La credibile storia di Diane Ravitch. Sulla scuola dei test
Continuiamo la discussione sulle prove Invalsi, in corso di somministrazione in questi giorni nelle scuole, con una serie di riflessioni sulla valutazione basata sui test.
Diane Ravitch, atto primo
Mentre in Italia si va applicando in modo sempre più estensivo, dalle elementari all’università, il sistema di valutazione basato sui test, poco si discute delle esperienze maturate nei paesi in cui questo modello è adottato da più tempo. Nel dibattito riveste particolare importanza l’esperienza degli Stati Uniti, il cui sistema scolastico da oltre dieci anni è stato attraversato da un intenso processo di riforma basato per l’appunto sull’utilizzo dei test. Negli Stati Uniti particolare rilievo ha avuto Diane Ravitch, professoressa di storia dell’educazione alla NY University e collaboratrice dell’amministrazione di George H. W. Bush come Assistente del Segretario di Stato all’Educazione e successivamente, dal 1997 al 2004, membro del National Assessment Governing Board che ha supervisionato il National Assessment of Educational Progress sotto la presidenza prima di Bill Clinton e poi di George W. Bush. Diane Ravitch è dunque, come si usa dire, “un’esperta,” una tecnocrate di primo livello che ha gestito e accompagnato dall’interno la riforma del sistema scolastico americano.
Accountability, didascalia
La parola chiave del sistema scolastico americano è accountability. In italiano non esiste (ad oggi…) una parola specifica corrispondente che esprima in poche sillabe l’obbligo di render conto a chi è interessato (studenti, famiglie, ecc..) dei risultati della propria azione didattica. La nostra parola “responsabilità” è insieme troppo vaga e troppo legata alla sfera morale per rendere bene il concetto. Con l’accountability non siamo sul piano delle delle buone intenzioni, ma delle pratiche certificate. Secondo la definizione di una commissione del Governo britannico l’accountability stabilisce che “coloro che esercitano un pubblico ufficio sono responsabili di fronte al pubblico per le loro decisioni e i loro atti e debbono sottoporsi a qualsivoglia indagine adeguata al loro ufficio” (Standards in public life, primo rapporto della Commissione sulle norme nella vita pubblica, London, HMSO,1995, p. 14).
‘Testing and Choice’, didascalia
La prima concreta applicazione di questo principio è stata data nel gennaio 2002 dal Presidente Bush attraverso un’importante legge che avrebbe cambiato il volto della scuola americana. La legge che ha preso il nome di No Child Left Behind (NCLB) è stata approvata con voto bipartisan e non è stata messa in discussione dalla successiva amministrazione Obama. In America, e non solo, le scelte politiche in materia scolastica oggi sono spesso convergenti perché unificate da intenti economicisti. Il NCLB act è stato, nei nobili auspici dichiarati, un tentativo del governo americano di portare tutti gli studenti ad un uguale livello di competenza entro il 2014 e di superare le differenze legate al reddito e al gruppo sociale di provenienza. Per inverare queste aspirazioni ed ottimizzare i processi di cambiamento si è scelto lo strumento del ‘Testing and Choice’. Con un rudimentale paragone potremmo dire che il Testing and Choice è l’Invalsi americano elevato al cubo.
Ogni anno gli studenti americani dalla terza all’ottava classe vengono sottoposti a dei test relativi agli argomenti centrali della matematica e dell’inglese. Devono poi essere sottoposti al test almeno un’altra volta nelle classi successive. Dal 2007/2008 anche le competenze scientifiche devono essere valutate tramite test da somministrare almeno tre volte entro l’undicesima classe. I test sono uguali all’interno dello stesso Stato cui spetta la competenza in materia educativa. Le scuole sono tenute a dimostrare pubblicamente che i loro alunni sia globalmente che per gruppi (etnici, sociali, con disabilità, ecc…) stanno compiendo un adeguato progresso annuale. I risultati individuali dei test sono invece comunicati alle famiglie. Le scuole vengono classificate in differenti livelli sulla base della percentuale di studenti che hanno superato i test. Il programma prevede che le scuole (e i distretti scolastici) compiano rapidi progressi già dal primo anno (adequate yearly progress, AYP). In caso contrario, già dopo il primo anno, la scuola viene messa in stato di “avviso”. Dopo il secondo anno di mancato successo i genitori acquisiscono immediatamente il diritto di trasferire i propri figli in altre scuole con i trasporti pagati sui fondi federali del distretto (Choice), dopo il terzo anno gli studenti a basso reddito acquisiscono il diritto al tutoraggio gratuito e al quarto anno alla scuola viene richiesto di mettere in campo azioni di correzione comprendenti il cambiamento dei curriculum, la sostituzione del personale, il prolungamento delle ore di insegnamento. Al quinto anno consecutivo di insuccesso la scuola subisce un processo di completa ristrutturazione. La ristrutturazione comprende: la trasformazione della scuola in “Charter School” (cioè in scuola pubblica data in gestione a soggetti privati con una regolamentazione minima), la sostituzione del dirigente e dello staff, la cessione del controllo a un management privato oppure allo Stato.
