I volti di Tozzi: comparse primonovecentesche
Ingrandivo i ritratti discretamente. E fui mandato alle Belle Arti
Tutto parte dall’osservazione che nella narrativa di Tozzi ci troviamo di fronte a una miriade di volti, si ha l’impressione di aggirarsi in una galleria di ritratti. Si tratta di ekphrasis? di descrizioni? Quando si parla di descrizione spesso si pensa alla dimensione spaziale (Genette, 1969; Hamon, 1972, 1981, 1993; Lodge, 1977; Gabbi, 1979; e Pellini, 1998), in questo caso invece si allude ai personaggi. C’è, nella produzione dello scrittore senese, una continuità tra peasaggi e volti: i paesaggi sembrano dipinti e i volti sembrano ritratti. Come mai? In Tozzi, come già in Pirandello, i personaggi hanno una fisionomia ben diversa da quella ottocentesca, la fisiognomica è passata attraverso Lombroso, e Tozzi, come ci ha fatto notare Debenedetti sulla scorta di Borgese, attinge in modo quasi istintivo (ma d’arte scriveva) all’arte figurativa europea, non ultimo a Picasso, che i tratti del volto li deformava (si veda in proposito il mio Con Borgese e Debenedetti: Tozzi, artista di una provincia europea, in Federigo Tozzi in Europa. Influssi culturali e convergenze artistiche, a cura di Riccardo Castellana e Ilaria de Seta, Carocci, Roma, 2017, pp. 91-106). Tozzi mette in rilievo alcuni tratti o dettagli; tali dettagli sproporzionati e deformati possono essere letti anche come il segno dell’attenzione di Tozzi verso la psicologia. Le capacità pittoriche (connaturate all’artista) si uniscono ad una sorta di infatuazione mistica per le icone sacre della pittura senese (vedi Novale); l’interesse artistico dell’autore entra maggiormente in gioco nell’opera più biografica con il riferimento a quadri, pitture, ritratti, volti. Tutto questo converge nella rappresentazione di quelli che possono essere considerati i prototipi del personaggio primonovecentesco in crisi.
Prendiamo in considerazione alcune opere di Tozzi e ordiniamole, secondo il patto autobiografico di Philippe Lejeune, in progressione dalla più realistica alla più finzionale: Novale, I ricordi di un giovane impiegato e Il Podere, senza escludere Con gli occhi chiusi, passando dalla seconda persona di Novale alla prima dei Ricordi alla terza del Podere e di Con gli occhi chiusi. La prima, un epistolario rielaborato con la futura moglie; la seconda, un’opera in principio autobiografica, poi nelle successive redazioni e nella finale che noi consideriamo, con molti inserti che la rendono narrativa di finzione; la terza, un racconto lungo, a tema autobiografico ma con nessuna pretesa di realtà. Infine il romanzo, che in ogni caso ha tutti ingredienti autobiografici. Al centro l’amore in coppia, la fidanzata, e il difficile ruolo di figlio. Seppure i personaggi principali siano ricorrenti – il padre, il figlio, la fidanzata, ruoli prototipici o archetipici, che mostrano una dimensione antropologica – i volti, appena abbozzati, sono tutti diversi.
