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diretto da Romano Luperini

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L’ingegnere Gadda nella «tetra» Europa del carbone

 L’oscillazione tra letteratura e ingegneria segna l’intera vicenda biografica di Gadda, condizionandone profondamente le scelte inventive. Troppo integrato nel mondo dell’ingegneria, e ingegnere troppo a lungo, per considerarsi con disinvoltura un uomo di lettere; troppo allettato dalle lettere, per sentirsi a pieno titolo un ingegnere, Gadda è diviso tra due culture discordanti ma non inconciliabili.

Dalla percezione di una lacerazione al suo superamento: questa parabola frastagliata, piena di faglie e di discontinuità, è fedelmente registrata nelle lettere che Gadda scrive nella sua veste d’ingegnere, affrontando questioni attinenti ad un ambito strettamente tecnico. In questa prospettiva il carteggio con l’«Ammonita Casale» (pubblicato in cinquecento copie a cura di Dante Isella nel 1982) costituisce un osservatorio d’eccezione da cui mettere a fuoco le contraddizioni dello scrittore-ingegnere. L’epistolario comprende 54 messaggi di Gadda e 26 dell’«Ammonia Casale S.A.» e copre l’arco di tempo decisivo che va dall’aprile 1927 al gennaio del 1940 (con una lunga interruzione tra l’autunno del 1931 e la primavera del 1936): sono gli anni cruciali dell’apprendistato letterario, in cui il romanziere fa le sue prime prove pubbliche.

Il lettore che, sfogliando l’epistolario con l’«Ammonia Casale», si aspetti di imbattersi nei guizzi inventivi del narratore lombardo, sotto questo profilo rimane inevitabilmente deluso. La parsimoniosa precisione di queste lettere è in apparenza quanto di più lontano possa esserci dai virtuosismi del Gadda scrittore. La sobrietà, la chiarezza espositiva, la linearità della comunicazione, sempre compita e a tratti cerimoniosa, testimoniano una completa adesione alle ragioni del destinatario, salvaguardano la piena accessibilità del messaggio e, al tempo stesso, si fanno specchio di una mente pratica, esatta, geometrica.

Il ritratto di Gadda che ci viene restituito da questa corrispondenza collima solo approssimativamente con la raffigurazione, talvolta stereotipata, fatta circolare dopo la sua morte da tutta una nutrita aneddotica biografica, nella quale il «Gran Lombardo» è tratteggiato come un personaggio da commedia: misantropo, goffo, irascibile, vorace, involontariamente grottesco. E se gli autoritratti umoristici disseminati nella prosa narrativa hanno finito per accreditare l’autenticità di questa maschera, forgiata dallo scrittore stesso ad uso letterario, l’epistolario ne smentisce in parte la verosimiglianza. Chi scrive queste lettere è un ingegnere apprezzato, rigoroso, diligente: la considerazione e la stima che gli tributano i colleghi e i dirigenti dell’azienda è tale, da far sì che ne vengano tollerati anche i comportamenti più inopportuni.

La carriera dell’ingegnere Gadda decolla nel settembre del 1925, quando è assunto dalla società «Ammonia Casale» in qualità di dirigente, addetto ai progetti d’impianti. «La Società “Casale Ammonia” presso cui sono impiegato», spiega Gadda in una lettera a Betti del 14 febbraio 1926, «fornisce a tutto il mondo impianti per ammoniaca, sfruttando un intelligente brevetto italiano del Dottor Casale. Esporta macchinario italiano, lavorato a Napoli, a Firenze, a Milano, a Genova. Io penso con ammirazione a questi miei colleghi e superiori e a voi altri che con tanto onore lavorate in altro campo: e capisco che sono un cretino». L’ingegnere milanese accetta di buon grado il nuovo lavoro allettato dalla prospettiva di viaggiare per l’Europa. Eppure, sin da subito, percepisce una frattura tra sé e il mondo produttivo che lo circonda. Un senso ossessivo di estraneità e di mutilazione emerge dalle lettere che lo scrittore invia da Roma ad amici e familiari: nonostante la buona accoglienza e la disponibilità dei colleghi, Gadda si sente solo e straniero in un ambiente che non gli appartiene. «Il nuovo lavoro, come prevedevo, è pesante, assorbente», confessa allora a Betti, declinando per lettera il «bollettino della sua vita priva di senso»:

