Skip to main content
Logo - La letteratura e noi

laletteraturaenoi.it

diretto da Romano Luperini

La resistibile ascesa delle destre

Ci sono due destre?

La quasi totalità dei media concorda nel riconoscere che in tutto l’Occidente sta montando l’“onda nera” delle destre. C’è una rincorsa nel riconoscere questa tendenza con oscillazioni di giudizio che vanno da un segnale di pericolo per le democrazie, per altro minoritario, alla capacità delle stesse democrazie di “costituzionalizzare” le destre. Abbiamo già visto come la tendenza “neo-giolittiana” della grande borghesia in Europa stia producendo frutti perversi, portando alla crescita di tendenze ultraconservatrici quando non apertamente neo-fasciste (Vox in Spagna, il Rassemblement National in Francia) e neonaziste (AfD in Germania). Soprattutto nel dibattito politico italiano, si afferma l’idea delle “due destre”: una estrema, più apertamente reazionaria, e l’altra tendenzialmente conservatrice e democratica. Tale ricostruzione politologica sembra essere auto-rassicurante rispetto alla destra al governo, che si presenta formalmente rispettosa delle regole democratiche e che ospita al proprio interno posizioni apertamente neo-fasciste come i giovani “meloniani” dell’inchiesta televisiva “segreta” di Fanpage. Non si tratta solo di un fenomeno italiano: esponenti di primo piano di AfD e di Vox hanno rilasciato dichiarazione di chiara marca neo-fascista e neo-nazista. Per quanto imbarazzata sia la destra “conservatrice”, tutto questo smentisce la categoria delle “due destre”. Ci troviamo di fronte a una destra sola, che non tradisce il DNA storico di ogni fascismo, chiarissimo nella comune posizione razzista contro i migranti da Meloni fino a Trump, che si evolve lungo un continuum pericoloso dalle opzioni neonaziste fino al fascismo in “doppio petto” inventato da Almirante e oggi praticato dai suoi eredi. Nella doppia faccia sta la sigla politica del fenomeno, che rappresenta bene la sua radice sociale nella piccola-borghesia, pronta a difendere i propri residui privilegi a tutti i costi compreso il ricorso alla violenza aperta, come dimostra l’assalto di Trump al Campidoglio e gli inni neo-fascisti dei “ragazzi della Meloni”. Il “capo” del governo italiano e di FdI dopo settimane di tentennamenti equivoci ha preso le distanze dai “ragazzi”, dicendo che non c’è posto nel partito a chi fa riferimento a posizione nostalgiche del ventennio fascista. E’ molto probabile che la Meloni menta, ma pur prestandole fede con beneficio di inventario dovremmo verificare quali effetti pratici avrà la sua lettera ai dirigenti locali di FdI, dato che secondo alcune stime interne ed esterne all’organizzazione circa la metà dei giovani iscritti è su quelle posizioni e per coerenza con le parole del “capo” dovrebbe essere espulsa.

La questione della pace e della guerra

Il dato europeo delle elezioni sembra conservare i numeri di una maggioranza di “centro-sinistra”, che comprende un rafforzato Partito Popolare Europeo e un declinante Partito Socialista. Quindi l’assetto del recente passato del Parlamento e della Commissione europea sembra tenere, mentre nel voto lo schieramento di destra si è rafforzato, ma non in maniera tale da rovesciare gli equilibri. Inoltre sono in corso la costituzione di vari gruppi della destra del Parlamento europeo, che la vede molto frammentata. Di certo esce sconfitto l’asse franco-tedesco, da sempre centrale nell’Unione. Macron e Scholz sono stati battuti. Macron è uscito battuto dal primo turno, anche se l’azzardo di sciogliere l’Assemblea Nazionale e di indire nuove elezioni, in cui il Rassemblement Nazional della Le Pen e Bardella è stato dato per favorito, sembra rimandare tutto al secondo turno con uno scontro radicalizzato tra la destra estrema e un centro-sinistra antifascista. La risposta di Scholz è ancora incerta. Esce battuto lo schieramento guerrafondaio, ma a favore delle destre. In Germania vengono sconfitti anche i Verdi per la propria posizione favorevole a sostenere l’Ucraina nella guerra contro l’aggressione russa. È tipico che rispetto alle dinamiche “storiche” sulla questione della pace e della guerra si avvantaggino le destre. Non hanno mai avuto una vocazione “pacifista”. Prevale il loro antieuropeismo: sono contro la guerra strumentalmente perché le forze dominanti nell’assetto europeo sono filo-atlantiche e favorevoli alla guerra per procura, che gli USA stanno combattendo in Ucraina contro la Russia e più alla lontana contro la Cina. Contro questa è in corso una feroce guerra commerciale, che accresce anche le tensioni nel Mar della Cina, il terzo scenario della “guerra mondiale a pezzi” dopo l’Ucraina e il Medio-Oriente.

