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diretto da Romano Luperini

L’anonimato globale del rider: su Delivery di Peter Mendelsund

Fin dalla copertina dell’illustratore portoghese João Fazenda, che riproduce un rider oberato di borse e pacchi in sella a una bici in tutto simile a quelli che ci siamo abituati a vedere sfrecciare in città, l’anonimato sembra essere il tratto distintivo di questo romanzo di Peter Mendelsund: non ha nome il protagonista, chiamato “ragazzo delle consegne”; non ha nome la città nella quale si svolge la vicenda narrata, anche se è facile intuire che si trova nel ricco mondo occidentale; non ha nome il paese da cui proviene il rider, ma appartiene a un’area sottosviluppata del globo; non ha nome il Supervisore, l’uomo dagli occhi a fessura che amministra l’azienda di consegne a domicilio;  infine non ha nome N., la ragazza del centralino di cui il giovane è segretamente innamorato e che gli insegna le parole fondamentali per orientarsi nel mondo in cui è approdato:

(N. gli insegnò. Customer, cliente, block, isolato, delivery, consegna, doorman, portinaio, sidewalk, marciapiede, elevator, ascensore, manor house, dimora padronale, tenant, inquilino, stoop, ingresso, Supervisor, Supervisore, “stay dry”, “stai all’asciutto”, e così via.)

 (P. Mendelsund, Delivery, Milano, Il Saggiatore, 2022, p.17)

I punti di forza dell’opera di Mendelsund sono molteplici.  Delivery è, innanzitutto, un romanzo politico perché  rappresenta il lavoro degli ultimi, intessuto di mortificazioni e abusi: non ci pare un caso che a tradurlo dall’inglese sia Stefano Valenti le cui scelte di scrittura e di traduzione rispondono a un forte tasso di impegno civile (qui il suo intervento come traduttore di Germinale di Zola; qui, invece, la sua intervista come narratore). Sottopagati, dipendenti dalle cosiddette “piattaforme di consegna” (in Italia Deliveroo, Glovo, JustEat) ma fino a pochi mesi fa pressoché privi di tutele infortunistiche e considerati (bizzarramente) “lavoratori autonomi”, i rider costituiscono, con i corrieri, forse l’ultima frontiera dello sfruttamento nel campo dell’impiego, che comprende lavoratori più “tradizionali” come i cottimisti, i lavoratori dei call center, i braccianti stagionali. Il protagonista di Delivery, pertanto, non ha nome perché, implicitamente, porta su di sé quelli di tutti i possibili fattorini che ogni giorno inforcano la bici o lo scooter per dare concreta realizzazione a quel “clic” sulla “app” che sembra regalare la sensazione di una vita ricca a milioni di persone:

La cliente numero undici era molto eccitata nel vedere la busta che il ragazzo delle consegne le porgeva. Tanto che il ragazzo delle consegne aveva pensato, per un momento, che lei, la cliente, nella sua esuberanza, lo avrebbe abbracciato. […]  Appoggiò il cibo oltre la soglia dell’appartamento, armeggiò per un momento nella vestaglia e diede la mancia al ragazzo delle consegne prima di chiudere rapidamente la porta una seconda volta. […] ***** (Ivi, p.50)

Nel suo lavoro il rider deve attenersi a precise e stringenti regole: consegnare le merci in fretta all’indirizzo indicato, evitare di sfiorare le mani del cliente nel corso dello scambio della merce e del denaro, privarsi di tutte le mance ricevute in favore dell’azienda, ignorare il contenuto dei pacchi trasportati: 

(Non sapeva che cosa consegnava, ma faceva delle supposizioni, naturalmente. E a volte l’identità del luogo del ritiro – se il luogo del ritiro non era il magazzino – era un sicuro indicatore. Panetteria, edicola, tintoria e così via.)