‹‹La sera, tardi, esco stanco dall’ufficio, dopo aver messo a posto un numero inverosimile di tubi che fanno dei garbugli inimmaginabili.›› Ecco l’ultimo bollettino della mia vita priva di senso. – […] Adesso devo progettare dei pentoloni per fare il solfato ammonico, che è una sorta di letame, ma dall’aspetto pulito del sale: questi pentoloni pesano più di un elefante, perché sono di piombo; e devono andare in Russia [dove si trovava un impianto dell’azienda]. Io non so come fare perché temo che me li sconquassino sul più bello. – Insomma mi trovo alle prese continuamente con dei problemi a cui non avevo mai pensato: abbiamo mai parlato a Celle dello spedire in Russia pentole di piombo? Che cosa è questa Russia, questo piombo, queste pentole? Credo di impazzire. Voglio propormi a Pirandello per protagonista di un suo dramma.

Solo qualche mese più tardi, il 13 aprile 1926 s’inaugura la corrispondenza con l’«Ammonia Casale». La data del telegramma che apre l’epistolario segna l’inizio di un periodo di viaggi e di peregrinazioni. Al 1926 infatti risale la prima missione all’estero dell’ingegnere, che segue la costruzione e il collaudo degli impianti Casale installati in Francia. Dall’Italia al Belgio, passando per la Francia e la Svizzera: queste sono le tappe dell’itinerario malinconico percorso dall’autore tra l’aprile del 1926 e il maggio del 1927. Gli spostamenti sono diligentemente appuntati nel carteggio che, per la puntualità e per la continuità dell’annotazione, può essere paragonato ad una sorta di meticoloso taccuino di viaggio.

Al di sotto della superficie referenziale del discorso però si iniziano a scorgere, pagina dopo pagina, le spie di un malessere inconfessato. Un’inquietudine sempre sul punto di manifestarsi, pronta ad esplodere per il più fragile, inconsistente pretesto. Il 28 maggio del 1927, recandosi a Milano, Gadda si accorge di avere dimenticato il passaporto nella sua abitazione romana. Questo contrattempo, in linea di principio affatto rimediabile, lo getta in uno stato allarmante di prostrazione e di irrequietezza. Mosso da un’apprensione irragionevole e via via crescente, nel giro di poche ore, con insistenza sempre più assillante ed esasperata, invia agli allibiti colleghi dell’«Ammonia» ben cinque tambureggianti richieste di assistenza:

DIMENTICATO PASSAPORTO SCASSINATE CASSETTO TAVOLO MIA ABITAZIONE INVIATE PER ESPRESSO TRENO PIÙ RAPIDO TRANQUILLATEMI – GADDA – (Telegramma ‹‹urgente›› del 28.5.27 spedito da Milano alle 12).

CONFERMO MIO STOP PASSAPORTO TROVASI MIA ABITAZIONE CASSETTO TAVOLINO STOP ROSSI CONOSCE PADRONA STOP INVIATEMELO URGENTEMENTE PREGO TRANQUILLARMI – GADDA CARLO – (Telegramma ‹‹urgente›› del 28.5.27 spedito da Milano alle 17 e 30).

Ho dimenticato a Roma il mio passaporto e sono perciò immobilizzato a Milano.

Ho avvertito i Sign.ri Santagostino e Calissano – che mi dissero di fare il possibile per avere il passaporto qui.

Vi ho spedito oggi due telegrammi urgenti rimasti da Voi inevasi.

Per mia norma e tranquillità Vi prego telegrafarmi qual­cosa – anche se negativamente – a casa mia:

Via San Simpliciano 2 – Milano

Il passaporto travasi nel cassetto centrale, chiuso a chiave, della piccola scrivania nella mia camera: Via Ovidio 7 – presso Barelli.

Ho io la chiave.

Prego farlo aprire da un fabbro o tentar di aprirlo: non sarà difficile, essendo la serratura piccola.

Nel cassetto cercate dovunque – ma piuttosto a destra­ – sotto o dentro una scatola in cartone bianco da dolci. Rovi­state, prego, fra le carte.