Diane Ravitch, atto secondo
Diane Ravitch dopo aver partecipato ai lavori preparatori del National Assessment of Educational Progress e aver visto l’avvio del nuovo sistema di Testing dall’interno dell’amministrazione, ha iniziato a partire dal 2007 una riflessione critica – che progressivamente è divenuta un’abiura – sugli effetti del nuovo sistema.
In una serie di articoli (http://www.aft.org/pdfs/americaneducator/summer2010/Ravitch.pdf; http://www.edweek.org/ew/articles/2009/06/04/33ravitch_ep.h28.html e in un libro pubblicato nel 2010 (The death and life of the great american school system), la Ravitch ha raccolto i risultati di una lunga riflessione iniziata nel 2007 conseguente a quella che ha definito una “crisi intellettuale”.
In questi scritti la Ravitch ammette di essere stata “speranzosa” ed “entusiasta” circa le benefiche potenzialità del sistema dei test scolastici, dell’accountability delle scuole, del sistema di scelta da parte delle famiglie e del mercato, ma di essere stata contraddetta da diverse constatazioni empiriche. La prima autocritica (abbastanza semplicistica anch’essa, in verità) riguarda il tema delle cosiddette “riforme miracolistiche” che hanno attraversato la scuola americana, tutte immancabilmente proposte come cure certe di tutti i mali. Per la Ravitch si è trattato in realtà di soluzioni banali e inadeguate che hanno distratto i professori da un costante e duro lavoro di miglioramento della scuola stessa. La Ravitch ammette di essere salita sul “carro festante” che celebrava i principi dell’accountability, degli incentivi e del mercato. Un carro condotto da uomini politici e di affari sostenitori del libero mercato con il supporto di importanti fondazioni private (Bill Gates, Heritage Foundation). Tutte le astuzie retoriche, inoltre, che promettevano la fine della burocrazia, migliori opportunità per i più svantaggiati, di dare forza e di responsabilizzare le famiglie povere, e addirittura di eliminare la distanza fra ricchi e poveri, fra neri e bianchi, si sono rivelate prive di ricadute concrete. Le evidenze sperimentali accumulate, infine, hanno convinto la Ravitch che la riforma della scuola americana e il suo sistema di valutazione basato sui test non hanno mantenuto le promesse. Diane Ravitch ha attraversato la scuola dell’uomo economico e nell’attraversarla ha detto:
Diane Ravitch, monologo
Il sistema di Choice non ha funzionato. Le percentuali di studenti che hanno deciso di cambiare la loro scuola è stata bassissima (1-5% a seconda degli stati). Le famiglie hanno preferito lasciare i propri figli nelle scuole del distretto o vicino casa piuttosto che trasferirli in autobus (sebbene gratuito) distanti da casa.
Il sistema di tutoraggio non ha funzionato con percentuali di aderenti comprese fra il 7 e il 20%.
Di contro il sistema del tutoraggio ha creato un programma parallelo di ‘Voucher’ intorno a cui sono proliferate oltre 2000 società o enti privati che hanno iniziato a offrire corsi di recupero, in alcuni casi usando anche la corruzione (dei ragazzi e dei dirigenti) per ottenere l’adesione ai loro programmi.
I sistemi basati su ‘incentivi e punizioni’ sono adeguati al mercato in cui il profitto è la priorità più alta. Per l’istruzione essi non sono adatti.
Inoltre la chiusura delle scuole che non raggiungono gli standard ha avviato un processo di demolizione del sistema scolastico pubblico, con scuole statali chiuse o sostituite da scuole private e da Charter Schools, senza peraltro alcuna garanzia di un miglior successo. Nel 2006-2007 25.000 scuole non raggiunsero l’AYP, nel 2007-2008 il numero è aumentato a 30.000, pari al 35.6% di tutte le scuole pubbliche.
La legge ha trascurato i contenuti curriculari e gli standard educativi. Chiede alle scuole di ottenere punteggi elevati nelle competenze di base, ma non chiede il curriculum, né fa innalzare gli standard di apprendimento. Essa ignora studi importanti come la storia, l’educazione civica, la letteratura, le scienze, le arti e la geografia. L’accountability perde di significato quando mina le fondamenta dell’educazione. Quello che doveva essere uno sforzo per migliorare la qualità dell’educazione è divenuto una strategia contabile: misura e poi punisci o premia.