La presente selezione del corpus deriva in parte da una mia precedente indagine sui paesaggi tozziani, oggetto di descrizione, simili nella tecnica alle arti visive, con la vista in primo piano (il collegamento tra volto e paesaggio lo ha fatto Giorgio Bertone – che a sua volta rimanda a Georg Simmel, Il volto e il ritratto. Saggi sull’arte, Il Mulino, Bologna 1985 – a proposito di Leonardo: «Paesaggi e volti, riuniti sotto la stessa insegna visiva: lui che del paesaggio e del volto, del volto umano come paesaggio fisiognomico, anatomico psicologico e del paesaggio come volto del mondo naturale daindagare fece il suo traguardo», Giorgio Bertone, Lo sguardo escluso. L’idea di paesaggio nella letteratura occidentale, Novara, Interlinea edizioni, 1999, p. 40). Nel caso del paesaggio ci troviamo davanti a quadri, statici o dinamici, circondati da una cornice che ne separa la descrizione dalla narrazione dell’insieme. Tale cornice è in alcuni casi fluida o permeabile, in altri lo diventa nel corso della descrizione per mezzo dell’occhio che guarda. Nel caso dei personaggi vi è un tratto espressionistico che fa emergere i dettagli, li stravolge, deforma o semplicemente ingrandisce mettendoli in primo piano, possono essere alcuni elementi del volto o la postura del corpo (soprattutto nelle “comparse” ovvero in personaggi incontrati anche solo una volta ma descritti attentamente) a costituire sineddochi per viso, figura intera.
Ho effettuato una ricerca campione per parole chiave: ritratto, volto, viso, testa, occhi, bocca, tratti primari, escludendo le “azioni”, sguardo e sorriso. Le occorrenze sono tante, soprattutto di bocca e occhi, una ricorrenza quasi ossessiva. L’ordine delle parole chiave ricercate va dal generale al particolare ed è subito evidente che il particolare, come in Pirandello, crea un effetto di straniamento.
Il discorso poteva essere affrontato in due modi: ordinando le occorrenze all’interno delle singole opere, secondo il principio realtà-finzione, ovvero partendo dall’epistolario Novale per finire con il romanzo Con gli occhi chiusi; oppure per lemma dal generale al particolare facendo emergere le affinità tra i vari testi. Ho optanto per una commistione dei due criteri dove necessariamente uno deve prevalere in senso gerarchico sull’altro. Ho scelto il criterio comparativo tematico (per lemma), anche se più caotico, perché più pertinente alla modalità classificatoria per elenco. Partiamo dalla voce “ritratto” che unisce arte e personaggio, l’occorrenza nelle opere sarà segnalata di volta in volta.
Iniziamo con Novale, l’opera con il maggiore patto di realtà, sappiamo che le lettere sono state inviate da Federigo ad Annalena (pseudonimo di Emma) e che sono effettivamente servite a farli conoscere prima del matrimonio. Operazione editoriale è quella di pubblicare solo la voce dello scrittore; un dialogo in cui una voce è mancante. Quindi un monologo ma diretto a un tu in cui in quanto lettori possiamo immedesimarci. L’interesse artistico dell’autore entra maggiormente in gioco nell’opera più biografica con il riferimento a quadri, pitture, ritratti, volti. D’altra parte questo l’inizio:
Spero di rimediare con la presente dicendole che io vorrei conoscere le sue impressioni su l’arte senese; intendo dire su quanto di artistico esiste in Siena, specialmente nelle chiese, dove si trovano veramente tesori di pitture e di sculture quasi obliati dall’indifferenza.
Io che ho diritto chiamarmi un artista, come ella potrebbe riconoscere accettando la mia proposta, ho passato molto tempo a contemplare tali capolavori, rapito dall’idea stessa che l’artista aveva saputo infondere nel suo soggetto. Vorrei che ella mi dicesse – per esempio – l’affresco tale che trovasi nella chiesa tale mi piace specialmente perché ha questa maniera, ecc. (N, p. 14)
Da notare la ricorrenza in poche righe dei lemmi arte, artista, artistico: “impressioni sull’arte senese”; “quanto di artististico esiste in Siena”; “io che ho diritto di chiamarmi un artista”; “l’idea stessa che l’artista aveva saputo infondere nel suo soggetto”. Qui di seguito un elenco ragionato di citazioni-ritratto. A volte siamo noi a operare una lettura tematica e isolare il singolo elemento nella descrizione; altre volte compaiono invece isolati nel testo, una bocca, un paio d’occhi.
