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Alcune proposte in margine al terzo seminario nazionale Compìta

Compìta è il nome di un progetto che coinvolge il Miur e alcuni italianisti di università e scuole del territorio nazionale. È nato per promuovere una sperimentazione didattica nelle scuole che, sostenuta dalla teoria, sia in grado di indicare le linee di realizzazione, nell’ultimo triennio della scuola secondaria, di un insegnamento dell’italiano (inteso come lingua e letteratura) per competenze (il nome per esteso del progetto è Compìta, le competenze dell’italiano).

Nei fatti è diventato molto di più: un punto di riferimento per ripensare la didattica della letteratura (a scuola, ma anche – azzardo – nell’università) in una nuova ottica, che riprenda i nuclei teorici delle grandi questioni dibattute negli ultimi decenni (da quella del canone al dilemma tra linearità storico-letteraria e modularità per temi o generi, dalla centralità del testo alla teoria della comunità ermeneutica, dall’interdisciplinarità all’interculturalità alla dialettica contestualizzazione/attualizzazione), per esporli al fuoco di più recenti urgenze (la dissonanza di matrici cognitive tra docenti e studenti «nativi digitali»; l’arretramento inarrestabile delle competenze alfabetiche; la museificazione – come l’ha chiamata Romano Luperini – della letteratura; l’assunzione, nel quadro europeo, della categoria di competenza a perno della didattica, con quello che comporta in termini di metodologie e abbattimento di steccati disciplinari).

Con il terzo seminario, che si è tenuto a Tivoli dal 18 al 20 febbraio, si conclude una prima fase progettuale, durata l’arco di un triennio.

Ma leggendo il volumetto intitolato Per una letteratura delle competenze, che documenta il lavoro del primo anno1, a fronte della relazione inaugurale pronunciata da Carla Sclarandis il 18 febbraio, si ha l’impressione che ancora molto sia in discussione e che l’esito attuale – e il grande merito del progetto Compìta – consista nell’aver individuato i terreni da lavorare con la dovuta lena nei prossimi anni, più che nell’aver elaborato un nuovo paradigma da diffondere con chiarezza.

Aprendo il convegno Carla Sclarandis ha messo coraggiosamente sul piatto i nodi serratissimi che sono ancora tutti da sciogliere. Li richiamo collocandoli su due piani che, per comodità, distinguerò in contenuti e forme.

Sul piano dei contenuti i nodi più stretti mi sembrano soprattutto quattro:

1. la necessità di alleggerire il canone degli autori e delle opere, perché da un canone prestabilito fuori dall’aula si passi, per riprendere una felice espressione di Sclarandis, a un «canone a geometria variabile», che definisca angoli e volumi dentro lo spazio vivo dell’aula, ma a partire da un numero molto ristretto di autori/opere irrinunciabili;

2. l’apertura di questo canone a geometria variabile ad autori/opere non italiani e a tagli interculturali, ma non secondo la logica dell’accumulo;

3. lo spazio e il ruolo da assegnare alla letteratura contemporanea, in particolare a quella del secondo novecento fino ad incursioni negli anni zero, una zona oggi (ancora) erroneamente sacrificata;

4. l’opportunità di superare, nell’organizzazione dei contenuti, la secca e penalizzante alternativa tra una linearità cronologica (la storia della letteratura, con i movimenti, gli autori e le opere messi, per così dire, in fila) e una modularità irrelata (percorsi-monadi in cui inserire i vari autori), per imboccare stabilmente la strada di un impianto modulare capace di tenere insieme la storicità e un taglio sincronico che operi nella tradizione letteraria tenendo conto delle difficoltà che, per esempio, incontrano gli studenti a contatto con i grandi capolavori del medioevo e del rinascimento (per la cui lettura – aggiungo – lo scoglio linguistico è ormai elevatissimo) quando sono ancora nelle prime fasi di acquisizione delle competenze letterarie.