NCLB è una legge punitiva basata sull’erronea assunzione sul metodo di migliorare le scuole. Essa assume che rendere pubblici i risultati dei test sia una leva efficace per la riforma della scuola. Essa assume che i cambiamenti della Governance portano a un miglioramento della scuola. Essa assume che le scuole umiliate da punteggi bassi possano raggiungere risultati migliori. Essa assume che punteggi bassi siano dovuti a insegnati fannulloni e dirigenti fannulloni che devono essere minacciati con la perdita del lavoro. Forse, in modo ancora più naif, essa assume che punteggi alti a test standardizzati su materie di base siano sinonimo di un buon livello di istruzione. Queste assunzioni sono errate.
Il testing non è un sostituto del curriculum e dell’istruzione. Un’educazione elevata non può essere raggiunta con una strategia dei test agli studenti, con minacce agli educatori e chiudendo le scuole. I test dovrebbero seguire il curriculum. Dovrebbero essere basati sul curriculum. Non dovrebbero precederlo e non dovrebbero sostituirlo. Il problema dei test, adottati per prendere decisioni sulle persone, è che i test standardizzati non sono strumenti precisi. Inoltre il testing è diventata la preoccupazione centrale delle scuole; non è meramente una misura, ma un fine.
Il Comitato per un uso appropriato dei test del Research Council nel 1999 affermava che i test non sono perfetti e che il punteggio non è una misura esatta delle competenze di uno studente. Inoltre avvertiva che un decisione che abbia un effetto forte su chi ha sostenuto un test non dovrebbe essere assunta solamente o automaticamente sul risultato di un solo test.
Il comitato affermava inoltre che “tutti gli studenti hanno diritto a una sufficiente preparazione ai test” affinché essi abbiano familiarità con il format, gli argomenti e le strategie di risposta. Ma avverte che i risultati possono essere invalidati da “un insegnamento troppo vicino agli obiettivi di un particolare test e che i risultati possono migliorare senza effettivamente allargare le competenze che il test vorrebbe misurare”.
Che valore ha per uno studente far bene a un test di lettura se non è poi in grado di replicare lo stesso successo su un altro test? Oppure se non sapesse trasferire queste abilità in un contesto non familiare? Un’eccessiva preparazione ai test distorce gli obiettivi dei test che non sono prendere punteggi più alti. Il comitato non avrebbe mai pensato che appena due anni dopo il suo report, sarebbe passata una legge che stabilisce dure conseguenze non per chi sostiene il test, ma per gli educatori e per la scuola. O che dieci anni dopo il presidente degli USA avrebbe spinto gli stati e le scuole a valutare gli insegnanti sulla base dei punteggi degli studenti ai test.
Le scuole devono avere un forte, coerente ed esplicito curriculum fondato sulle arti liberali e sulle scienze. Con numerose opportunità per i ragazzi di impegnarsi in attività e progetti che rendono l’apprendimento vivo. Bisogna adesso preoccuparsi che gli studenti acquistino un apprendimento che gli serva per comprendere il dibattito politico, i fenomeni scientifici e il mondo in cui vivono. Dobbiamo esser certi che siano preparati alle responsabilità dei cittadini democratici in una complessa società. Ci dobbiamo preoccupare che i nostri insegnanti siano ben educati, non ben addestrati. Dobbiamo esser certi che le scuole abbiano l’autorità per mantenere sia gli standard di apprendimento che di comportamento.
Le scuole fallirebbero di certo se gli studenti si diplomassero sapendo come scegliere la risposta giusta fra quattro pallini di un test, ma fossero impreparati a condurre una vita densa di significato, a essere cittadini responsabili e a compiere scelte adeguate a se stessi, alle loro famiglie e alla società.
I riformatori in USA cercano scorciatoie e risposte facili. Troppi riformatori immaginano che sia facile creare un sistema scolastico di successo, ma non lo è. Essi immaginano che le ricette di una scuola di successo siano ovvie e possano essere trasferite ad altre scuole, proprio come si farebbe con un processo industriale che può essere trasferito in un nuovo impianto.
Quando i fatti cambiano, io cambio le mie idee.
Epilogo
E noi?