È urgente me lo inviate per espresso a Milano – Via S. Simpliciano 2. (c’è anche la Piazza per disgrazia).

Scusate il disturbo. Cercate ottenere dalla padrona ciò che chiedo. Se no la cosa ha per me gravi conseguenze.

Confido sulla V. amicizia perché vogliate cortesemente interessarVi di quanto Vi chiedo e dirmi almeno qualcosa.

Attendo con ansia

(Lettera manoscritta datata«Sabato, 28-5-27. Ore 21. Milano.»).

PASSAPORTO NON ARRIVATO PREGAVI INFORMARVI POSTA ET CONFERMARMI TELEGRAFICAMENTE CON QUALE MEZZO SPEDITO CALISSANO RICHIEDE URGENTEMENTE MIA PRESENZA LUCERNA – SCUSATE GADDA (Telegramma ‹‹urgente›› della mattina del 29.5.27).

RICEVUTO PASSAPORTO RINGRAZIO PREMUROSO INVIO PREGO SCUSARMI STOP ANNULLATE MIO PRECEDENTE – GADDA (Telegramma ‹‹urgente›› della mattina del 29.5.27).

Questa sequenza epistolare scandisce un vero e proprio diagramma dell’angoscia: come un paralizzante lapsus verbale, nella sua anomalia, lascia affiorare i segni della nevrosi che Gadda porta dentro di sé, facendo però ogni sforzo per nasconderla, e annuncia nel rapporto con l’«Ammonia» la comparsa di un’incrinatura che, di fatto, si andrà acuendo nei mesi successivi. Non sorprende allora che le lettere scritte tra il giugno del 1927 e il luglio dell’anno successivo ruotino tutte intorno all’asse tematico della malattia. Il leitmotiv della malattia fa la sua prima apparizione nella lettera del 25 giugno 1927, in cui l’ingegnere annuncia che, a causa della febbre, non potrà recarsi al lavoro («ho la febbre e devo stare a casa»), per poi ripresentarsi in termini più radicali nell’epistola successiva: «sento già da diverso tempo un grave malessere» (lettera del 23 settembre 1927). Da questo momento in poi, nelle forme discontinue della sintassi epistolare Gadda declina un lunghissimo ‘bollettino’ medico, in cui il minuzioso elenco dei più svariati malesseri assume la valenza di un espediente per svincolarsi dagli obblighi e dalle costrizioni esterne.

Infine nell’ottobre del 1927 Gadda comunica oralmente ai superiori la sua intenzione di rassegnare le dimissioni dall’azienda Casale. Si tratta di una decisione sofferta, maturata da lungo tempo: «sto pensando di lasciare definitivamente questa vita da adultero, che mi assicura un pane», confessa all’amico Betti già nell’estate del 1926, «e di fare uno di quei colpi di testa che fruttano il più delle volte una revolverata al cervello». La scelta è però accompagnata da dubbi e tentennamenti: «e se non riesco?», s’interroga ancora nella lettera a Betti, «se la vena è un’illusione del dopo pranzo, se sono uno scalzacane qualunque, cui accoglieranno lo scherno e i rimorsi di aver mancato una vita utile per cercare le farfalle?». I dirigenti dell’azienda però non sembrano prendere troppo sul serio la richiesta di dimissioni, attribuendone le determinazioni ad un disagio passeggero più che ad una precisa volontà di rottura. A risolvere l’impasse interviene, pochi giorni dopo, una nuova malattia che allontana giocoforza l’ingegnere dal posto di lavoro. Gadda è affetto da un’ulcerazione del duodeno (che darà lo spunto al celebre episodio della Cognizione in cui si descrivono le iperboliche disavventure di Gonzalo sofferente a causa di un’ingorda abbuffata di pesce): l’improvviso manifestarsi del disturbo gastrointestinale si rivela quanto mai ‘provvidenziale’, perché collabora a dirimere il nodo che lo tiene ancora legato all’«Ammonia Casale».