- RITRATTI
Consideriamo due passi, uno dall’epistolario Novale e l’altro, trasposizione in terza persona, dal romanzo Con gli occhi chiusi.
1 gennaio 1908. Da ragazzo avevo attitudine al disegno, quantunque sentissi, dentro di me, che quella manifestazione era la preparazione di una cosa più interna. Avevo quest’idea. Ingrandivo i ritratti discretamente. E fui mandato alle Belle Arti. Feci il corso d’ornato, mezzo di quello dell’Architettura e, poi passai al corso della Figura. (Tozzi, Novale, Le Lettere, 2007, p. 131. D’ora in avanti N)
Per non tenere Pietro proprio in ozio, Anna lo mise alle belle arti; perché aveva sempre avuto una certa tendenza al disegno, che a lei e a qualche avventore era sembrata da non trascurare. Una mattina, in casa, ricopiando un brutto ritratto a stampa, Pietro si chiese perché provasse quell’indefinitezza per Ghìsola (Tozzi, Con gli occhi chiusi, Milano, Garzanti, 1993, p. 55. D’ora in avanti O)
Artista di ritratti nella scrittura.Nel primo passo il patto autobiografico è evidente, d’altronde all’inizio della lettera aveva dichiarato: «Stasera ti faccio un poco di… biografia». Parla di sé come autore di ritratti (arte figurativa) mentre sta tracciando con la scrittura un autroritratto.
Nel secondo brano abbiamo una trasposizione della materia biografica di Novale in terza persona: le tendenze artistiche di Pietro e la decisione della madre di mandarlo alle Belle Arti; il ricopiare un ritratto e le emozioni per Ghisola.
Autoritratto (scritto) dell’autore. Nell’epistolario alla futura moglie il mittente si descrive nel suo aspetto fisico, psicologico, direi anche psicoanalitico. Anche in questi casi l’effetto è fortemente visivo.
Senza che Ella mi renda pan per focaccia le dico preventivamente da me, il mio aspetto fisico: capelli lunghi e anellati, biondi con chiazza d’oro; fronte alta e spaziosa con due rughe; occhi color d’acciaio turchiniccio e vivaci, aspetto non florido, quasi sempre pallido, bocca da violento; camminatura da epilettico; parlata franca, ma nervosa (a volte stentata); agito le mani in mimica a seconda il significato delle parole (di bontà, di irritazione, di paura), guardo in viso quasi tutte le persone. (N, pp. 43-44)
Comincio dal mio e dal suo ritratto. Non metto in dubbio la veridicità della sua descrizione, ma la trovo mancante in quella parte che non aveva né meno la mia, e per riparare quella lacuna io per il primo lo farò adesso. (N, p. 46).
Al mio ritratto debbo aggiungere un paio di baffetti biondi, spuntati precocemente fino dai dodici anni. La mia fisonomia quindi tradisce la mia età. Porto (eternamente) un cappello e un cappotto neri; rido spesso e, come le dissi, caccio i miei occhi in viso a tutte le persone che mi capita di notare, che non sono poche. Una volta (ai bei tempi dell’abbondanza) portavo i capelli pettinati alla Chopin, ma ora, invece, li lascio crescere come vogliono. Un’altra cosa. Anche la mia fisonomia è dolce e la mia aria ordinariamente è malinconica; e se anche rido spesso il mio riso si spegne in una naturale e severa compostezza di linee. Le dico tutto ciò perché anche quando mi legge Ella, possa avere un’impressione più definita e più forte del mio amico Rodolfo. Per questo motivo ho cercato d’avere la descrizione del suo ritratto. Il quale (Ella era sicura del mio complimento) mi piace malgrado delle sue reticenze nel dirmi che sa di non essere bella. Via più sincerità! Si è guardata allo specchio prima di scrivermi? (N, p. 48)
Passiamo all’opera che, in questo corpus, ha maggiore tasso di finzione, il romanzo Con gli occhi chiusi. Ci troviamo davanti a due metaritratti
- Il personaggio copia maldestramente un ritratto (disegno) mentre il narratore ne traccia uno del personaggio (scrittura)
Allungava e piegava il collo per veder meglio gli effetti; ma il disegno, a malgrado de’ suoi sforzi, era incerto e sbagliato, Si stupiva di non riescirci; e arricciava in giù e in su le labbra, fino a toccarsi la punta del naso. […] Esaminò il ritratto e poi la copia; e si sentì tanto scoraggiato che ne provò quasi affanno, come il culmine dell’indecisione e del dubbio che mai lo lasciavano in pace (O, p. 55).