Sul piano delle forme, ovvero delle metodologie didattiche, Sclarandis ha indicato con chiarezza quale sia la più alta montagna da scalare: la dissonanza tra lo stile cognitivo degli studenti e la sequenzialità alfabetica a cui si affida integralmente l’espressione letteraria, questione a cui sono strettamente legati, a mio parere, altri aspetti da lei richiamati, ovvero l’invocazione di uno spazio più ampio, nella pratica didattica, per le commistioni tra diversi linguaggi espressivi, in risposta al mutamento d’orizzonte percettivo e cognitivo nonché al fatto (ormai troppo evidente per essere ignorato) che la parola scritta non è più veicolo privilegiato dell’esperienza estetica, e l’urgenza di incrementare l’interdisciplinarità, anche rispetto all’area scientifica.

È proprio su questi campi che la didattica della letteratura (nelle aule scolastiche ma anche, inevitabilmente, in quelle universitarie) giocherà le partite più importanti dei prossimi anni.

Alle domande poste in apertura da Sclarandis e poi ricorrenti nei tre giorni di Tivoli, vorrei qui tentare non certo di dare delle risposte, ma di suggerire qualche direzione di marcia per trovarne di solide o per escluderne di fallaci.

Mi soffermo su cinque punti che ritengo fondamentali, a partire da quelli ascrivibili al piano dei contenuti per arrivare, last but not least, alla questione cruciale delle metodologie.

1) La necessaria presenza, nel novero degli autori e delle opere irrinunciabili, di voci femminili, quasi del tutto assenti nelle proposte emerse a Tivoli. Se l’incontro con i testi letterari a scuola deve essere funzionale all’acquisizione di competenze per la vita, valorizzando – come ha scritto Natascia Tonelli – «la primaria dimensione umana, collettiva e sociale della letteratura»2, nella loro scelta non si può non utilizzare il parametro del punto di vista di genere; arrivo a credere che, in questa prospettiva, la lettura di opere di autrici abbia un senso che travalica persino il giudizio di valore. Non si può pensare di attivare competenze sociali e civiche, stimolare una costruzione dell’identità che passi per un movimento relazionale tra diverse postazioni discorsive, restituendo alla letteratura il suo valore esperienziale di confronto con l’altro, se l’altro non è anche (ma oserei dire prima di tutto) l’altro genere. Dentro un canone a geometria variabile che prenda corpo a partire da una rosa di personalità e di opere giudicate decisive devono, perciò, trovare posto a pieno titolo sia voci maschili che voci femminili. Mi limito a un solo esempio: Amelia Rosselli, la cui opera (fra le maggiori del novecento poetico) contiene commistioni tra lingue e tra codici espressivi e, oltretutto, può aprire possibilità interdisciplinari e rivelare inattese posture cognitive.

2) Il ruolo della letteratura contemporanea (del XX ma anche del XXI secolo), da inserire tra le voci irrinunciabili nei contenuti disciplinari. Sono convinta che la letteratura contemporanea possa avere un ruolo cruciale almeno a tre livelli:

a) l’insegnamento della lingua, per il rapporto che la letteratura degli ultimi decenni (italiana e straniera in buona traduzione) intrattiene con l’italiano sia scritto che parlato oggi;

b) l’impianto modulare, con una funzione in qualche modo mediatrice rispetto alle opere dei secoli passati, ma in un’ottica contrastiva, che preveda l’inserimento, in tutti i moduli didattici, di testi contemporanei capaci di portare in primo piano le differenze che albergano nella somiglianza, una somiglianza da cui eventualmente partire in sede didattica solo come aggancio motivazionale- ma questo discorso può valere anche per le opere non italiane e per tutte le escursioni interculturali, che anziché rischiare l’appiattimento sull’esaltazione di rassicuranti punti di contatto potrebbero produrre, attraverso un processo di efficace spaesamento (su cui tornerò più avanti), una qualche apertura verso ciò che è diverso, con ricadute positive in termini di competenze per la vita;

c) l’approccio interdisciplinare, interartistico e intermediale, essendo la letteratura e tutta l’arte contemporanea attraversate da una tendenza alle sperimentazioni di confine tra diversi generi e linguaggi espressivi, nonché, nei decenni più vicini a noi, al confronto con i nuovi media (dalla radio alla rete).