In realtà l’allontanamento dalla società, più che dal precario stato di salute, è motivato dalla volontà di dedicarsi alla scrittura e allo studio. Il periodo di lontananza dall’ingegneria, che si protrae dalla fine del febbraio 1928 al maggio del 1929, rappresenta un momento di svolta nella sua carriera letteraria, di cui la stesura della Madonna dei filosofi costituisce l’effetto più appariscente. Sul piano esistenziale i benefici che gli fornisce pretestuosamente la malattia sono impareggiabili: sotto il profilo della produttività letteraria, l’anno trascorso in licenza è tutt’altro che improduttivo.

Alla fine del periodo di congedo, nel 1929 Gadda riprende a lavorare per l’«Ammonia Casale», questa volta in qualità di «consigliere tecnico».

Riannodato il legame con la società, dopo un periodo trascorso a Terni, nella seconda metà del gennaio 1930 l’ingegnere è inviato in missione prima a Sterkrade nella Ruhr e poi a Carling, in Lorena, nel dipartimento Modelle, posto «al limes etnografico franco-germanico». Questi mesi trascorsi nella zona livida e inospitale dei bacini carboniferi verranno poi rievocati nella prosa Il pozzo numero quattordici del volume Le meraviglie d’Italia. «Non era Francia, non era Germania», si legge nel Pozzo numero quattordici, «c’era una prevalenza di polacchi, di croati, di cechi. C’erano anche, forse, degli italiani. Dei caffè chiusi, da Fratelli Karamazoff, dove si entrava come in una chiesa, per trovarci molti giornali col mànico e certi ceffi!». Dopo Sterkrade e Carling, Gadda si sposta a Tertre in Belgio, per poi tornare a luglio in Germania. Questi viaggi non appagano quel desiderio illusorio di evasione da cui sempre Gadda è allettato, ma finiscono piuttosto col rivelare «la gelida uniformità degli oceani e dei continenti». I luoghi in cui sorgono gli impianti si somigliano tutti: ovunque s’incontrano cieli bassi «di cenere», alberelli che emergono all’orizzonte con il loro «scheletro nero, scontorto», lande fangose, pantani, miniere, fumi, vapori, officine… In questo senso la descrizione di Tertre tratteggiata nella prosa Tecnica e poesia assume una valenza paradigmatica e sembra compendiare in un unico quadro le diverse immagini delle regioni carbonifere a volta a volta visitate:

E Tertre era proprio una tertre: due metri di sopralivello compatti ed asciutti sublimavano quel luogo in uno spiazzo di gran pregio; tra melme e torbiere un’isola virtuosa, profumatamente pagata. E vi erano approdati mattoni, ruote grandi, enormi casse, ma non di biscotto, lamiere, vergellai, e vi vedevo cumuli di materiale d’ogni genere, travi di acciaio, legname accatastato, assi, cilindri, del macchinario gigante: sparsi un po’ dovunque, come fette di colonne corinzie in certe marine di DeChirico 1931, tra l’erbe, di sotto al radente migrare de’ piovaschi: un volo basso, greve. Baracche di legno per i pezzi più delicati, per i sacchi del cemento, i registri, i magazzinieri (occhialuti vecchietti): e pali con terne di fili maltirati, neri, a raggiungere motori provvisorî. Qualche fucina da campo, alla meglio, braci di coke intenso verso i geli imminenti. Incudini sotto le nuvole fuggitive; come paracarri. […] Il caos, mesi e mesi, generò l’organismo: ‹‹Fabbrica per il fissaggio dell’azoto atmosferico in sali fertilizzanti. Idrogeno dalla cocchiera››. Dalla brughiera gasometri, e torri di lavaggio, e colonne; e le allineate dei tetti e dei vetri; e, dentro, i compressori, le pompe; e, più là, muri di laterizio, le casse parallele dei forni a coke. E tubi d’ogni maniera, sfiati, spurghi, ciminiere metalliche: nella landa che fumerà solfo, vapori: tetra (.

Il vagabondaggio nella «tetra» Europa del carbone, è qualcosa di straordinariamente avvincente a pensarsi ma, al tempo stesso, di terribile a viversi.