Se assumiamo ancora come metro di valutazione la questione della pace e del guerra, è evidente come sia saltato l’equilibrio planetario uscito dal secondo conflitto mondiale e come sia in atto un difficile riequilibrio con il declino della superpotenza unica statunitense sia in termini economici che militari. È il “multilateralismo concorrenziale”, a cui non si può più applicare il vecchio schema della guerra fredda, compresa la deterrenza nucleare. Una delle tendenze in atto potrebbe portare a un nuovo equilibrio “stile guerra fredda” (lo sostiene per esempio lo storico Barbero), in cui due blocchi si contendono l’egemonia planetaria, scontrandosi in armi solo in alcuni conflitti regionali. Ma la tendenza all’escalation degli scontri in atto non sembra deporre a favore di questo scenario, anche se le minacce della Russia di schiacciare il bottone nucleare sono ricorrenti e sin qui non messe in pratica. È una sorta di insana partita a poker sulla pelle dell’umanità e contro la vita sul pianeta, in cui uno dei giocatori continua a dire che la sua minaccia non è un bluff e l’altro (si è visto al G7 in Puglia) afferma di non temere la minaccia perché l’uso delle armi atomiche è “inammissibile” (!!!) per il diritto internazionale, che viene però calpestato tutti i giorni. L’incombere dell’egemonia commerciale e politica del colosso cinese su vaste aree del pianeta (segnatamente l’Africa, ma non solo) motiva un “serrate i ranghi” autoritario, anche in assenza di un movimento rivoluzionario su scala planetaria. Il processo si scarica inevitabilmente sui focolai di guerra. Un paradigma geopolitico, che ci viene presentato, contrappone il “blocco” delle democrazie occidentali a quello delle “autocrazie” (Cina e Russia). Lo schema ripropone uno scontro in stile guerra fredda tra Est e Ovest, quando la contraddizione principale sembra contrapporre il Nord e il Sud del pianeta, il quale è in corso di organizzazione. A smentita del suddetto paradigma ci sono il fatto che tra i paesi del Sud planetario vada annoverata la Federazione Indiana, la più grande democrazia esistente, per quanto corrotta e la presenza in Europa di democrazie illiberali come quella ungherese. In realtà i paesi del Sud del mondo, spesso in via di rapido sviluppo, stanno faticosamente organizzandosi per scrollarsi di dosso l’egemonia (soprattutto monetaria) degli USA. Per ora essi tendono a orbitare intorno alla Cina e al suo potere economico. In tale panorama il ruolo politico dell’Unione Europea è sempre più marginale, appiattito nell’alleanza subalterna con gli USA. Senza una politica estera unitaria, senza un sistema di difesa unitario, senza una capacità decisionale democratica a maggioranza, l’Europa rimane una potenza economica centrata sulla moneta unica, potenza oggi in declino con le evidenti difficoltà – per la prima volta in sessant’anni – della “locomotiva” tedesca. L’appiattimento sulla politica guerrafondaia statunitense ha fatto perdere all’Europa il suo potenziale ruolo di mediazione super partes dei conflitti in atto a partire dalla guerra ucraina, di cui siamo costretti a pagare i costi a spese degli investimenti nel welfare.

Le presidenziali americane

La situazione è destinata a peggiorare nel caso che alle prossime elezioni presidenziali americane prevalga Trump, come sembra probabile dopo l’esito disastroso del primo confronto televisivo e a meno di un cambio di rotta dei democratici. Tra l’altro abbiamo visto l’ulteriore radicalizzazione a destra di Trump nelle prime battute della campagna elettorale. In realtà tra i due contendenti non esiste una reale divergenza sulla politica estera, che è costante dal 1937 (fine dell’isolazionismo). È probabile una variabile interna: nell’attaccare la Cina, Biden ha scelto di fronteggiare l’alleato debole, la Russia, mentre Trump probabilmente preferirà un confronto diretto. Una cosa è certa: Trump presidente cercherebbe di disimpegnarsi dalle spese militari della NATO, tentando di scaricarle sui partner europei. È probabile che la politica guerrafondaia di Biden, come si è visto in Medio Oriente, si alieni le simpatie dell’ala sinistra dei democratici (i seguaci di Sanders), con la conseguente difficoltà di portarli alle urne e con il rischio di favorire Trump. È il trend generale della crisi delle democrazie: l’astensionismo, in particolare quello di sinistra. La recentissima decisione della Corte Suprema, con una maggioranza reazionaria creata da Trump, di concedere ampia immunità al presidente, non solo dilazionerà sine die il processo all’ex presidente per i fatti di Capitol Hill, ma soprattutto altererà irrimediabilmente l’equilibrio dei poteri della più antica democrazia del pianeta, avviandola a una sorta di “post-democrazia” illiberale (cfr. Il Manifesto del 2.7.2024).

