro – viene isolato dai più. Ci vogliono spalle forti per reggere il peso tremendo della libertà». Mica è solo questione di forma, di troppi e troppo roboanti aggettivi; è questione di pensiero, cioè di sostanza. Questa esaltazione della parola degli scrittori e del suo privilegio non mi appartiene, e, fra l’altro, mi pare molto anacronistica. Perché la libertà dovrebbe coincidere con la parola? E quelli che non sanno scrivere non hanno diritto alla libertà e non possono impegnarsi a favore della libertà? «Soltanto» la parola degli scrittori «ha il potere di renderci liberi». Soltanto? E gli atti, le azioni, il lavoro, l’impegno degli uomini comuni che non fanno gli scrittori? E scrivere, poi, significa nominare l’abisso? Dire che bisogna sabotare la TAV è nominare l’abisso? Scrivere, come Céline o Pound, che i nazisti o i fascisti hanno ragione è nominare l’abisso?

Gli scrittori non sono creature privilegiate. In uno stato democratico sono sottoposti alla legge come tutti gli altri. Spero che De Luca venga assolto e si riconosca così a tutti i cittadini la stessa libertà di pensiero.

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