Nel novembre del 1930 accade una tragedia destinata a segnare profondamente lo scrittore: il 5 novembre si verifica un’esplosione nell’impianto francese di Anzin, nella regione delle miniere di carbone descritta da Zola in Germinal. Gadda invia ai dirigenti dell’«Ammonia casale» un «Rapporto» sulle cause del guasto. Con pazienza, con cautela ricostruisce ed elenca le cause eventuali e parallele della tragedia. Nessuna ipotesi viene trascurata, ma la proliferazione di dati contrastanti sembra eludere ogni tentativo di razionalizzazione. Così il tentativo di individuare le cause dell’esplosione naufraga e si disperde soverchiato dalla pluralità dei nessi e delle motivazioni concomitanti. L’obiettività del resoconto cede il passo ad una prosa sempre più emozionata e risentita: la pagina epistolare viene assediata e gremita dalla calca disarticolata dei tubi portaresistenza aperti «“a tulipano” (en tulipe)», dalla ressa delle schegge volate via o conficcate nel pavimento, dall’«ammasso di rottami, travi divelte e contorte, tubi contorti e spezzati» che si accumulano accanto alla resistenza «convulsivamente contorta».

Il disastro di Anzin s’incide nella memoria dell’ingegnere che, nell’intervista rilasciata a Dacia Maraini nel 1968, ancora ricorda con orrore gli «shock gravissimi» subiti in Lorena a seguito «dei lavori che sono falliti, degli impianti che sono scoppiati». Il contraccolpo emotivo prodotto dall’incidente condiziona le scelte professionali di Gadda che medita di abbandonare ancora una volta il mondo dell’ingegneria.

Nelle lettere successive si mescolano pubblico e privato: per tagliare i ponti con l’azienda, l’autore chiama in causa le urgenze della vita privata. Le epistole del gennaio 1931 indirizzate a Calissano (che è il direttore dell’azienda e il principale interlocutore dell’ingegnere) aprono uno squarcio sul dramma che si abbatte sulla sua famiglia: dopo pochi giorni dalla nascita, ai primi del mese muore l’unica nipote di Carlo, la piccola Lydia, a causa di una complicazione intestinale. Rientrato precipitosamente in Italia, Gadda assiste impotente al dramma della sorella:

Purtroppo queste settimane, che avrebbero dovuto e do­vrebbero essere di serenità e di relativo riposo, sono state per me turbate da un doloroso avvenimento famigliare, la morte della mia piccola nipotina, che era nata a mia sorella lo stesso giorno di Natale. L’avvenimento, date speciali circostanze, ha assunto un carattere tragico e ci ha gettato nel più profondo dolore.

Così Gadda informa Calissano del suo lutto, pregandolo di esentarlo dal lavoro e lasciando intendere di non essere più in grado, anche per altri motivi, di svolgere serenamente la pesante opera di montaggio e di collaudo negli impianti esteri. Questa volta però il superiore si mostra inflessibile. Invia sì al dipendente le proprie condoglianze per telegramma e per lettera, ma contestualmente gli rivolge un discorso che non ammette repliche: anche lui ha perso una bambina in circostanze affini ma, a malincuore, si è imposto di anteporre i doveri professionali a quelli familiari e, a soli otto giorni dalla disgrazia, si è allontanato da casa. «Così oggi», conclude Calissano nella lettera del 5 gennaio, «il dovere non permette a lei il conforto di raccogliersi a lungo presso i suoi cari». Gadda prima cerca di prendere tempo, poi, messo alle strette, dopo ripetuti tentativi di mediazione rimasti senza esito, a metà gennaio rassegna le sue dimissioni dall’«Ammonia»:

Lo stato di mia sorella è tuttora preoccupante e già si è dovuto ricorrere a due interventi chirurgici. Io non posso assolutamente lasciarla, se non quando sia avviata la convalescenza. Occorrerà almeno una diecina di giorni.

Mi duole assai che questo mio doloroso caso famigliare debba avere una ripercussione sul mio lavoro, ma non posso agire altrimenti.

Esprimo a mia volta il vivo rammarico di dover lasciare la Società: al rammarico, si aggiungono altresì preoccupazioni d’ogni genere. Ma la Provvidenza, che ha voluto così dura­mente provarci, in qualche modo vorrà sovvenirci dipoi.