- Ritratto del giovane Pietro e autoritratto dell’autore da giovane (vedi foto mandata da Emma a Borgese, in copertina del volume a cura di Castellana e de Seta, Federigo Tozzi in Europa, cit).
Ora era un giovinetto magro e pallido, con il vizio di tenere una spalla più su dell’altra. Vestiva male, con un cordoncino rosso al colletto sempre sgualcito e sporco; i capelli biondi, gli orecchi troppo larghi e discosti dalla testa; gli occhi di un celeste chiaro chiaro e come se egli avesse qualche cosa da difendere. Il volto con un’animosità ingenua e malinconica, ma sicura e risoluta; quasi imbarazzante e spiacevole. Talvolta, a giornate intere, sembrava malcontento; ma, se gli parlavano, doventava subito tranquillo e affabile. Tartagliava meno. (O, p. 71).
I suoi occhi, che avevano una mansuetudine mistica, contrastavano con le linee magre e sfuggenti del volto; sì che subito se ne notava la differenza. Aveva quelle indefinitezze profonde e persistenti, senza nome e senza mèta; che lasciano una traccia anche quando sono passate, come si vede se è passata l’acqua su la rena. Credutosi inferiore ai suoi amici di Siena, ora conosceva lo sbaglio acre; che poteva aver conseguenze anche nell’avvenire simile ad un’espiazione arida. Ma perché aveva sperato di poter doventare un pittore? Che significava quel tentativo inutile, dinanzi al suo amor proprio? Poteva non tenerne conto, per credere ancora a se stesso? (O, p. 97)
Ecco dunque che ancora una volta al ritratto, descrizione del personaggio protagonista (alter ego dell’autore in terza persona), si affianca la riflessione sull’identità artistica, che, come il narratore ci suggerisce, resta inappagata per un patologico senso d’inferiorità; siamo qui infatti anche in presenza di un ritratto psicologico che affiora dai tratti somatici; la fisiognomica fa trasparire l’indole e la personalità inquieta del personaggio.
Dunque fin qui abbiamo risposto alla domanda: i volti dei personaggi sono in forma di ritratto? Sì, perché Tozzi era anche un artista e come tale si percepiva. Dopo il volto di Pietro in con gli occhi chiusi torniamo a Novale.
Ritratto di Annalena.Arte figurativa, in absentia, due ritratti associati, lui vuole farle un ritratto (disegno) sulla base del suo autoritratto (descrizione a parole scritte) Commistione pittura-scrittura.
Non posso fare a meno di includere in questa lettera il suo ritratto! La giudicherà e mi scuserà meglio! (N, p. 54)
P.S. Prima di chiudere in busta la presente, l’ho riletta e m’è venuto il pensiero di stracciarla. In ogni modo non metterò il suo ritratto come ho detto (N, p. 56)
Dunque Federigo aveva fatto un ritratto di Annalena sulla base della di lei descrizione prima di conoscerla ma decide di non inviarglielo (e non è stato conservato); l’arte figurativa è un implicito molto enfatico. È la fantasia a sopperire la realtà. Quando Annalena diventa Emma, ovvero si conoscono, entra il gioco il lemma volto, che porta con sé una connotazione di sacralità.
