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Cambiare la scuola/3. Partire dal progetto educativo

Cambiare dal “verso giusto”

Ho molto apprezzato l’articolo di Emanuela Annaloro, condividendo quelle che lei definisce “le tre logiche con cui non possiamo cambiare la scuola” e i”tre perni a cui ancorare il cambiamento”.

Nel mio intervento a Terrasini, al “cantiere scuola Pd”,  ho sviluppato un ragionamento analogo, partendo dalla consapevolezza, oggi sempre più diffusa, che sono necessari cambiamenti profondi nella scuola, per metterla nella condizione di affrontare al meglio i nuovi bisogni di istruzione e di educazione, i disagi e le grandi diversità che i ragazzi portano all’interno di essa. C’è una innovata disponibilità al cambiamento, alla quale il governo e la politica devono saper corrispondere, non con annunci, promesse o minacce, non con proposte organizzative, quali quelle relative all’orario degli insegnanti, ma partendo dal “verso giusto”: dal progetto educativo, dalla “missione” che la società e la politica affidano alla scuola.

Progetto educativo che, basandosi sui profondi cambiamenti nella società, nelle famiglie, sugli effetti della diffusione delle nuove tecnologie, sulle diversità culturali, etniche e religiose sempre più presenti nel nostro Paese, deve avere come obiettivo una scuola pubblica di qualità e inclusiva, la scuola del “non uno di meno”, che accompagni tutti i ragazzi, tutti e non uno di meno, a conseguire le conoscenze e le competenze indispensabili per diventare cittadini consapevoli e per affrontare il lavoro.

La necessità di un dibattito nazionale

Per questo, oggi in Italia, occorre un grande dibattito nazionale sulla scuola, come è avvenuto in tanti altri paesi che hanno realizzato riforme importanti, quali la Francia, la Finlandia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti; un dibattito che veda protagonisti, oltre al mondo della scuola, le università, gli intellettuali, le parti sociali e il mondo del lavoro, la politica, le istituzioni e le autonomie locali e che tolga la scuola dal cono d’ombra nel quale è stata relegata. La scuola dell’autonomia, con i suoi insegnanti, dirigenti, ATA, ha fatto moltissimo per affrontare i cambiamenti sociali e culturali, per offrire qualità educativa ai ragazzi, anche quando dai governi (di centro-destra) ha ricevuto solo tagli e insulti (ricordate gli insegnanti “fannulloni”?).

La scuola ha innovato, ha sperimentato. A lei sola dobbiamo la qualità che ancora offre. Ma ora è arrivata al punto limite. Ha bisogno di avere al suo fianco la società, la politica, lo Stato. Ha bisogno di essere riportata al centro della riflessione, di non essere più considerata solo come il settore pubblico da cui tagliare risorse da destinare ad altre funzioni. “La scuola è una priorità per il futuro di ogni ragazzo e del Paese, per uno sviluppo economico e sociale di qualità”: quante volte questa affermazione è stata proclamata e quanto poco è stata praticata! Da dove partire allora nel concreto?

Partire dagli obiettivi

Ritengo che non ci siano oggi le condizioni per una riforma organica del sistema nazionale di istruzione: sarebbe un percorso lungo, complesso, con molte probabilità di non giungere ad una conclusione, un percorso che lascerebbe ancora a lungo la scuola in una condizione di incertezza. Ciò che, a mio avviso, il ministero dell’Istruzione dovrebbe realizzare in via prioritaria è la definizione degli obiettivi di apprendimento, in termini di conoscenze e di competenze, che devono essere conseguiti da tutti i ragazzi nelle varie fasi del percorso scolastico (in quinta elementare, al termine della scuola media, nei due anni di istruzione superiore obbligatoria), suddivisi per aree di apprendimento, quali l’area linguistica, l’area logico-matematica, l’area storico-geografica, l’area delle scienze naturali.

Questo, in concreto, significa stabilire gli innovati compiti di istruzione della scuola nell’attuale società, percorso che deve essere sostenuto ed accompagnato da un ampio dibattito nazionale, con il contributo importante delle Università, degli intellettuali, del mondo della cultura.

La “missione” che la Repubblica deve assegnare alla scuola, in attuazione dell’art. 3 secondo comma della Costituzione, dotandola degli strumenti e delle risorse necessarie, è colmare o almeno ridurre le differenze di partenza, per dare ad ogni ragazzo pari opportunità; è ridurre gli abbandoni e la dispersione scolastica; è far conseguire a tutti i ragazzi, con modalità e percorsi anche differenti, i livelli di apprendimento essenziali, quelli definiti su base nazionale attraverso i curricula, che costituiscono l’essenza del diritto all’istruzione costituzionalmente garantito (art. 34). Per queste finalità, nell’ambito della propria autonomia didattica (e questo è il significato principale dell’autonomia scolastica), le scuole sperimentano innovazioni didattiche, sviluppano il proprio piano dell’offerta formativa (POF), valorizzando i percorsi scuola-extra scuola, la didattica laboratoriale, l’uso delle immagini, lo sviluppo dell’emozionalità e dell’affettività negli apprendimenti, rendendo i ragazzi protagonisti degli stessi. Mentre la scuola nel passato ha utilizzato metodi omogenei, che dovevano valere per tutti gli studenti anche per renderli più uguali tra di loro, oggi deve decisamente misurarsi sulle diversità, non per annullarle, ma per valorizzarle, garantendo ad ognuno pari opportunità di futuro.

Sperimentazione e formazione

E lo ha fatto, attraverso esperienze e sperimentazioni di grande interesse, che devono essere valutate scientificamente nei loro effetti e rese trasmissibili per essere utilizzate in altre scuole, pur tenendo conto delle specificità di ognuna. È un modo per realizzare i cambiamenti “dal basso”, come è avvenuto in passato anche con risultati positivi (esempio le sperimentazioni Brocca).

A sostengo dei cambiamenti deve essere organizzata per i docenti la formazione in servizio, obbligatoria e riconosciuta, una formazione che parta dai problemi e dalle esperienze realizzate nelle scuole, che non sia di tipo teorico e magari fatta da studiosi che, pur bravissimi, della scuola non hanno alcuna esperienza, non escludendo ovviamente competenze esterne per una supervisione sulle innovazioni, sui problemi e sulle soluzioni proposte.

Di questi obiettivi e di questi temi il Paese è chiamato a discutere e il Ministero dell’Istruzione ad avanzare proposte aperte, condivise, sulla base della consapevolezza che la scuola non è un normale “luogo di lavoro”, ma una comunità educante, nella quale sono decisivi il coinvolgimento e le motivazioni di coloro che vi operano, in particolare di coloro che svolgono il difficile “mestiere di insegnare”. Quanti, anche tra coloro che hanno responsabilità di governo, hanno colto che chi opera nella scuola dice “domani vado a scuola”, non “domani vado al lavoro” come tutti gli altri lavoratori? Quanti hanno colto in queste parole il coinvolgimento, le passioni e le delusioni, la responsabilità dell’educare che vivono moltissimi insegnanti?

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NOTA

L’immagine è di Luigi Ghirri, Marina di Ravenna 1972 – 1985. Stampa cromogenica vintage da negativo 24 x 36 mm, 16 x 23,5 cm.

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