[…] Purtroppo lo stato attuale di mia sorella richiede la mia presenza qui per diversi giorni: è il periodo delicato e pieno di inquietudini che segue alla grave operazione subita: la febbre ritorna, a intervalli. Perché Ella possa meglio ren­dersi conto del vero stato delle cose, mi permetto aggiun­gere che la nostra mamma, per l’età e le occupazioni, non è più materialmente in grado di affrontare le fatiche morali e materiali di un trasferimento qui, di una continua presenza nella clinica: mio cognato ed io, sebbene impreparati, ab­biamo assolto a questo dovere e la nostra continua e vigile presenza ha dato coraggio all’ammalata e ha provocato da parte dei sanitari interventi pronti ed efficaci. –

Se mia sorella guarirà prontamente, come fervidamente spero, sarò ben lieto di esserle stato vicino in questo grave periodo. –

Ho accennato alle circostanze di cui sopra perché Ella possa avere la certezza che, chiedendo una dilazione al mio ritorno sul lavoro, non ho ascoltato se non la voce del dovere famigliare, ben sapendo come in certe situazioni la pre­senza degli interessati possa avere un valore decisivo.

Il mistero della morte sancisce, una volta per tutte, il destino infecondo dei Gadda: il processo della generazione e la catena della discendenza si inceppano irrimediabilmente. Lo scrittore è assalito dalla disperazione il dolore della sorella Clara è immenso. Da questo momento la donna precipita in una follia ossessiva e malinconica: cerca di surrogare con ogni mezzo la sua maternità mancata, progetta di adottare sempre nuove figlie. Di lì a poco, nel Pasticciaccio la nevrosi di Clara diventa la nevrosi di Liliana. O piuttosto l’una alimenta l’altra, perché Clara finirà per ripensare la propria storia sovrapponendola a quella fittizia del personaggio ritratto dalla penna del fratello. Come in un gioco di specchi, la realtà e la fantasia si riflettono a vicenda, entrano in collisione e s’influenzano reciprocamente.

Il lutto del 1931 ha delle inevitabili ripercussioni sulla parabola esistenziale del narratore. L’abbandono dell’ingegneria ne rappresenta la conseguenza più estrema ed immediata: Gadda utilizza i soldi della liquidazione per autofinanziare la pubblicazione della Madonna dei filosofi che in primavera esce in volume per le Edizioni «Solaria». Nel giro di pochi mesi lo scrittore stende la novella San Giorgio in casa Brocchi, che viene pubblicata a giugno; inizia a collaborare con «L’Ambrosiano»; comincia ad ideare lo schema di Un fulmine sul 220. «Adesso mi propongo di dare un tal colpo di timone», si ripromette scrivendo al cugino, «che nessuno oserà più chiamarmi “ingegnere” e “competente”, ma solo “scribacchino fesso”». Così, compilando il 27 settembre 1931 un formulario dell’esercito, per la prima volta dichiara di svolgere la professione di «scrittore-pubblicista». Purtroppo, però, come ha modo di ricordargli Calissano, «la letteratura, quando non si esprime in opere teatrali […] non dà che gioie spirituali, e queste non sono, per disgrazia degli umani, sufficienti a tutte le necessità della vita…». Gadda non tarda ad accorgersene e, dopo avere inutilmente contattato la «Pirelli», il 23 ottobre chiede all’«Ammonia» di essere assunto nuovamente. La sua richiesta è respinta. Da qui la necessità di trovare un’altra occupazione nel campo dell’ingegneria e il conseguente trasferimento a Roma, per lavorare presso i Servizi Tecnici della Città del Vaticano.

A questo punto il carteggio con l’«Ammonia» s’interrompe per alcuni anni, per poi riprendere nel 1936. Se fino al 1931 il dialogo epistolare è stato caratterizzato dalla regolarità e dalla tempestività del botta e risposta, adesso invece s’infittiscono gli intervalli di silenzio che s’inseriscono tra una lettera e l’altra, a tutto vantaggio di una scrittura occasionale, sempre legata a circostanze e ad occorrenze concrete.

