Le tracce e gli indizi. Riflessioni sugli esempi di prima prova
Lo sconcerto suscitato dalle tracce “esemplari” proposte dal Miur nei giorni scorsi va collocato in un preciso contesto culturale, caratterizzato da due elementi: il percorso intrapreso dalla commissione Serianni, da una parte; le ricerche e le sperimentazioni progettuali promosse dal Ministero stesso, dall’altra.
Queste esperienze vissute negli ultimi anni – l’una prettamente teorica, le altre profondamente legate alle pratiche d’aula – hanno consegnato alla riflessione degli insegnanti almeno due idee fondamentali:
- l’esigenza di ripensare l’intreccio fra educazione linguistica e letteraria, in modo da consentire l’acquisizione e l’espressione argomentata di autentiche competenze di comprensione e di interpretazione dei testi
- l’apertura all’esercizio di una partecipazione attiva e soggettiva degli studenti al percorso di insegnamento/ apprendimento, che inevitabilmente mette in discussione una visione tradizionalistica del rapporto educativo e sottolinea la funzione civile dell’istituzione scolastica
In entrambi gli ambiti, la lettura delle tracce proposte dal Ministero non può che produrre smarrimento e delusione; sentimenti tanto più profondi quanto maggiore è stato l’impegno dei docenti per rinnovare la didattica, aprendo la scuola al mondo interiore dei giovani, per aiutarli ad orientarsi in un periodo storico segnato dalla frammentarietà e dall’assenza di riferimenti credibili.
Su questo senso di “tradimento”, vissuto da tanti di noi, vorrei riflettere sine ira et studio, nella speranza che appunto di esempi si sia trattato, e che quindi l’esperienza e l’ascolto delle ragioni di altri docenti possa indurre chi scriverà le prove d’esame a correggere il tiro.
Mi sembra che i limiti culturali, e le forzature rispetto al percorso intrapreso negli ultimi anni, si concentrino su due punti:
1. il primo è l’assenza di un’idea chiara dei diversi aspetti della competenza linguistica e di quella letteraria. All’interno dei testi proposti, non sono affatto distinguibili in modo nitido le operazioni logiche legate alla comprensione linguistica (decodifica del pensiero dell’autore del testo, ascolto in certa misura “passivo”, applicazione di categorie disciplinari e di processi logici univoci) e all’interpretazione (capacità di proporre e motivare scelte critiche soggettive; risposte divergenti a problemi di realtà).
Ad esempio, nella tipologia A, all’interno delle consegne relative all’analisi (comprensione) si trovano richieste legate al chiarimento di elementi impliciti (2.1.), alla determinazione univoca di “effetti stilistici” suscitati dall’autore (2.3), addirittura alla definizione globale di una “idea di De Pisis” che il testo trasmetterebbe (2.4): si tratta in tutti i casi di risposte prevedibilmente divergenti, legate a forti elementi di soggettività critica, e quindi sottoposti ad un evidente arbitrio del docente all’atto della valutazione.
D’altro canto, il punto 3 delle consegne, cui spetterebbe il compito di fare emergere la soggettività di giudizio, la capacità argomentativa e le scelte soggettive dello studente, è invece spietatamente nozionistico, e lascia prevedere un’ordinata esposizione di dati ed informazioni. In un quadro simile, l’intelligenza critica e le competenze (ipotesi di soluzioni originali di fronte a problemi non noti) non possono che restare una chimera irraggiungibile. In particolare non si trova traccia di problemi culturali fondamentali, come la capacità di orientarsi nel tempo (storicizzare) e di valutare l’importanza di un testo per comprendere se stessi e il proprio presente ( attualizzazione); ma proprio questi processi culturali ed interpretativi sono stati e sono attualmente al centro di esperienze di ricerca didattica di grande valore (su tutti, il Progetto “Compita”).
La situazione non è dissimile nelle altre tipologie. In particolare, il testo della tipologia C è del tutto privo di elementi chiari di orientamento (per lo studente e per l’insegnante). Sembra cioè configurarsi come il vecchio tema argomentativo frammentistico/ impressionistico di gentiliana memoria, dal quale gran parte del lavoro di Serianni (e di noi docenti) tenta faticosamente di prendere le distanze, da anni.
La stessa abilità di argomentare (crocevia di diverse sperimentazioni avviate dal Ministero negli ultimi anni) è evocata con chiarezza soltanto quando si tratta di decostruire i testi (ad esempio, nella prima traccia relativa alla tipologia B, con le parole “evidenzia la tesi”, “individua gli argomenti”); quando invece si tratta di stendere un’argomentazione critica-logica, la consegna è assolutamente generica, e non vengono posti vincoli di nessun genere (com’è evidente dall’uso di espressioni come “esponi le tue opinioni, “formula le tue opinioni”, “rifletti”).
2. Il secondo punto critico è diretta conseguenza di quanto appena discusso, e riguarda la formulazione dei quesiti e delle consegne.
In linea generale, anche quest’aspetto trova una possibile premessa nel lavoro cooordinato da Serianni, e testimoniato dal Quadro di riferimento per la redazione e lo svolgimento della prima prova scritta, e dalle indicazioni sulla sua valutazione, di recente pubblicazione. In questi documenti, infatti, è evidente l’intento di allontanarsi dall’eccessiva rigidità di classificazioni e tassonomie in “didattichese”. Tuttavia, nel caso degli esempi di tracce che stiamo discutendo, la semplificazione si attua in modo assai meno chiaro e razionale.
Non intendo addentrarmi nel discorso su alcune scelte lessicali e sull’articolazione sintattica del testo, legate in una certa misura – come nel caso della punteggiatura – ad una valutazione soggettiva.
Colpisce invece l’assenza di un ordine leggibile nella presentazione delle consegne. Nei testi delle prove si alternano, senza una ragione comprensibile, operazioni diversissime e incoerenti fra loro, che richiedono differenti focalizzazioni ( sul dettaglio linguistico o stilistico, sulla sintesi e sulla comprensione complessiva, sull’interpretazione soggettiva e sulla scelta critica). Non si coglie una progressione logica; per esempio, dallo studio di singole espressioni e scelte alla lettura di un passaggio più complesso, alla comprensione del brano nel suo insieme, all’interpretazione di specifici aspetti e del suo significato complessivo.
Al contrario, si ha a tratti l’impressione che le domande siano state poste nell’esatto ordine in cui venivano in mente a chi le ha formulate, senza una rilettura e una stesura ad usum discipuli. Questa casualità, come ben sanno gli insegnanti, è destinata a produrre negli studenti un’inutile fatica aggiuntiva, perchè moltiplica i testi da analizzare, aggiungendo a quello di Comisso o di Umberto Eco anche quello dell’autore della prova. Una situazione che induce gli studenti all’ambiguità (cosa vorrà da me chi mi pone questa domanda?), al frequente ricorso allo stereotipo o alla semplice nozione, a rinunciare all’espressione di ipotesi personali.
Siamo di fronte, quindi, ad una semplificazione apparente e ad una complicazione sostanziale.
Esempi discutibili, dunque, se non proprio cattivi.
Esempi che speriamo di non essere obbligati a seguire da qui a pochi mesi.
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