- VOLTO&VISO
In Novale il volto è quello di Emma oggetto d’amore (sineddoche) Il volto di Emma.
22 marzo 1907. Non ho ancora potuto piangere dinanzi a te, a cagione delle cose vili che lo star lungi da te ha raccolte. Ma io lo faccio ora imaginando il tuo volto. Sembra anche ch’io mi purifichi tutto così. Sentomi tornato ad una tenerezza innocente. Amami. Non ti so dire ciò che questa parola significa per me. Ho la sensazione di una cosa eterna. Parmi che il silenzio della mia anima sia la significazione del nostro amore. Ma questo gaudio, così quasi libero dai sensi, lo hai anche tu. Anzi, io l’ho appreso da te. Fai che a poco a poco il mio animo possa tornare alla sua completa esistenza. Ora esso è ancora in formazione (N, p. 83)
La signora Pachetti mi parlò di te, ed io decisi ciò che prima parevami come un buco alla luce fatto in una grotta. Tornai quasi in me, e non mi vergognai di chiederti il denaro per venire a Roma. Sentivo di fare una cosa dignitosa. Già vedevo il tuo volto e i tuoi atti. Pensavo che avremmo pianto insieme (N, p. 87)
aprile 1907. Mentre studio, mi viene di risentire tutti i tuoi atti, e particolarmente le espressioni del tuo volto. Le ripenso e le rifaccio nel pensiero. Come sono esaltato da me stesso di questo amore! Parmi di avere dinanzi la felicità. Ed ogni giorno vi aggiungo un atto di devozione col pensiero, e lo allargo con tante minuzie di sogno. Il mio fine morale è di scomparire in te, di perdermi nella tua anima. Allora sento che sarò felice. (N, p. 88)
Non faccio tutte le cose insieme con te? Non vedo sempre il tuo volto? Non pensi anche tu le cose che io penso? Io prendo un libro, tu mi dici qualche cosa; e poi l’imaginazione s’intensifica ed io giungo a riprovare la soavità dei nostri istanti migliori.(N, p. 141)
Ma quando penso che il mio affetto è come sensibile sul tuo volto, e che il tuo sorriso è il mio affetto, allora mi s’aduna nell’anima come una moltitudine di pensieri tutti giocondi.(N, p. 128)
Contaminazioni e riflessioni sull’arte (ekphrasis): volto – pensiero di donna – statua di Rodin.
Ci sono molti casi di vera e propria ekphrasis (descrizione di / allusione a opere d’arte) in Novale, ne prendiamo uno dall’arte figurativa plastica.
Ora ho pensato ad una statua del Rodin: il Pensiero. Egli è uno dei maestri che mi ha dato molto della sua arte. Non ti posso dire bene che è questo Pensiero, però che è un simbolo. È una testa di donna che ha il collo sorgente da un blocco di marmo. Credi che il volto di lei è un pensiero (N, 84).
La pensée di Rodin è del 1895 ca. Ci siamo mossi per prossimità semantica dal ritratto al volto e ci siamo ritrovati di nuovo e ancora di più a stretto contatto con l’arte figurativa, allontanandoci dai personaggi (a cui torneremo).
Poe, Il ritratto ovale: contaminazione letteratura-pittura. È la descrizione di un racconto che parla d’arte, che poi Tozzi riprende in una sua novella
Le conosce le novelle del Poe? Se non le conosce le compri, che avrei piacere di esaminarle insieme. Per esempio, prendo il racconto intitolato Il ritratto ovale. Si tratta di un pittore che dipingendo una donna, mano mano che compie il lavoro sottrae i colori dalla carne della modella e li stempera sul ritratto; poi quando ha finito vi trasfonde anche l’anima della giovane. Pare il sogno di un pazzo e forse lo è. Ma quanta bellezza in quell’idea! (N, p. 39).