La lettura di queste ultime lettere solleva più di un problema. Un primo elemento di complicazione deriva dal fatto che nella corrispondenza e nelle tante dichiarazioni autobiografiche Gadda non fa alcun riferimento al rinnovarsi del suo rapporto di collaborazione con l’«Ammonia». Vale a dire che l’ingegnere mente per omissione, tralasciando di menzionare una circostanza biografica che pure è palesemente documentata dal carteggio. Al più, compilando nel 1963 una scheda biobibliografica su richiesta di Angelo Guglielmi, accenna cautamente ad un «ritorno di fiamma» per l’ingegneria nel biennio 1936-1937 e, scrivendo al cugino nel novembre del 1937, allude a «passaggi da Milano per lavoro» e a «nuovi incarichi […] meglio retribuiti» che «sorgono all’orizzonte» e rappresentano «una tentazione per lui che ha bisogno di campare in qualche modo». Per ricostruire la trama di rapporti che lo lega in questi mesi alla società, occorre risalire allo scambio epistolare con Calissano del maggio ’36. Il 2 aprile è morta la madre di Carlo, Adele Lehr. Il figlio sprofonda in una «disperata solitudine», assillato dai rimorsi e da un «tormento» senza requie.Informato del fatto, Calissano rivolge prontamente le sue condoglianze all’ex dipendente; dal canto suo Gadda, nel ringraziare l’«Egregio Dottore», coglie l’occasione per avanzare una proposta: chiede l’autorizzazione per scrivere un articolo sugli esperimenti che l’«Ammonia» sta conducendo con lo scopo di utilizzare l’ammoniaca come carburante. Nel 1937 escono Azoto atmosferico tramutato in pane, Pane e chimica sintetica e Automobili e automotrici azionate ad ammoniaca. La pubblicazione di questi articoli è il frutto di una scelta strategica: per vie traverse l’autore si guadagna la gratitudine dell’«A.C.S.A.» che, lusingata dalla sua opera di promozione giornalistica, non tarda a riassumerlo.

Così dal 1937 al 1940 Gadda riprende a lavorare per l’azienda in veste di collaboratore esterno, con il compito di espletare degli incarichi temporanei, occasionali, ma estremamente problematici. L’impressione, in altre parole, è che la nuova incombenza sia senz’altro spinosa o, per meglio dire, «delicata», come l’autore la definisce in un’epistola a Calissano: «voglio darLe assicurazione che Lei avrà in me la più ferma volontà di adeguamento alle necessità di una colla­borazione anche varia e discontinua, e comunque delicata». Già dalla lettera del 4 ottobre 1937 si comprende immediatamente quanto sia riservata la missione affidata all’ingegnere che prende contatto con diverse ditte del settore per trattare l’acquisto di una condotta forzata «di tipo saldato e blin­dato per alte cadute» e per richiedere dei preventivi in merito alla fabbricazione di turbine idrauliche, di valvolame speciale, di macchinari raffinati e di apparecchiature elettriche. Queste acquisizioni sono destinate alla costruzione e all’istallazione di una centrale. Ma la questione si complica. Gadda ha l’obbligo di non rivelare il nome della «società od ente interpellante (cioè la Ammonia Casale S.A.)»; non può indicare «il paese (Messico)» nel quale è previsto che sorga l’impianto; non può specificare «in quale valuta estera verranno fatti gli eventuali pagamenti – o una parte di essi». In queste condizioni è impossibile concludere la trattativa. Le industrie consultate, che, a giudizio dell’ingegnere, sono «seriissime e abituate ai segreti», hanno comunque bisogno di ricevere maggiori informazioni in proposito.

La risposta di Calissano non si fa attendere. Il 6 ottobre il direttore comunica le nuove disposizioni della società, insistendo sul fatto che tutta la pratica deve necessariamente passare attraverso la mediazione di Gadda. Gli è raccomandato di fornire le poche notizie indispensabili in termini assolutamente generici, occultando il più possibile le significazioni troppo esplicite:

Deve restare ferma la raccomandazione fatta di evitare l’inter­vento degli Agenti Regionali.

Qualora i costruttori insistessero per conoscere il Paese al quale questo materiale dovrebbe essere destinato voglia indicare «che si tratta di un Paese dell’America del Sud» senza dare ulteriori precisazioni in proposito.

Circa la valuta si può indicare che si cercherà di indicare che il pagamento venga fatto in Lire Sterline o in Dollari (U.S.A.).