3) Le potenzialità didattiche di un incontro a vasto raggio con la poesia. Gli studenti in uscita dall’esame di Stato possono ancora convincersi che la poesia non sopravviva oltre i primi decenni del novecento, perché difficilmente sarà capitato loro di leggere a scuola poesie più recenti. Del secondo novecento conosceranno qualche narratore (Calvino, Primo Levi), ma nemmeno un poeta. E un’ulteriore restrizione dello spazio poetico sembrerebbe emergere dalle proposte circolate a Tivoli su un’eventuale rosa di dieci irrinunciabili (è stata presa in considerazione, infatti, l’esclusione di Petrarca).

Ora, non solo la poesia contemporanea gode di buona salute, ma, più in generale, la poesia come modalità espressiva ha in sé – a mio parere – grandi possibilità di successo in una didattica per competenze. Eppure se c’è un genere artistico che a scuola viene percepito come particolarmente ostico, antico e polveroso, questo è proprio la poesia. Ma si tratta di una percezione distorta. Se infatti si pensa alle radici orali, al legame con la fisicità dei suoni e al naturale orientamento alla performance dell’espressione in versi, e se si considerano questi aspetti insieme alle difficoltà diffuse nell’approccio alfabetico sequenziale, si può azzardare l’ipotesi che la poesia possa divenire non solo una modalità espressiva meno lontana di quanto sembri dall’orizzonte percettivo dei nativi digitali, ma anche, proprio in virtù di quanto ho appena detto, uno strumento utile nel processo di costituzione di un’identità consapevole e di un’attitudine alla relazione e al confronto.

La radice orale, la costitutiva non linearità e il legame originario con altre arti (la musica e la danza) possono rappresentare, infatti, la chiave (già in partenza interdisciplinare e intermediale) per aprire l’incontro con la poesia, il dato da cui partire per percorrerne l’evoluzione e l’articolazione attraverso i secoli. Trovo assai incoraggiante, da questo punto di vista, l’indicazione della lettura ad alta voce tra le metodologie proposte da Compìta per la didattica della poesia3. E all’esercizio attivo e creativo ad alta voce da proporre agli studenti si può proficuamente affiancare, per la poesia contemporanea, l’ascolto (altrettanto attivo) della viva voce dei poeti nell’esecuzione dei loro versi. La lettura ad alta voce, come esercizio esecutivo (per un verso) e d’ascolto (per un altro), può infatti diventare, oltre che un ottimo strumento per la didattica della poesia in apprendimento cooperativo4, anche un veicolo d’inclusione (penso a tutti gli studenti con italiano L2 e a quelli con disturbi specifici nella letto-scrittura) e un mezzo d’acquisizione di competenze sociali e civiche, con una costruzione dell’identità che passi anche per esperienze direttamente corporee. A ciò si aggiunga la portata di quanto sembra emergere da certi studi recenti nell’ambito delle neuroscienze, secondo cui «il linguaggio metaforico legato al campo sensoriale è in grado di stimolare nel nostro cervello le aree fisicamente attivate al momento della percezione reale e fisica».5