Passiamo allo zoom su occhi e bocca partendo proprio da Novale per poi chiudere con le comparse, ma naturalmente il materiale è immenso e non è possibile guardare da vicino i tratti dei volti di Tozzi. Faccio dunque alcune osservazioni d’assieme.
- OCCHI&BOCCA
Occhi e bocca costellano gli scritti di Tozzi, sono senz’altro gli elementi del viso più menzionati, presenti in modo ossessivo, ma rispondono a funzioni diverse. In Novale la bocca è metonimia per amore
I primi baci! Il mistero che si svela! Sorprese della gioventù sempre rosee! Quando la si guarda negli occhi, che ebbrezza! La mia donna aveva gli occhi neri; ma io non sono stato mai capace di scrutarli perché m’abbagliavano e tremavo. Se io dovessi descrivere il suo viso non potrei. Ne ho avuta sempre, una sensazione scompigliata, meravigliosa. Ecco: chiudendo gli occhi la rivedo, ma non bene. Riconosco la guancia tanto bianca come un petalo di rosa, e la bocca leggermente rosea, sempre atteggiata ad un sorriso calmo, incantevole. (N, p. 22)
Mentre nel romanzo Il Podere la bocca è quella di Giacomo, il padre in agonia, ritratta in smorfie di sofferenza, disgusto: una metonimia per “morte”. Non dimentichiamo che Giacomo, il padre agonizzante, è qui colui che incarna la metafora degli gli occhi chiusi.
Giacomo alzò, a poco a poco, faticosamente, il volto; e guardò il figlio ma non se ne fece caso: le sue labbra si erano affloscite e screpolate, deformando la bocca; gli occhi non erano più neri; ma, con le sclerotiche gialle e segose, le pupille parevano vizze. Le mani, che le due donne avevano lasciato, appoggiate dalla parte del dorso e aperte, cercavano di chiudersi senza riuscirci (Tozzi, Il Podere, Ravenna, Longo Editore, 2003, p. 44. D’ora in avanti P).
Giacomo aveva gli occhi chiusi, con le palpebre quasi trasparenti e violacee; dalla bocca mezzo aperta, respirava affannando e interrompendosi quando il rantolo gli chiudeva la gola. Le narici doventavano sottili e ceree (P, p. 51).
e il morente protendeva le labbra, si scoteva e inghiottiva. Una volta sola, aprì la bocca: la lingua e il palato erano chiazzati di rosso scuro.
Gli accostarono alla bocca un bicchiere, credendo che potesse bevere; ma gli rovesciarono l’acqua giù per la barba e la camicia. Remigio avvolse a un fuscello un poco di cotone idrofilo bagnato e glielo mise su la lingua. Il morente lo strinse; come per succhiarlo (P, p.51).
- TESTA
(Bassa o alta della voce narrante) Ce ne sono occorrenze metaforiche. Non solo e non tanto descrizioni, la testa è una sineddoche dell’io (in prima persona). Consideriamo qui i Ricordi di un giovane impiegato dove il ruolo nella società è messo in evidenza sin dal titolo. L’intellettuale-artista nei panni dell’impiegato ha figurativamente una testa ingombrante.
Un’occhiata, tra timida e dispettosa, a mia madre incinta e ancora giovane, mi fa chinare la testa e piangere (Tozzi, Ricordi di un giovane impiegato, Firenze, Cadmo, 1999, p. 8. D’ora in avanti R).
Almeno, se imparassi a telegrafare! Mi annoierei meno e durerei meno fatica; ma non riesco a leggere in tempo le striscioline di carta dove sono segnate le trasmissioni; e, mentre sto lì con la testa che mi doventa legata, entra un applicato con un telegramma da fare; mi dà un urtone e piglia il mio posto (R, p. 68).
Quando rialzo la testa, perché mi pare che la mia angoscia se ne sia andata, mi accorgo di non essere solo: c’è tutta la stanza che mi guarda (R, p. 73).
