Un lascito inatteso: Trevisan critico letterario. Su Billy Budd, Billy Budd. An inside reading
Il ritmo dato al titolo dall’anafora e l’inglese del sottotitolo sono una prima marca identitaria di questo testo postumo che è sino ad oggi un unicum nella produzione di Vitaliano Trevisan, scrittore, sceneggiatore, attore, drammaturgo, regista teatrale: un saggio di critica letteraria. La sua scrittura, pensata per la lettura solitaria o per la rappresentazione a voce alta (narrativa o teatro) ha sempre avuto ritmo, così come l’andatura della sua voce in occasione di presentazioni, letture, conferenze: una nenia vicentina a tono basso intercalata da pause, mezzi sorrisi e all’occorrenza un sopracciglio che si inarcava. L’inglese, oltre che nei titoli, lo usava spesso negli scambi verbali orali e scritti; frasi brevi, a chiudere un’argomentazione, un dialogo, dirette ed efficaci.
Billy Budd, Billy Budd (Oligo, Mantova, 2022) è un testo perfetto – cioè a dire ineccepibile a) per la ricostruzione storico filologica della bio-bibliografia di Hermann Melville, b) per l’approfondimento critico sul tardivo Billy Budd, c) per lo stile asciutto ed elegante – in cui non c’è nulla di troppo e in cui non manca nulla, trasuda Trevisan da ogni parola. Anche in questo caso la sua è, come avevo azzardato anni fa in uno scambio email a proposito di Works, una narrazione descrittiva. Il 21 aprile 2017 mi scriveva: «narrazione descrittiva: what do u mean exactly? i’m interested – ciò che cerco di fare sempre, scrivendo, è descrivere evitando di essere didascalico, e raccontare evitando di essere narrativo. ammesso che la cosa abbia un senso». Aveva un senso, è inutile chiosare, e mi pare che anche a proposito di questo saggio di critica letteraria abbia un senso.
La morte dei due figli dello scrittore americano è implicitamente indicata come sostrato emotivo alla scrittura di Billy Budd, che ha una lunga gestazione che procede, come attentamente ricostruito da Trevisan, per successivi innesti, cosicché i personaggi protagonisti nascono uno per volta a distanza di anni: nella prima stesura c’è solo Billy Budd, nella seconda compare John Claggart e nella terza Edward Fairfax, in un gioco di antagonismo e tensione morale che Trevisan (non accademico, autodidatta, lettore intensivo, artista poliedrico e dalle doti intellettuali che continuano a sorprendere) fa emergere in modo straordinario. Lo scrittore Trevisan, dotato di pennello, emerge nei ritratti (Trevisan, geometra, ha lasciato anche dei disegni). Se l’autore, Melville, è: «tagliato fuori da ogni relazione sociale, il vecchio marinaio, che ha passato gli ultimi venti anni a navigare solitario per le strade di New York, è ora all’ancora della sua scrivania» (p. 12); il personaggio, Billy Budd, è «giovane, biondo, occhi cerulei, generoso, forte» (p. 13). Ma, e lo scrittore cede il passo all’interprete, Billy ha un’imperfezione e questa imperfezione a detta di Melville fa sì che il testo di cui è protagonista non sia un romanzo e a detta di Trevisan è inoltre spia di un «testo interno», quello che di solito gli scrittori tengono per sé quando ne scrivono uno da pubblicare, «la storia della storia». Anche a questo sembra alludere il sottotitolo: an inside reading di «un testo interno». Ai tre personaggi corrispondono tre verità di fronte alle quali il lettore è posto con la facoltà di scegliere in quale credere; una lettura psicologica, come si diceva un tempo, dei personaggi, che mostra l’abilità di chi conosce i ferri del mestiere. Spunta poi – l’andatura di questo saggio è decisamente avvincente, come sanno esserlo i migliori testi di finzione – l’unica figura femminile di questa «storia di uomini senza donne», la moglie di Melville che dopo la sua morte ritorna sul testo apponendo delle note che il primo editore confonderà per autografe. Ma, dice Trevisan, «Niente da stupirsi, è così che vanno le cose quando si lascia qualcosa di incompiuto» (p. 26); poi però, dopo aver argomentato ulteriormente, precisa che Bill Budd «pur non essendo finito è, lungi dall’essere incompiuto, semplicemente interrotto» (p. 27). E qui riecheggia in un gioco di specchi, quasi come un monito, l’odierna vicenda editoriale di Trevisan cha ha affidato all’occhio vigile e alle attente cure della sua erede testamentaria questa ed altre opere da pubblicare – sin qui Note sui Sillabari. Omaggio a Goffredo Parise, Inschibboleth, Roma, 2022, che è stato stampato a maggio, Black Tulip,che èin uscita per Einaudi, inedite ma non incompiute.
Il saggio si conclude con la ricostruzione delle ulteriori vicende editoriali postume e un’ultima chiave interpretativa che (come altre cose del testo) non svelo, in modo così preciso, pregno di senso e chiaro, che direi magistrale. Il congedo «Questo è tutto», come l’esordio, «Prima di tutto le cose fisiche: l’inchiostro, la carta, la scrittura» (come sappiamo da Works nei suoi mestieri con la materia ha avuto molto a che fare) sembra sentirli pronunciare, come ha giustamente ricordato il postfatore Davide Bregola (che aveva inserito Trevisan nella sua raccolta di articoli per «Il Giornale»: I solitari. Scrittori appartati d’Italia, Oligo, Mantova, 2017), da Vitaliano «a denti stretti». Datato Vicenza 30 giugno 2004 (l’anno in cui, co-sceneggiatore, ha recitato il ruolo di protagonista, un orafo, in Primo amore di Matteo Garrone), questo saggio è stato pubblicato a sei mesi dalla scomparsa dell’autore.
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