E ancora: se la competenza letteraria è eminentemente di tipo interpretativo, l’esercizio d’intelligenza che offrono le immagini di una poesia non può non avere uno spazio di primo piano in una didattica per competenze. La polisemia e la figuralità, tratti specifici del linguaggio poetico che spesso sono avvertiti come ostacoli, possono essere, al contrario, elementi in grado di facilitare il confronto tra punti di vista diversi: veicolando significati non univoci e richiedendo uno sforzo di interpretazione, possono essere utilizzati come strumenti per stimolare ciascuno studente a formulare ipotesi interpretative. In una prospettiva di questo tipo l’insegnante dovrà fare da guida e fornire, nella attività didattiche che propone, degli stimoli puntuali, portando l’attenzione su singole figure e singole espressioni, su cui far esprimere gli studenti in piccole discussioni che contemplino anche la possibilità di mettersi nei panni dell’autore (o dell’autrice), chiedendosi come potrebbe cambiare il testo modificandone delle parti, intervenendo per esempio sul lessico, o sul ritmo, o sulle figure di suono (e con ciò stiamo entrando nel quarto punto). Questo tipo di attività, adatta anche alla prosa, comporta uno sforzo importante di apertura a punti di vista altrui: tanto quello dell’autore quanto quelli dei compagni, nonché dei critici di cui si siano letti dei contributi. Ma è possibile solo se lo studente ha la possibilità di sperimentare diverse postazioni, compresa quella dell’autore.

4) Il ricorso ad attività creative di scrittura, riscrittura e manipolazione dei testi, da affiancare alla scrittura argomentativa, più o meno in combinazione con il metodo dell’apprendimento cooperativo, entro un quadro di didattica attiva in cui siano privilegiati approcci laboratoriali e processi induttivi e in cui, anche senza raggiungere stabilmente uno stato di classe capovolta6, sia possibile proporre delle attività su testi già letti preliminarmente (almeno in parte) da ciascuno studente, come del resto avviene in altri paesi europei7.

Il progetto Compìta incoraggia le varie forme di riscrittura, «dalla creativa alla parodistica, dalla rielaborazione multimediale alla trasposizione intersemiotica»8. Trattandosi di un terreno estremamente insidioso, credo che l’uso della scrittura creativa come strumento per la didattica della letteratura non possa essere proposto senza definire alcune regole fondamentali. Ne suggerisco quattro: l’uso del vincolo, che deve essere preciso e inequivocabile affinché l’esercizio di scrittura/riscrittura risulti guidato e circoscritto; la concezione di ogni esercizio non come episodio irrelato ma come anello di una catena logica coerente a un obiettivo definito (che non deve essere di tipo estetico); l’alternanza, all’interno di ciascuna catena di esercizi, di attività individuali e di gruppo, di scambi e di confronti incrociati; il legame di queste attività con la lettura dei testi, come punto non solo di partenza ma anche (anzi soprattutto) di ritorno dopo l’esperienza di attraversamento offerta dagli esercizi di riscrittura.

Per fare un esempio e per tornare alla poesia, possono risultare molto utili, in un’ottica per competenze, tutti gli esercizi di manipolazione e riscrittura di testi poetici in forma chiusa: la costrizione entro una serie di vincoli (la misura del verso, l’organizzazione in strofe, lo schema di rime) induce uno sforzo di formalizzazione dei contenuti emotivi e una loro conseguente oggettivazione e decantazione. Il lavoro di smontaggio e ricostruzione, riscrittura, aggiustamento, rilettura e correzione, mentre facilita attraverso l’esperienza la comprensione dell’opera e delle sue specificità, aiuta anche nell’affinamento di competenze trasversali e nella messa a fuoco dell’identità individuale. In adolescenti che vivono in una dimensione percettiva e relazionale dominata dall’assenza di gerarchie e di forme, in un’orizzontalità perenne e sconfinata, l’esperienza di formalizzazione offerta da esercizi di composizione in versi a vincolo può stimolare una messa in forma dei pensieri, aiutando nella costruzione dell’identità individuale e dunque anche nel confronto intersoggettivo. Particolarmente adatta a questo tipo di attività è la forma del sonetto: i suoi 14 versi rappresentano uno spazio sufficiente per racchiudere qualcosa di preciso (un sentimento o un’idea, un desiderio o un’esperienza) ma non troppo esteso da suscitare sgomento; il suo schema di rime non è troppo rigido e può declinarsi in diverse possibilità, lasciando spazio alla scelta o alle necessità individuali. Proprio in questa prospettiva mi sembra che la sperimentazione sul sonetto di cui si dà conto in uno degli interventi raccolti nel Quaderno Per una letteratura delle competenze contenga spunti interessanti da non sottovalutare e, anzi, da approfondire9.