Io non so come rispondergli, e giro la testa da un’altra parte (R, p. 81).
Stasera, intanto, l’osteria era piena di gente allegra che cantava; e io mi sentivo anche più irritato del solito e stavo con la testa bassa tra le mani (R, p. 96).
Uno sbigottimento angoscioso mi spingeva tra quelli spazii, senza lasciarne né meno uno; e le nuvole ventavano sopra la mia testa. Io avevo paura di non essere più come gli altri, e mi convincevo di non tornare mai più (R, 102).
Ma almeno il carosello mi dà un’allegrezza che mi stordisce, come se avessi bevuto troppo e come se tutta la mia giovinezza mi facesse sbattere la testa nel muro senza capire più nulla (R, p.108).
- COMPARSE
Veniamo infine, per concludere, seguendo la legge del “maggior determinante segue”, alle comparse, personaggi secondari, incontri casuali ma dall’aspetto fortemente inquietante, tale che incontrandoli sulla pagina il lettore non può fare a meno di sobbalzare (ricordiamo che, come ha detto Petroni, «in Tozzi la descrizione non ha mai una funzione puramente decorativa»).
In Novale:
In una camera senza finestre, a metà della scala per venire in camera mia, dormiva un giovinetto compaesano a mio padre. Era venuto a Siena per lavare i piatti, ed era tenuto, invece, in campagna per ramare le viti. Ricordo il suo viso rosso con la scottatura del sole, la sua giubba bianca di ramato e il cappello, sfondato, di paglia. (N, p. 154-155)
Nel Podere:
Il Neretti si sedé, mangiucchiandosi l’unghia d’un pollice: Remigio gli aveva fatto ricordare tante cose del passato; e, sentendosi troppo distratto, invece di studiare un processo che aveva alle mani, si mise alla finestra a fumare. Aveva trentadue anni: piuttosto magro, con un ciuffetto nero e due anelli d’oro alle dita. Quando rifletteva, teneva la bocca chiusa e mandava a ogni momento il fiato giù per il naso, strizzando gli occhi rotondi; come se fossero stati troppo grossi per le loro palpebre. (P, p. 73)
C’era un’altra donna che girava, da parecchi anni, dall’un paese all’altro, senza che nessuno sapesse chi fosse. Andava a capo chino come una suora, e portava sempre la testa avvolta da una pezzuola grossa, di lana; con le mani gonfie sopra il ventre. Aveva il volto grasso, ma pallido e con due rughe che tagliavano di netto gli angoli della bocca affondata sotto il naso adunco. Il suo mento ovale era quasi senza rilievo; i suoi occhi grandi e neri facevano un’impressione strana di misticismo e di cattiveria. Ma tutti le davano l’elemosina, perché temevano qualche maleficio. Le donne che l’avevano vista, restavano pensose a lungo; finché non fosse rientrata nella strada e sparita dietro qualche svolta. Ma ella camminava piano, con certe scarpe enormi che pareva dovessero pesare un quintale l’una. Perché, di quando in quando, si volgeva e si fermava a guardare le case? Che cosa voleva? Le donne dicevano: «Sarò contenta soltanto quando non la vedrò più.» (P, p. 139).
Particolarmente inquietanti sono alcune comparse femminili in Con gli occhi chiusi:
La stretta Via dei Rossi, al principio, dov’era l’uscio vecchio della trattoria, si empiva un’ora prima del tempo, di mendicanti; fra i quali era anche la moglie di Pipi, giovine, ma così smunta e gialla che la sua bocca era come un taglio senza labbra: andava come se non avesse potuto piegare la testa da nessuna parte. Molte volte, dalla veste male abbottonata e sudicia, si vedeva il petto vuoto e senza seni.