Ascesa delle destre

Il quadro complessivo sembra quindi radicalizzarsi a destra, negli USA e in Europa. La politica neo-giolittiana di assumere negli equilibri di governo europeo la destra sedicente conservatrice in un ruolo subalterno non sembra avere risultati soddisfacenti di contenimento. Nonostante ciò, le trattative in corso per il secondo mandato di Ursula von der Leyen vanno ancora nella stessa direzione, che obbliga la Meloni a un ruolo gregario e per giunta “occultato” nelle geometrie variabili delle maggioranze nel Parlamento Europeo. Tali equilibri fanno perno sulle politiche razziste verso i migranti e sulla centralità dell’appoggio all’Ucraina in guerra. Nell’assetto del potere europeo, nonostante il vociare scomposto della Meloni, l’Italia sembra portare a casa poco o nulla, a somiglianza della deludente prestazione della nazionale di calcio.

Specificità del caso italiano

In tale conteso la situazione italiana è specifica. È evidente a tutti gli opinion maker che la destra nostrana non ha vinto le elezioni europee, nonostante gli incrementi percentuali (FdI è passata dal 26% delle politiche al 28,81% delle europee; FI+Moderati dal 9,01% al 9,61%; Lega dall’8,79% al 9,00%). Secondo i dati ufficiali del Ministero degli Interni, infatti, gli astenuti sono aumentati del 10% (i votanti sono calati da 30.439.592 a 24.627.542). In voti assoluti “per teste” le destre perdono così complessivamente 1.267.812 voti (FdI perde 596.880 voti; FI+Moderati 295.747; Lega 375.185). I numeri confermano la previsione di un aumento degli astenuti di destra, legati alla crescente delusione per la politica compromissoria e incoerente della Meloni in Europa; al di là delle dichiarazioni, infatti, la Presidente del consiglio appoggia in modo subalterno la politica della von der Leyen. Il centro-sinistra ha “vinto” le europee, crescendo sia in percentuale che in voti assoluti (il PD è passato dal 19,04 al 24,08% con una crescita di 255.670 voti; AVS dal 3,64% al 6,73% con 544.088 voti in più). Si tratta di uno spostamento a sinistra dell’elettorato ancora insufficiente, che conferma i risultati del precedente voto sardo. Occorre attendere le prossime scadenze elettorali per verificare se siamo di fronte a una decisa inversione di tendenza. Va in tale direzione il voto amministrativo che vede il centro-sinistra affermarsi in sei capoluoghi di regione: Cagliari, vinto al primo turno, Bari, Campobasso, Firenze, Perugia e Potenza. Vanno particolarmente sottolineati i ballottaggi di Firenze e di Bari, dove la destra aveva notevoli e dove, come a Bari, ha fatto carte false per vincere. Con cautela possiamo osservare che il centro-sinistra prevale nei grandi centri urbani, mentre la provincia “profonda” è ancora in qualche misura appannaggio delle destre. Chi esce con le ossa rotte dal test europeo è il M5S, che perde il 5,44%, cioè 2.010.961 voti assoluti. Questo risultato può avere un risvolto positivo se spingerà Conte a ridimensionare le sue ambizioni a favore di una prospettiva unitaria a sinistra.

Ci sono ulteriori conferme dell’analisi socio-politica condotta in questi mesi sulle pagine di questo blog. Da più parti gli osservatori hanno evidenziato il valore di sondaggio delle europee per via del metodo proporzionale. In primo luogo è confermata inconsistenza dell’ipotesi di uno spazio al centro dello schieramento. Le liste di Renzi e di Calenda non riescono a superare lo sbarramento del 4%, nonostante il contributo di +Europa. I loro voti rispetto alle politiche si sono quasi dimezzati. La lista più coerentemente pacifista di Pace Terra e Dignità non elegge alcun rappresentante e conferma un trend di quasi 50 anni: l’elettorato della sinistra radicale si aggira costantemente intorno al mezzo milione di elettori (un po’ meglio in questa tornata, con 513.240 voti assoluti, pari al 2,21%), che avvalora l’ipotesi di una “enclave” ideologicamente congelata, che dovrebbe essere messa in gioco secondo l’esempio francese. Verificheremo a breve se il radicalizzarsi della situazione francese nel ballottaggio di domenica 8 luglio segnerà una inversione di tendenza, che sembra essere possibile allo stato attuale delle cose. La posizione di radicale fronteggiamento del pericolo neo-fascista del Nouveau Front Populaire e la posizione realista di Mélenchon, che subito a ridosso del primo turno ha proposto la desistenza nei “triangolari” al ballottaggio a favore dei macroniani collocati al secondo posto dopo i neo-fascisti del RN, sembra aver dato un risultato positivo nella metà dei seggi messi in palio domenica 8 luglio, trovando accoglienza, anche se dubbiosa, anche in oltre 80 collegi in cui a ritirarsi sono stati i macroniani terzi classificati. Sia detto di passata: se fosse stata accolta la proposta della desistenza nei confronti dei candidati 5S meglio piazzati, fatta all’inqualificabile Enrico Letta dal fior fiore dei costituzionalisti italiani, probabilmente non avremmo la destra al governo in Italia.

