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diretto da Romano Luperini

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Dopo le elezioni

Siamo entrati in un tempo in cui il senso della storia, dell’etica e dell’impegno civile non solo sono diventati meno frequenti ma hanno cambiato natura. Siamo dentro una fase storica in cui il senso della storia, quando ci sia, è senza storicismo, il senso dell’etica, sempre più raro, è senza morale precostituita e il senso dell’impegno civile, comunque poco presente, è senza più nazione o popolo.

Da questo punto di vista gli italiani, sempre più massa e sempre meno popolo, civili e barbari insieme, europei e per molti versi ancora selvaggi, sono alla retroguardia e all’avanguardia in Europa. All’avanguardia proprio perché di retroguardia: quanto è successo alle ultime elezioni non è che il giusto corollario di un processo avviato da decenni. Da un lato un ceto dirigente di pagliacci, di affaristi o di burocrati, che da tempo hanno perso il sentimento della nazione e anche quello del decoro e della vergogna mirando solo al loro particulare (nel caso meno ignobile, quello di gruppo o di partito ridotto ad apparato); dall’altro una massa scarsamente alfabetizzata, influenzata dal narcisismo dei demagoghi di turno. Mussolini, da noi, non è passato invano: è stato il frutto non casuale di una antropologia, di un carattere che l’antifascismo e la Resistenza hanno appena scalfito. Di qui il dialogo con le piazze che rispondono a comando (aveva cominciato d’Annunzio all’inizio del Novecento e poi attraverso Mussolini questa abitudine oratoria è arrivata a Berlusconi e a Grillo), la ostentazione della virilità (torsi nudi, olgettine e attraversate a nuoto), il monologo al posto del dialogo, la politica come spettacolo, la volgarità del linguaggio, la costante esibizione del proprio ego in rapporto con la folla, senza più mediazioni. Il trionfo italiano dei (cosiddetti) populismi massificati di destra e di sinistra pone l’Italia alla testa di un processo storico che rischia di coinvolgere tutta la vecchia Europa, il cui ceto politico, d’altronde, già oggi appare assolutamente privo di prospettive che vadano al di là degli interessi economici immediati.

Certo Grillo non è Berlusconi, e soprattutto i seguaci dell’uno presentano significative differenze rispetto ai seguaci dell’altro. Però “uno non vale uno” nemmeno per il Movimento delle Cinque stelle, dove c’è un “uno”, un “uno” solo, che decide e che può dire a ciascuno dei seguaci “fuori dalle balle” (mentre la reversibilità non è concessa). Fra le differenze, una è notevole: da un lato un partito di plastica fondato sul controllo della TV, dall’altro invece un movimento di giovani, per certi versi persino animato da una nobile utopia, che fugge la TV e idealizza misticamente internet, evoca la democrazia diretta e la revocabilità dei delegati e soprattutto propone una idea della politica non come separazione specializzata ma come attività che coincide con la vita stessa (qui la differenza fra Grillo, che fa spettacolo, e il movimento dei suoi seguaci, che tengono assemblee e fanno meet-up, mi pare notevole): tutte suggestioni che derivano da pratiche partecipative di tipo nuovo sperimentate anche nel Sessantotto. Il problema è che esse si conciliano spesso col leaderismo più sfrenato e incontrollato. Inoltre trovano ragione d’essere in una situazione di mobilitazione permanente prodotta da una crisi acuta, ma poi, in una situazione invece di normalità e di stabilità, vengono meno perché prevale invece il bisogno di mediazione e di rappresentatività, con la conseguenza che quelle spinte, rimaste frustrate, possono radicalizzarsi pericolosamente (anche in questo caso il Sessantotto indica la strada).

Nel movimento dei grillini ci sono alcune potenzialità positive, ma perché emergano e possano eventualmente affermarsi (cosa d’altronde difficilissima là dove il potere è di fatto nelle mani di uno solo) occorrerebbe un tempo che invece non c’è. Nel presente è facile immaginare che le componenti negative purtroppo prevarranno e la situazione politica precipiterà in un caos pericoloso per le sorti stesse della democrazia. Partiti sclerotizzati da un lato e un movimento ancora immaturo dall’altro non promettono niente di buono. Una classe dirigente sta dichiarando bancarotta, ma una nuova non è ancora all’orizzonte.

Ovviamente sarei contento se qualcuno intervenisse a dimostrarmi che questa analisi è troppo pessimista e che mi sto sbagliando.

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