Non si hanno notizie circa l’esito della contrattazione. L’unico dato certo è che in Messico o in qualsiasi altro Stato dell’America del Sud non è mai stato allestito nessun impianto dell’«Ammonia Casale». Proprio in Messico, però, in questo periodo sorgono gli stabilimenti della BASF, l’industria tedesca che in previsione della guerra produce ammoniaca convertibile in esplosivi, aggirando così il divieto imposto alla Germania in materia di armamenti. Se negli anni Venti la BASF costituiva il più temibile concorrente dell’«Ammonia», a quest’altezza cronologica i rapporti tra i due gruppi industriali si sono normalizzati a seguito degli accordi stipulati tra il governo fascista e la dirigenza dello Stato tedesco. Che gli sforzi dell’ingegnere lombardo abbiano finito col potenziare (involontariamente) la macchina bellica della «belva tedesca»? Le lettere non aiutano a chiarire il mistero. E difatti nelle ultime battute del carteggio si snoda tutto un fitto reticolo di silenzi eloquenti ed enigmatici.

Sul piano delle vicende private queste ultime lettere all’Ammonia dicono di più, restituendoci l’immagine complessiva di un globe-trotter irrequieto e volubile che si sposta senza sosta tra Milano, Roma e Firenze, passando da un alloggio all’altro, da una pensione all’altra, tanto da considerarsi «reduce da tutte le pensioni e da tutte le camere d’affitto dell’universo». I frenetici pellegrinaggi, i mutamenti di domicilio, gli obblighi lavorativi adesso convivono con l’impegno letterario.

Nel suo complesso l’epistolario di Gadda con l’«Ammonia Casale» disegna una parabola. All’inizio, nel 1927, lo scrivente è un ingegnere con segrete aspirazioni letterarie; col passare del tempo si accresce la sua insoddisfazione per la «schiavitù» imposta dall’ingegneria e, di pari passo, tra dubbi e tentennamenti, si va rafforzando in lui la volontà di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura e agli studi filosofici. La giostra epistolare delle richieste di congedo e delle dimissioni, ogni volta puntualmente ritirate, è il segno più appariscente di questa oscillazione incessante tra letteratura e ingegneria. Le ultime pagine dell’epistolario ci consegnano però un quadro del tutto diverso. Quando nel 1937 inizia a stendere La cognizione del dolore, Gadda ha passato i quarant’anni e, guardandosi alle spalle, scorge solo un cumulo di esperienze contraddittorie che lo hanno condotto alla maturità senza un lavoro definitivo, quasi ignoto al pubblico dei lettori, con al suo attivo qualche racconto, alcuni saggi e pochi romanzi incompiuti. Mentre deluso dal grigiore dell’esistenza s’impegna nel disbrigo di tortuose pratiche industriali per conto dell’«Ammonia» e redige, su incarico di Calissano, una relazione sulle capacità dei forni Didier-Fiorelli, contemporaneamente va scrivendo quello che giudicherà il più importante tra i suoi libri. Gli anni dell’ingegneria non sono stati spesi inutilmente: adesso le relazioni complesse che intervengono a comporre il tessuto del reale non gli sembrano poi tanto dissimili da quelle chiamate in causa nel montaggio di una centrale. Finalmente Gadda può guardare alle lettere con l’occhio del tecnico e costruire la sua opera, rigo dopo rigo, con la logica analitica e la perizia artigianale dell’ingegnere. La voce onnivora del narratore è pronta ad accogliere l’«espressione impura (ma non meno vivida) della marmaglia, dei tecnici» e si abbandona con furia mimetica a rappresentare il guazzabuglio del mondo. Il cerchio si chiude. Il lungo racconto epistolare, protrattosi in modo intermittente per più di dieci anni, rivela di non essere altro che la rappresentazione, fatalmente incompiuta, di un destino: dopo innumerevoli prove, al termine di questo percorso l’ingegnere diventa a tutti gli effetti uno scrittore.

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NOTE

Questo articolo è una versione ridotta del saggio più ampio Nel «garbuglio dei tubi». Le lettere dell’ingegner Gadda, in «The Edinburg Journal of Gadda Studies» (http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/journal/supp9decennial/supp9.php).

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