Il voto giovanile e quello operaio

Meritano una specifica considerazione il voto giovanile e quello operaio. Abbiamo i dati su un campione ampiamente significativo (fonte: Eligendo) dei 21.000 studenti universitari fuori sede, per la prima volta al voto: sono andati a votare per l’80%, con un 20% di astensioni, contro il 58% dell’elettorato “maturo” (fonte SWG). Di essi, il 40% ha votato AVS, il 25% PD, il 10% Calenda, il 7,8% M5S, il 7,6 Renzi, il 3,3% FdI, il 2,3% FI e il 0,5% Lega. Nella piramide delle età la fascia giovanile sotto i 44 anni è nettamente orientata a sinistra, aprendo il futuro a qualche speranza progressiva; la tendenza è presente anche nella fasce più anziane(soprattutto gli over 64). La fascia di età centrale dai 44 ai 64 anni, numericamente più consistente, dà il contributo più ampio alla destra: sono “i figli di Berlusconi”, cioè gli elettori “allevati” alle tivù commerciali (fonte: sondaggio pre-elettorale CISE Telescope, ponderato alla luce dei risultati usciti dalle urne).

Il voto degli operai (fonte: SWG) è un dato ancora più serio: il 39% ha votato FdI e solo il 16% il PD. Un dato shock per chi pensa ancora all’esistenza di un punto di vista politico di classe. È evidente l’attualità delle vecchie categorie marxiane della classe in sé e della classe per sé. Ancora una volta, se fosse necessaria un’ulteriore conferma, si dimostra che la coscienza di classe non nasce spontaneamente tra gli operai, ma che va “educata” nel concreto delle lotte. Anzi l’avvitamento della crisi economica e sociale sotto l’effetto delle guerre per accaparrarsi le fonti energetiche e le materie prime (cfr. le terre rare in Ucraina o il petrolio al largo di Gaza) produce quella disperazione che è il terreno di coltura delle destre estreme, come in altre epoche storiche. Va aggiunto l’effetto della delusione cocente dei lavoratori per le politiche di abbandono di un punto di vista di classe del PD e di larga parte dei sindacati, almeno fino a Landini.

Per concludere

Dovendo trarre una prima conclusione, l’ascesa delle destre almeno in Italia e anche in Francia appare resistibile, e su scala planetaria nell’ultimo decennio non si è trasformata in una capitolazione. Certo, per resistere seriamente e inserire un cuneo nelle inevitabili contraddizioni della destre al governo (il magro risultato conseguito dalla Meloni nell’ambizione di cambiare la direzione maggioritaria nella UE), è necessaria una salda alleanza delle sinistre, che riprenda con forza la bandiera dell’antifascismo, della difesa della democrazia e dei diritti sociali (salute, istruzione, salario, previdenza). Occorre dire chiaramente che nelle lotte secolari del movimento dei lavoratori è stato sottovalutato il terreno dello sviluppo della democrazia borghese come situazione più favorevole all’affermazione delle istanze di rivoluzione sociale. In senso più prossimo rimane centrale da noi la difesa e l’attuazione della Costituzione, nata dalla Resistenza partigiana. Mi riferisco in particolare alla prossima battaglia referendaria contro l’autonomia differenziata e contro il premierato. Battere allora le pretese delle destre di stravolgere le istituzioni repubblicane diventa indispensabile, anche per chiudere l’esperienza del governo neo-fascista, cui un centro-sinistra politicamente disarmato ha concesso di arrivare al potere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenti recenti

Colophon

Direttore

Romano Luperini

Redazione

Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Roberto Contu, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Annalisa Nacinovich, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato

Caporedattore

Daniele Lo Vetere

Editore

G.B. Palumbo Editore