______

(Inoltre alcune consegne erano, in maniera palese, quelle che erano. 1. Cibo [odore]. 2. Documenti [busta]. 3. Palla da bowling [forma, peso…].) (Ivi, p. 5)

Il romanzo riesce a mimare il senso di precarietà di questi “lavoratori atipici” anche con precise scelte formali. Per quasi duecento pagine si susseguono brevi capitoli dalla struttura insolita: sono infatti costituiti da poche frasi, separate le une dalle altre da una riga intermedia che spezza, sincopa il ritmo narrativo imitando la frammentazione esistenziale del giovane fattorino alle prese con le insidie cittadine del traffico e del meteo, con l’acquisizione dei meccanismi sottesi al gradimento del cliente, con la riemersione di flash memoriali dal passato. Il rider attraversa la città difendendosi dalla pioggia con un sacco della spazzatura a mo’ di poncho e nella sua testa presente e passato sono compresenti e in cortocircuito:

Fantasma della spazzatura. Sono un fantasma della spazzatura.

________

Il giorno in cui il ragazzo delle consegne aveva lasciato la sua terra natale, la città era stata ricoperta da una fitta nevicata. Erano molti i bambini dell’orchestra giovanile nel ventre della nave, lì, schiacciati nelle vicinanze del ragazzo delle consegne; tutti si allungavano per vedere la città incolore allontanarsi da una finestrella.

_________

Fantasma della spazzatura, fantasma della spazzatura, lasciate passare! Urlò il ragazzo delle consegne (alla pioggia).

_________

(Nella sua lingua natale.)

_________

(Nella sua testa).

(Ivi, pp.76-77)

Il romanzo acquisisce nelle ultime cento pagine maggiore compattezza e continuità in coincidenza con l’ultima spedizione che attende il giovane; la consegna di una serie di pacchi in una zona metropolitana off limits equivale, in realtà, a una punizione che gli viene inflitta dal Supervisore per essere stato scoperto a regalare una collanina a N., acquisto reso possibile dalla cresta fatta sulle mance. È la ragazza a dargli le ultime istruzioni:

Allora lei gli parlò, continuando a guardare in basso:

«Una consegna molto lunga.»

(In una parte della città che non aveva mai visto).

«Farai questo adesso, per lui.»

(Viaggio speciale. Nessuna scelta.)

«Fai in modo che vada bene.»

(Debito da ripagare).

«Niente cazzate.»

(Naturalmente)

«Non guardare nei sacchetti.»

(Cattivo presagio).

«Devo tornare indietro.»

(Ma…)

«Vai.»

(Una bella gatta da pelare).

Lui annuì, ma fece una pausa prima di girarsi. La guardò. E nella sua espressione vide qualcosa che era nuovo di zecca. (Ivi, p.189)

Eppure è proprio quest’ultima, ardua, pericolosa consegna a restituire al contempo continuità alla narrazione e dignità al personaggio, che conquista la via di fuga grazie a N.: il flusso di coscienza pressoché ininterrotto del rider è punteggiato qua e là dalle incursioni del narratore che chiosa, commenta, precisa il proprio punto di vista sul personaggio: sono le pagine più ariose e felici del romanzo. Vi si susseguono i ricordi nella terra d’origine (quanta poesia in quell’orchestra di giovani musicisti) e i sogni che costellano la notte che il ragazzo passa all’addiaccio (un’infinita enumerazione di tutto ciò che ha consegnato: una “fantasmagoria delle merci” che da sola dice la follia da accumulo dei nostri giorni). E nel fluire del pensiero, nella solitudine a tratti smarrita e incerta dell’anonimo rider, la sua pedalata si fa sempre più ritmica, decisa, fluida, una pedalata che lo porterà fuori dal lavoro nero della consegna a domicilio in una storia che conosce un (insperato) finale aperto:

lui riconobbe allora, come faccio io, una capacità di andare avanti, una capacità di andare avanti all’infinito se necessario, avanti e vanti, e anche se non sapeva ancora verso cosa si muovesse, sapeva che una vita felice era una vita a capofitto, una vita fluida, e che qualsiasi cosa gli fosse capitata, poteva affermare, infine, sarebbe stato in grado di affrontarla. (Ivi, p.298)

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