Se concepite e condotte con criteri chiari e rigorosi, le attività di scrittura e riscrittura creative possano diventare il volano di una didattica attiva e induttiva, in cui l’esperienza della letteratura contempli anche la possibilità di mettersi nei panni dell’autore e muoversi dentro l’opera per un incontro più profondo e complesso, capace di mobilitare, appunto, un variegato spettro di competenze: non solo, tra le otto competenze chiave definite in ambito europeo per l’apprendimento permanente, quelle di «consapevolezza ed espressione culturali» («espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni attraverso un’ampia varietà di mezzi di comunicazione») e le «competenze sociali e civiche» («partecipazione attiva e democratica»), ma anche il «senso di iniziativa e di imprenditorialità» («saper tradurre le idee in azione», «capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi», «creatività» e «innovazione»)10.

5) Lo straniamento come chiave di volta della didattica della letteratura. La didattica della letteratura in un contesto oppositivo per dissonanza di matrici cognitive e di orizzonti culturali deve saper ribaltare un’apparente debolezza in un punto di vantaggio, fondando la propria forza sullo scarto. Invece di correre all’inseguimento di presunti temi cari agli studenti o d’attualità a cui appoggiare, non senza il rischio di schiacciarvela, la presentazione degli autori e delle opere, la letteratura dovrebbe, al contrario, essere presentata con nettezza e coraggio in tutta la sua alterità, creare un effetto straniante che possa sorprendere gli studenti, suscitare uno sguardo per così dire straniero e aprire loro la porta, per questa via, alla percezione delle differenze: è, questo, un bisogno formativo, oggi diffuso in maniera drammaticamente capillare, a cui l’incontro con la letteratura può (e deve) far fronte.

Non è nell’adattamento del contenuto per renderlo più appetibile al loro orizzonte d’attesa che conviene avvicinare la letteratura agli studenti, ma è innazitutto nella scelta delle metodologie, delle attività, degli esercizi, che si deve andare incontro allo stile cognitivo dei nativi digitali, comprendendone le peculiarità e adeguandovi necessariamente la didattica perché questa risulti più efficace.

Se, in conclusione, è vero che una didattica attiva, induttiva ed esperienziale (invocata a Tivoli) è fattibile solo alleggerendo il canone e intervenendo su selezione e organizzazione dei contenuti, è altrettanto vero, come ha scritto Simone Giusti, che è solo «cambiando in profondità le pratiche didattiche che si possono costruire le competenze a scuola». Sarà allora indispensabile concentrare di più l’attenzione e gli sforzi, rispetto a quanto si è fatto sinora, sui contorni e sulla consistenza, nello specifico metodologico, della didattica che si vuole rendere attiva. Sono anch’io, come Giusti, fermamente convinta che sia prioritario «consolidare la consapevolezza pedagogica dei docenti circa gli strumenti utilizzati e, quindi, introdurre nuovi strumenti, esercizi, attività didattiche, piuttosto che discutere sull’opportunità o meno di studiare un autore, un’opera o un tema piuttosto che un altro»11.

Credo che nell’immediato futuro il progetto Compìta non possa sottrarsi a questo compito: le tracce di lavoro che ha meritoriamente portato in superficie negli ultimi tre anni dovrebbero puntare adesso a una più rigorosa definizione delle metodologie e degli strumenti da impiegare nell’ultimo triennio del percorso scolastico, non senza gettare uno sguardo anche a ciò che precede (il primo biennio, da cui dipendono le competenze d’ingresso) e segue (l’esame di Stato, dal cui impianto derivano forti condizionamenti).

