La bibliomane e la dismissione dei sentimenti
Dopo aver coltivato a lungo il genere ibrido dell’inchiesta (Mistero napoletano, 1995 e La dismissione, 2002), Ermanno Rea, giornalista e scrittore ultraottantenne, è tornato con Il sorriso di don Giovanni (2014) alla narrativa di finzione.
Fin dalla copertina, su cui campeggia una figura femminile assorta nella lettura, il romanzo sembra promettere un’anomala seduzione: il titolo allude infatti al sorriso di Don Giovanni, prototipo del seduttore che abita molte delle pagine della letteratura, anche musicale, europea. Nell’explicit del romanzo, è questi che rivolge a Adele, protagonista dell’opera, uno sguardo ammiccante: si tratta di un corteggiamento bizzarro se pensiamo che nella finzione narrativa a don Juan corrisponde il mito letterario, mentre Adele è una donna in carne e ossalibera e piacente di cinquantaquattro anni che vive a Napoli e che, ripercorrendo in prima persona la storia della sua vita, racconta di come abbia consacrato l’esistenza ai libri e alla letteratura.
Rea, insomma, inventa per Adele un carattere specifico ma, al contempo, in lei disloca la sua visione del mondo: in un’intervista ha infatti dichiarato di provare per il suo personaggio “uno slancio che si è fatto via via immedesimazione, quasi autobiografia. In altre parole, Adele sono io”. (F. Erbani, Ermanno Rea: «Ho davvero paura che il mondo smetta di leggere» http://www.repubblica.it/cultura/2014/01/30/news/ho_davvero_paura_che_il_mondo_smetta_di_leggere-77260398/). Adele, come Rea, teme che l’umanità stia per misconoscere il valore dei libri e della lettura in cambio di “tic informatici, smemoratezze culturali, dismissioni di sentimenti”: in tal modo il romanzo può esser inteso come un’ apologia del libro e la protagonista come un deposito stratificato delle esperienze di lettura del suo autore (da Goethe a Calvino, da Flaubert a Tondelli).
Adele, del resto, è rappresentata sin dall’inizio come una promettente bibliomane: da quando, appena quattordicenne, prende l’abitudine di rifugiarsi tra le pareti de L’Isola, la bottega di un libraio d’altri tempi – don Arturo Mastrocinque – fino alla caparbia trasformazione in biblioteca dell’appartamento ereditato da nonna Serafina, altra appassionata lettrice che Adele tiene a modello.
All’esperienza libraria si affiancano costantemente quella amorosa e quella politica. Nell’appartata intelligent room di Mastrocinque, silenziosa e traboccante di storie, Adele, immersa nella lettura dell’Isola di Arturo, conoscerà l’amore per Fausto, che si accompagna alla scoperta del confronto sociale, dello scambio intellettuale: il romanzo attraversa «eventi cruciali, seguiti nel passaggio tra gli anni ’70 e ’80 (che hanno al loro centro la strage della stazione di Bologna e il terremoto del 23 novembre 1980).» (G. Ferroni, Adele, cuor di lettrice in http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/2620000/2619948.xml?key=Giulio+Ferroni&first=1&orderby=1&f=fir)
La formazione di Adele coincide infatti con gli anni Settanta: alcuni dei suoi amici faranno scelte estreme, come Mauro, e le pagheranno con la vita; altri – Fausto in testa – finiranno, figure un po’ stinte, – tra i quadri del partito comunista. E’ forse questa la parte più convincente del romanzo, quella in cui Adele interroga il senso del mondo attraverso le voci della narrativa: le storie personali, fatte di amori, delusioni, confusioni intellettuali e incomprensioni reciproche, vanno di pari passo con la percezione di un tessuto socio-culturale in via di disgregazione, in cui ideali e sogni si opacizzano e trovano una grigia “normalizzazione”: «in questo contesto Rea non può non farci balenare tracce della crisi e del disfacimento della Sinistra» (G. Ferroni, cit.).
La fine della storia con Fausto, vissuta sulla scia di un triangolo amoroso che richiama quello delle goethiane Affinità elettive, e la separazione del gruppo di amici, ognuno alle prese con il suo destino personale, conducono Adele a trasformare la sua passione per i libri in sistema di vita. Per lei, vivere per i libri significa navigare “su una zattera che non affonderà mai”: nel far ciò ha rinunciato alla dimensione privata della sua esistenza e, in particolare, ha accettato la perdita definitiva di Fausto. Per tutto ciò che ha lasciato, e per l’orizzonte politico perduto, compensati della passione per la letteratura e per la lettura Adele pare non avere rimpianti: eppure è in questa scelta assoluta che si avverte un “orizzonte contraddittorio” (Ferroni) o perfino “bovaristico” (Marchesini) che incrina il processo di identificazione del lettore.
Adele, donna ormai matura e pacata, ha fatto della sua casa un’invitante biblioteca, un circolo di lettura; da qui osserva il mondo con distacco, lasciandosi circondare solo dai tanti personaggi dei libri: ne ode le voci e ne scorge il sorriso invitante, tra i quali spicca quello di Don Giovanni.
Forse proprio quest’ultimo, allucinazione o mito letterario incarnato, è figura enigmatica e ambivalente della tensione fra vita e forma e dell’illusorietà, ad un tempo leggera e tragica, che il mondo di carta ha sempre comportato: consunti o intatti, ordinati su scaffali o ammonticchiati alla rinfusa, mai, infatti, i libri hanno preteso dal loro lettore una “dismissioni dei sentimenti”.
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