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La madre di Montale e l’insegnante di Siracusa

 

Ho fatto una lezione di aggiornamento agli insegnanti di italiano delle medie superiori a Siracusa. Tema: il modernismo nella poesia italiana del primo Novecento. Pubblico attento, motivato e preparato. Finché al quinto intervento del pubblico…

Avevo letto rapidamente la poesia di Montale A mia madre, spiegando che rientra nella fase foscoliana del poeta (il ricordo dei morti vale per i vivi, ed è l’unica cosa dei morti che resti) e che i suoi valori sono laici e immanentisti, non cattolici, tanto è vero che vi si può leggere in filigrana una polemica con la poesia di Ungaretti La Madre, invece ispirata ai valori cristiani, come mostra la ripresa in Montale della parola «ombra» presente nel testo di Ungaretti ma con significato opposto (per la madre di Ungaretti, e per Ungaretti stesso, la vita terrena è solo un’«ombra», perché la vera vita è quella ultraterrena; mentre Montale nega, appunto, che l’esistenza terrena sia «un’ombra»). Interviene un giovane insegnante, in prima fila, con l’I Pad in mano, e contesta questa interpretazione appoggiandosi a un’altra poesia di Montale di qualche anno posteriore, Voce giunta con le folaghe. A suo dire la donna che in questa poesia appare al soggetto lirico e contesta al padre l’attaccamento alla vita terrena è la madre del poeta. Io gli faccio osservare che non si tratta della madre, ma di Clizia e leggo i versi in cui viene descritta la figura femminile con gli «occhi ardenti», lo «scarto altero della fronte» e il «biocco» della famosa frangetta. Lui ribadisce che si tratta invece della madre: «Cosa c’entra Clizia col padre del poeta? E’ chiaro che qui si tratta della madre che rimprovera il marito morto perché troppo attaccato alla vita terrena…», è la sua argomentazione. Io gli faccio osservare che in quei versi di Voce giunta con le folaghe c’è proprio il ritratto di Clizia (lo sguardo ardente è un suo segnale specifico, come la alterezza o la frangetta o biocco) e che tutti i commentatori non hanno dubbi su questo punto; aggiungo che si può discutere di tutto, ma che vi sono dei dati unanimemente accettati che non possono essere ignorati. Ma lui a ogni mia osservazione ribatte, ostinato. Dice, per esempio, che anche Clizia è Cristofora, e io gli faccio notare che è tale solo più tardi, a partire da Iride, e mai in Finisterre, a cui appartiene A mia madre. Ma lui continua, mi interrompe più volte, sistematicamente, sempre agitando l’I Pad. Io perdo la pazienza e gli dico che è ignorante, ignorante del senso proprio del termine: nel senso che ignora i testi di Montale in cui si parla di Clizia e i numerosi commenti e brani critici che unanimemente riconoscono nella figura femminile di Voce giunta con le folaghe l’immagine di Irma Brandeis trasfigurata in Clizia. Lui grida che l’ho deluso, e continua a lungo a protestare. Di fatto ottiene di porre fine alla lezione che termina così nella confusione e nella agitazione.

Mi dicono poi che quell’insegnante è un esponente del Movimento Cinque Stelle. Ora so bene che gli ignoranti si trovano in ogni partito. Piuttosto questa arroganza, questa convinzione incrollabile di essere dalla parte del giusto anche contro ogni evidenza contraria, questa petulanza, questa assoluta mancanza di umiltà, e soprattutto questo narcisismo incontrollabile e questa divorante e micidiale volontà di protagonismo mi sembrano caratteristiche non solo o non tanto di un movimento politico, anche se tali tratti abbondano nel Movimento Cinque Stelle, quanto del periodo storico in cui viviamo, dominato, direbbe Recalcati, dal narcinismo (narcisismo+cinismo) e dalla presunzione di onniscienza e di onnipotenza che nasce dall’accesso all’informazione di Internet. Ciò mi sembra anche più grave che ridurre una poesia come Voce giunta con le folaghe nei termini di una lite fra coniugi. Quest’ultima è solo un’ operazione grossolana, mentre la mancata coscienza della propria ignoranza da parte per di più di un insegnante, anzi la assunzione dell’ignoranza a misura del proprio rapporto col mondo, è mancanza di rispetto per l’altro (per i colleghi costretti a subire la sceneggiata e, per quel poco che può valere, anche per il sottoscritto che pure ha dedicato la vita a studiare Montale e qualcosa dovrebbe saperne): dunque è pura inciviltà. La democrazia non è chiacchiera vuota, non è dire la prima cosa che salta in mente, né esibizione di sé; implica anzitutto documentazione accurata, conoscenza dei problemi, consapevolezza dei propri limiti e, conseguentemente, predisposizione all’ascolto e al confronto che solo un accertamento condiviso dei dati di fatto può garantire.

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