C’era anche una vecchia, dal naso enorme e pavonazzo, con un cappello da contadina, del quale le trecce di paglia si disfacevano intorno; e ne rimaneva sempre un giro di meno. Questa pretendeva d’avere la prima elemosina, e non se ne andava finché tutti i pezzi di pane non fossero stati distribuiti. Talvolta gridava: – Quella vecchiaccia ne ha avuto più di me. Ed apriva ancora i lembi del fazzoletto pieno di pane duro, sorreggendo sotto l’ascella il bastoncino.
C’era una mendicante, a cui Domenico faceva l’elemosina tre giorni della settimana; una donna grande, dal volto acceso ed uguale come una maschera sottile, che non si poteva togliere, una maschera di pelle rossa. Portava, d’estate e d’inverno, uno scialletto di lana nero annodato dietro il dorso. Teneva sempre incrociate le mani pallide sul petto. La sua figliola, alta e leggiadra, non la lasciava mai, tenendo una mano infilata sotto uno dei suoi bracci; era scema e sorrideva sempre; ma di un sorriso dolce ed appassionato. Camminavano ambedue rasentando i muri; a passi lunghi, come se avessero voluto fuggire. Nell’attraversare la strada da una parte all’altra, si affrettavano anche di più. (O, pp. 89-90).
6. CONCLUSIONI
Oltre a coltivare un interesse intellettuale per le arti, (espresso oltre che in Novale e in articoli per Il Messaggero della Domenica) il talento artistico di Tozzi si riversa nella scrittura dando luogo a una proficua commistione tra arti visive e letteratura: alcune sue pagine sembrano dipinti.
Abbiamo visto dapprima il ritratto, che mette insieme l’interesse artistico dell’autore e la descrizione del personaggio; poi il volto, parola scelta per il titolo di questo contributo che allude a una varietà e anche all’autobiografismo; successivo, per prossimità sinonimica, il viso, dove l’elemento sacrale insito nell’amore per la fidanzata si sostituisce a quello artistico. Successivamente siamo passati, con uno zoom, ai centri di maggiore interesse dei sensi in Tozzi, ovvero la bocca (che mangia, che bacia, che parla) e gli occhi (che guardano). Ma anche gli stessi elementi corporali defunzionalizzati e ritratti in una posa che indica un atteggiamento verso il mondo, quello della chiusura o di un’apertura forzata e sofferente: la bocca aperta in una smorfia in agonia e gli occhi chiusi – quella che come ci ha detto Debenedetti è la più potente metafora tozziana. Poi la testa che spesso è la propria del narratore, un’autorappresentazione della voce che dice io, e in quanto sommità del corpo, è la parte per il tutto (del corpo) e dell’identità dell’autore che si autorappresenta come artista frustrato.
Che siano attori principali oppure comparse, i personaggi di Tozzi sono colti in azione e fissati sulla pagina con un’apertura della bocca, uno sguardo che si alza, con un forte effetto visivo (di deformazione-degenerazione di tipo espressionistico). I personaggi principali hanno ruoli fissi, cristallizzati, di padre, figlio, fidanzata, che rimandano a una dimensione antropologica; maschere archetipiche che uniscono l’antica tragedia greca alla coeva psicoanalisi. Le comparse, personaggi abbozzati sotto forma di descrizione senza un ruolo nell’azione, dall’aspetto e postura inquietanti, spettri dal volto espressionisticamente ingigantito e fermato in una smorfia dallo sguardo irrequieto del narratore, incaranano un’umanità sofferente.
Le caratteristiche fisiche e fisignomiche dei personaggi mostrano, come per sineddoche, il groviglio culturale dell’autore – dall’affinità con il maestro e sodale Pirandello al pronunciato interesse per la psicologia (Ribot etc.), dall’infatuazione per le icone sacre della pittura senese alla spontanea e sorprendente concomitanza con la contemporanea arte visiva europea (Picasso et alii) – producendo una collezione di ritratti espressionistici che malcelano dietro di sé le mastodontiche ombre dei personaggi primonovecenteschi.
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