Un’ultima osservazione. C’è da augurarsi che Compìta stimoli una seria riflessione anche sulla didattica della letteratura nei corsi universitari e, di conseguenza, un nuovo orientamento del rapporto tra scuola e università. Si tratta di una questione vitale, non solo per la contiguità tra i due segmenti, ma soprattutto perché il secondo prepara i docenti del primo. Perché questa formazione avvenga nell’ottica per competenze proposta da Compìta occorre un ripensamento urgente dei metodi d’insegnamento anche in sede universitaria. Un primo passo importante da fare, per esempio, potrebbe essere quello di incoraggiare di più la ricerca nell’ambito della didattica della letteratura, riconoscendone la piena (e alta) dignità scientifica.

_________________________

NOTE

1) Sesto della serie dei Quaderni della Ricerca dell’editore Loescher, il volumetto Per una letteratura delle competenze, curato da Natascia Tonelli e pubblicato nel 2013, contiene il testo del Documento programmatico del Comitato Tecnico Scientifico di Compita, una serie di interventi teorici e il resoconto di alcune esperienze didattiche (http://www.laricerca.loescher.it/quaderno_06/#/1/).
 
2) Natascia Tonelli, Lo sguardo dell’italianista: letteratura, scuola, competenze, in Per una letteratura delle competenze, Torino, Loescher, 2013, p. 21.
 
 
4) Il metodo dell’apprendimento cooperativo è oggi da più parti invocato come strategia vincente anche nella scuola secondaria (oltre che nella primaria, dove è già piuttosto diffuso); viene considerato particolarmente adatto alle discipline scientifiche, ma il suo uso si sta estendendo anche all’ambito umanistico, dove, opportunamente declinato, non è meno proficuo; per esempio, può essere un ottimo strumento per realizzare l’idea della classe come comunità ermeneutica. Per una bibliografia di riferimento sul metodo si può consultare questa pagina: http://www.apprendimentocooperativo.it/Il-coop-learning/bibliografia/Bibliografia/ca_3530.html
 
5) Natascia Tonelli, Lo sguardo dell’italianista: letteratura, scuola, competenze, in Per una letteratura delle competenze, cit., p. 21.
 
6) Il modello pedagogico della didattica capovolta (flipped learning) punta sul capovolgimento della tradizionale organizzazione scolastica nella quale a scuola gli studenti ascoltano le lezioni dell’insegnante e a casa svolgono delle attività. Il metodo della didattica capovolta sposta le attività in aula e la lezione a casa (tramite delle videolezioni e materiali didattici di vario tipo). In Italia si è cominciato a parlarne solo di recente: nel 2014 la casa editrice Erickson ha pubblicato La classe capovolta, scritto da due insegnanti (Maurizio Maglioni e Fabio Biscaro); l’uscita del libro ha suscitato un movimento nel mondo della scuola che ha coinvolto un buon numero di insegnanti disposti a sperimentare le possibilità offerte da questo metodo.
 
7) Uno dei momenti di maggior interesse del seminario di Tivoli è stato proprio quello in cui si è parlato della didattica della letteratura in altri paesi europei, dove – è emerso con chiarezza – certi ingredienti (l’approccio induttivo e attivo, il metodo dell’apprendimento cooperativo, la scrittura e riscrittura creativa, la recitazione e la lettura ad alta voce) sono ampiamente utilizzati.
 
8) Carla Sclarandis, Cinzia Spingola, La ricerca di un nuovo paradigma: l’insegnamento della letteratura nella scuola delle competenze, in La letteratura per competenze cit., p. 37.
 
9) Mi riferisco al contributo di Luisa Mirone, Insegnare letteratura per competenze: una riflessione di metodo e una proposta, in La letteratura per competenze, cit., pp. 145-156.
 
 
11)  Simone Giusti, Letteratura e competenze: una questione didattica, in Per una letteratura delle competenze, cit., p. 93.{module Articoli correlati}

 

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