________________________
NOTE
Tutte le citazioni della Ravitch scritte nel suo “monologo” sono traduzioni mie tratte dagli articoli contenuti in http://www.aft.org/pdfs/americaneducator/summer2010/Ravitch.pdf; http://www.edweek.org/ew/articles/2009/06/04/33ravitch_ep.h28.html e nel noto The death and life of the great american school system: How Testing and Choice Are Undermining Education, Perseus Book Group, Philadelphia 2010. Non sono stati citati i luoghi esatti perché, più che di discuterne la scientificità, ho scelto di dar peso al valore testimoniale di queste posizioni. L’ordine sparso è voluto.
Sui test e la meritocrazia negli Usa si può leggere anche http://gliasinirivista.org/2013/02/la-scuola-che-verra-test-e-meritocrazia-negli-usa/.
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Caporedattore
Roberto Contu
Editore
G.B. Palumbo Editore
E noi…
Grazie per i tre interventi sulla valutazione e l’Invalsi, tutti interessanti e circostanziati.
E noi… possiamo solo sperare che l’Europa sappia sognare un sogno diverso da quello americano.
“Panem et circenses”
Da più parti ci si interroga su quale sia il ruolo della scuola oggi, in una società che sembra correre alla deriva avendo perso i punti di riferimento. In realtà, le nuove generazioni non hanno, non si danno, il tempo di vivere le esperienze. Le bruciano nell’illusione che questa sia vita. Ma non è onesto affermare che gli studenti siano indifferenti o insensibili.
Un’esperienza vissuta da poco in classe lo testimonia. Durante l’ora di latino, parlando di Tacito e del suo atteggiamento sprezzante nei confronti delle masse, il discorso si è fermato sull’accontentarsi da parte di queste ultime di “panem et circenses”. Quelli che, fino a quando si parlava delle Historiae dello storiografo, si erano mostrati assonnati e anche un po’ annoiati, si sono ridestati ed hanno dato vita ad una discussione che ha preso le mosse proprio dall’utilità del “panem” e dello svago per tenere buono il gregge belante. Questo non ha bisogno di pensare se chi ha la pretesa di essere il pastore mostra, a portata di mano, la felicità nel soddisfacimento degli istinti più elementari. Con un volo lungo alcuni secoli, non è stato difficile poi leggere, in chiave attuale, nella massa tacitiana lo stesso atteggiamento del popolo italiano, che sgrana gli occhi dinnanzi alla possibilità dell’abolizione dell’IMU, per esempio – I ragazzi sanno essere più svegli di quello che danno a vedere: a tutti è stato subito chiaro, come si tratti di campagna elettorale che gioca sul tempo -.
La discussione, tradendo promesse affascinanti quanto delicate, ha piegato in una direzione inedita ma non meno interessante. È stato scartato il confronto ideologico per scegliere invece quello pragmatico relativo al senso delle tasse in una nazione democratica. Ragazzi di diciannove anni si sono interrogati su un argomento apparentemente lontano dalla loro realtà immediata, con una serietà spesso estranea ai politici che invece dovrebbero nelle opportune sedi affrontare tali questioni. Perché pagare le tasse? Chi le deve pagare e con quale criterio? È giusto pagare le tasse se ad esse non corrispondono adeguati servizi? (scuola, sicurezza e sanità – di qualità – oggi non sono più garantite a tutti) Che senso ha continuare a pagare la tassa sulla spazzatura se il paese è ridotto a discarica a cielo aperto?
Questi alcuni degli interrogativi che hanno animato il dibattito. Ed ecco che quella che si presentava come una noiosissima lezione da tenere a narcotizzati studenti, si è trasformata in ciò che la scuola dovrebbe essere per vocazione: palestra di incontro e confronto democratico fra soggetti dotati di capacità critica, vivaio di nuove idee, laboratorio di esperienze nuove, energia capace di scardinare un sistema di disvalori che sta pericolosamente allargando la forbice sociale fra cittadini di serie A e popolino di serie B, legittimando discriminazioni e abusi di potere. La scuola deve essere luogo dell’incontro dell’alterità che aiuta a crescere nell’ascolto, nel rispetto e nell’accoglienza dell’altro che inevitabilmente è diverso perché donna, musulmano, nero, povero, extracomunitario, slavo, omosessuale, handicappato.
Invece, e le prove INVALSI che hanno imperversato in questi giorni in tutti gli ordini di scuola ne sono la palese testimonianza, la scuola rischia di ridursi a meschino meccanismo schiacciato fra contenuti, sempre meno significativi perché focalizzati prevalentemente sulle conoscenze, e una valutazione finalizzata ad ingrossare i faldoni delle elaborazioni statistiche. Ma noi insegnanti che ogni mattina raccogliamo la sfida di “e-ducere” siamo davvero disponibili a lasciare che la scuola sia trasformata in uno stipendificio che produca saperi di massa, rigidamente codificati e quantificabili in asettici punteggi?